La crisi politica ed i rischi di destabilizzazione in Moldavia
L’11 febbraio scorso, il Primo Ministro moldavo Natalia Gavrilița, esponente del partito di maggioranza europeista PAS (Partito di Azione e Solidarietà), ha rassegnato le proprie dimissioni adducendo l’impossibilità del proprio governo a fronteggiare la profonda crisi politica, economica e securitaria che attanaglia il Paese da circa un anno. Successivamente, il Presidente della Repubblica Maia Sandu, anch’essa esponente del PAS, ha incaricato il Consigliere per la difesa e la sicurezza nazionale del Presidente e Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza della Moldavia, Dorin Recean, di formare un nuovo governo. Economista di formazione, Recean ha ricoperto il ruolo di Viceministro per le Telecomunicazioni e di Ministro dell’Interno nella sua pluridecennale carriera politica ed è ritenuto di orientamento filoeuropeo, benché più moderato e pragmatico rispetto alla sua predecessora.
Le dimissioni della Gavrilița sono giunte a poche settimane di distanza dalla caduta di frammenti di missili russi sul territorio moldavo (a Larga, il 14 gennaio) e a pochi giorni dalla violazione dello spazio aereo moldavo da parte di un missile da crociera russo diretto in territorio ucraino e dal rilevamento di un oggetto volante non identificato (si sospetta un pallone aerostatico o un drone ostile) nei cieli del Paese.
In realtà, la tensione derivante dal conflitto in Ucraina ha solo moltiplicato gli effetti di una crisi economica e politica già in atto a cominciare dal novembre del 2021, quando la Moldavia ha ridotto del 30% le forniture di gas dalla Russia (suo principale fornitore) a causa dell’esponenziale rincaro dei prezzi e per via di una diatriba circa il mancato pagamento di tranche passate. In realtà, in quell’occasione il Cremlino ha usato il ricatto energetico come strumento di pressione politica contro il governo moldavo, in quel momento retto dal PAS e di chiaro orientamento filoeuropeo e filoatlantico. Per ovviare a tale riduzione, Chisinau ha diversificato le importazioni, causando una pesante impennata del costo dell’energia. Inoltre, a causa della cattiva congiuntura economica globale, il Paese ha dovuto affrontare l’impennata del tasso di inflazione, giunto a superare il 30%. In aggiunta a questo, la pesante campagna di bombardamenti russi alle infrastrutture ucraine, cominciata a maggio del 2022, ha costretto la Moldavia a frequenti interruzioni della disponibilità di energia elettrica, prevalentemente importata proprio dall’Ucraina e dalla vicina repubblica secessionista della Transnistria. Tuttavia, la crisi economica e politica non ha impedito al governo del PAS di proseguire con la sua strategia di avvicinamento all’Unione Europea, confermato dalla concessione dello status di “Paese candidato” nel giugno del 2022 e dall’elargizione di un prestito europeo di 200 milioni di euro per far fronte all’emergenza energetica.
Tuttavia, il rincaro del costo della vita, la tensione derivante dal conflitto russo-ucraino e la tradizionale polarizzazione della società moldava, in cui è presente una non trascurabile porzione di filorussi ed euroscettici, ha rafforzato il fronte dei movimenti e dei partiti favorevoli al miglioramento dei rapporti con il Cremlino. Tra questi, compaiono il Partito Comunista, il Partito Socialista e la Lista Shor, dal nome dell’oligarca filorusso che l’ha fondata. Secondo alcuni sondaggi condotti tra maggio e giugno del 2022, circa il 39% della popolazione moldava era a favore di un governo filorusso guidato dalla coalizione di Comunisti, Socialisti e Lista Shor rispetto a circa il 20% che continuava a sostenere il PAS.
Già ad ottobre 2022, per alcune settimane le strade della capitale Chisinau erano state invase da manifestanti filorussi, alcuni dei quali pagati per partecipare alle proteste. In Moldavia, la Russia può contare su un gruppo di alleati e sostenitori orbitanti attorno al mondo della criminalità organizzata, delle oligarchie finanziarie, di partiti conniventi e di realtà para-statali secessioniste come la Transnistria e la Gagauzia, governata dalla comunista Irina Vlah. Anche l’ex Presidente della Repubblica Igor Dodon, di area socialista, è considerato un uomo vicino a Mosca. Molti di questi personaggi sono stati già coinvolti, in maniera diversa, nel famoso scandalo finanziario “Russian Laundromat”, una frode internazionale che ha coinvolto oltre 500 persone tra Moldavia, Lettonia, Russia, Regno Unito e Hong Kong, costato alle banche moldave 1 miliardo di euro, pari a circa il 12% del PIL di allora.
In un clima di tensione politica e vulnerabilità economica non può essere escluso il rischio che Mosca conduca operazioni di guerra ibrida e provi a mobilitare parte della popolazione moldava per destabilizzare il Paese e promuovere l’ascesa di un governo filorusso. Tale attività di destabilizzazione potrebbe ricalcare lo schema di quanto già avvenuto in Donbas nel 2014, quando un’alleanza di oligarchi locali, reti criminali, partiti filorussi, provocatori (i cosiddetti Titushky) e parti della società filorussa promossero la secessione degli oblast di Lugansk e Donetsk come risposta alla rivoluzione della Dignità (Euromaidan) e alle prime azioni del governo guidato da Oleksandr Turcynov. In quell’occasione, tuttavia, risultò decisivo l’invio non ufficiale di truppe regolari russe per supportare l’insurrezione. Nel caso moldavo, in virtù della posizione geografica e del conflitto in corso in Ucraina, l’invio di un ampio contingente appare complicato, anche se circa un migliaio di truppe sono presenti in Transnistria ed alcune migliaia di mercenari e volontari possono essere reclutate tra la popolazione civile.
Nel breve periodo, lo scopo russo potrebbe essere quello di modificare l’agenda e l’orientamento politico di Chisinau, riportandolo nuovamente in una direzione più consona agli interessi di Mosca. Inoltre, non è da escludere che il Cremlino fomenti la polarizzazione della società e supporti proteste violente contro l’establishment filoeuropeo. Per fare questo, la Russia potrebbe sfruttare a proprio vantaggio il separatismo della Transnistria e della Gagauzia. In prospettiva, non si possono escludere neppure forme più muscolari di ingerenza, come l’annessione proprio di Transnistria e Gagauzia o addirittura quella della stessa Moldova. In quest’ultimo caso, tuttavia, il processo politico e militare sarebbe più lungo e complesso, soprattutto in virtù della situazione critica derivante dal conflitto in Ucraina. In ogni caso, la destabilizzazione della Moldavia costituirebbe una sfida aperta all’Unione Europea e agli Stati Uniti e consentirebbe l’apertura di un fronte di instabilità lungo il confine occidentale ucraino. In quest’ultimo caso, anche una “semplice” agitazione costringerebbe le truppe ucraine a difendere le postazioni occidentali, impedendogli di affluire sugli altri fronti a sud ed est. L’impatto politico di un tentativo di destabilizzazione russa della Moldavia non è da sottovalutare. Infatti, il supporto ad un governo democratico e filoeuropeo da parte dei partner di Bruxelles e, soprattutto, di Washington, non è scontato. In un contesto di razionalizzazione delle risorse finanziarie e militari dovute allo sforzo di supporto alla resistenza ucraina, tanto l’UE quanto gli Stati Uniti potrebbero trovarsi nella condizione di non poter aiutare Chisinau. Inoltre, non bisogna sottostimare il fatto che, data la presenza di una folta colonia filorussa nel Paese, la presa del potere da parte dei partiti vicini a Mosca potrebbe avvenire mediante regolari procedure democratiche, come peraltro già avvenuto in passato. La questione moldava potrebbe dividere ulteriormente sia il fronte UE che quello euro-atlantico nel suo complesso oppure infliggere un duro colpo all’immagine statunitense ed europea, soprattutto nel caso in cui la loro azione di contenimento delle azioni russe risultasse assente o insufficiente. Viceversa, una risposta diretta e “muscolare” da parte di Bruxelles e Washington rischierebbe di allargare il fronte del conflitto e aumentare il rischio di escalation con Mosca che, come da tradizione, potrebbe invocare la difesa dei propri intessi nazionali e delle popolazioni russofone del Paese.
Non è un caso che, all’indomani delle dimissioni della Gavrilița, il Presidente Sandu abbia parlato del rischio di un colpo di Stato da parte di forze filorusse. Al di là della concretezza di questa eventualità, non scartabile ma neppure certa, la mossa della Sandu è da considerarsi di pura opportunità politica. Infatti, nell’agitare lo spettro di un golpe, il Presidente tenta innanzitutto di delegittimare i partiti filorussi e limitarne i movimenti e, al contempo, cerca di sensibilizzare velocemente il governo statunitense e le istituzioni europee a prendere tutte le misure per difendere e tutelare il ruolo e le posizioni del PAS. In sintesi, la sfida tra filoeuropeisti e filorussi è appena cominciata.