Javier Milei: proposte d’impatto per un’Argentina instabile
Il 19 novembre l’Argentina ha eletto il suo nuovo Presidente della Repubblica : con il 55%, l’economista liberista Javier Milei si è imposto sul candidato peronista Sergio Massa, ex Ministro dell’Economia. La vittoria di Milei rivela molto sulla volontà di cambiamento da parte degli argentini, esasperati dalla disastrosa situazione economica del Paese . Milei, con il suo personaggio fortemente controverso e dalle idee radicali, si è proposto come voce del malcontento popolare nei confronti dell’establishment politico e istituzionale, che viene largamente considerato responsabile delle condizioni rovinose in cui versa l’economia argentina. A favorire l’ascesa di Milei ha contribuito non solo la debolezza dei profili degli altri candidati e l’assenza di autorevolezza – almeno secondo gli argentini – della tradizionale classe politica, ma soprattutto lo stato di disagio in cui versano le finanze dello Stato da oltre un decennio. L’inflazione annuale ha subito un’accelerazione nel 2023, raggiungendo il 124% ad agosto e ponendo l’Argentina tra i Paesi con i tassi d’inflazione più alti al mondo; nel 2022, il debito pubblico ha raggiunto i 394 miliardi di dollari (84,7% del PIL), mentre il debito estero si attestava a 274 miliardi di dollari (59% del PIL). La povertà è al 40,1% e la povertà estrema al 9,1%.
A fronte di questo quadro preoccupante, Javier Milei ha trionfato alle elezioni presentando un programma economico a tratti eccentrico e con proposte estreme, che proprio per questo è riuscito imporsi all’attenzione di un elettorato ormai esausto delle consuete promesse puntualmente disattese. Tra le idee esposte in campagna elettorale rientravano la chiusura della Banca Centrale, a cui verrebbe imputata la colpa dell’estrema inflazione, l’abbandono del peso in favore del dollaro, la riduzione drastica della spesa pubblica, le privatizzazioni di compagnie statali e, per rafforzare la competitività, una riduzione significativa del ruolo dello Stato per lasciare sempre più spazio al libero mercato. Tuttavia, molte di queste proposte potrebbero essere di difficile realizzazione, in quanto non solo richiederebbero un intenso sforzo economico che l’Argentina non è al momento in grado di sostenere , ma anche perché in molti casi risulterebbero controproducenti e dannose per la stessa economia argentina.
Un punto centrale dell’agenda di Milei è rappresentato dalla volontà di effettuare il passaggio al dollaro . Questa misura ha una duplice valenza: da una parte, il cambio della valuta esprime il malcontento verso la politica monetaria dei governi precedenti e verso la Banca Centrale; dall’altra, la dollarizzazione sottolinea le simpatie del nuovo Presidente verso gli Stati Uniti e la volontà di avvicinarsi alle loro politiche finanziarie. Secondo Milei, affidarsi al dollaro avrebbe conseguenze benefiche, perché potrebbe arginare le fughe di capitali, stabilizzare l’economia ed eliminare alla radice i problemi legati alla sfiducia della valuta . Tuttavia, per l’Argentina, l’iniziativa potrebbe rivelarsi impraticabile, in primis a causa della mancanza di riserve sufficienti. Infatti, per mettere in pratica la dollarizzazione di un’intera economia, sono necessarie risorse ingenti per ottenere la liquidità iniziale in dollari, risorse che al momento l’Argentina non possiede; inoltre, gran parte della disponibilità in dollari dell’Argentina è già destinata al pagamento del debito dell’Extended Fund Facility stipulato con il Fondo Monetario Internazionale. Inoltre, il passaggio al dollaro sconta degli ostacoli strutturali, dati dalla debolezza politica e finanziaria del Paese, dalla poca credibilità di Buenos Aires presso le istituzioni finanziarie internazionali e dai lunghi tempi necessari per la realizzazione.
L’impostazione ultraliberale di Milei si riflette anche sul deciso cambio di rotta che vorrebbe imporre alla politica estera argentina . Il riposizionamento dell’Argentina a livello internazionale potrebbe esplicitarsi in due direttrici. Da una parte, in linea con le sue proposte economiche, Milei intende avvicinare l’Argentina ai blocchi economici orientati verso il libero mercato. A riprova di ciò, l’avvicinamento ideologico verso le Organizzazioni Internazionali di stampo economico liberale verrebbe rafforzato dall’ingresso dell’Argentina nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), annunciato l’11 dicembre. D’altra parte, Milei ha dichiarato un deciso allontanamento dalla Cina e da alcuni Paesi del Global South, come il Brasile di Lula, perché considerati ideologicamente opposti rispetto alla sua linea politica ed economica. A concretizzare l’indirizzo di politica estera di allontanamento dal gruppo di economie emergenti è stato l’annuncio di Diana Mondino, futuro Ministro degli Esteri, che ha dichiarato che l’Argentina non entrerà nei BRICS come invece precedentemente accordato .
Una cesura netta tra Buenos Aires e queste economie sarebbe però controproducente per l’Argentina. In particolare, Argentina e Cina condividono stretti legami commerciali: la Cina, infatti, è la seconda destinazione dell’export argentino, con un valore di scambio nel 2021 di 5,93 miliardi di dollari, secondo solo al flusso verso il Brasile (11,2 miliardi di dollari). Inoltre, la Banca Centrale argentina aveva stabilito con Pechino un accordo per lo scambio di valute per un totale di 6,5 miliardi di dollari per incrementare le sue riserve di valute estere. Se anche l’Argentina decidesse di annullare l’ingresso nei BRICS, recidendo simbolicamente il legame con il blocco, sarebbe opportuno invece per Buenos Aires continuare ad agire sul piano bilaterale mantenendo saldi gli scambi e le relazioni economiche con Pechino. L’alto livello di complementarità economica e commerciale tra Cina e Argentina dovrebbe infatti scoraggiare azioni di distacco troppo nette, che andrebbero a discapito delle due parti.
Allo stesso modo, le prese di distanza ideologiche di Milei nei confronti di altri Paesi dell’America meridionale si intersecano a livello regionale con la questione del MERCOSUR. Il neoeletto Presidente aveva infatti espresso in campagna elettorale la volontà di ritirarsi dal MERCOSUR, il mercato comune dell’America Meridionale di cui fanno parte anche Brasile, Venezuela, Bolivia, Uruguay e Paraguay. Nell’ottica di Milei, l’integrazione economica e l’adozione di normative comuni, ovvero gli elementi portanti dell’organizzazione regionale, costituirebbero un ostacolo per la libertà commerciale dell’Argentina. D’altro canto, l’annunciata uscita dal MERCOSUR potrebbe essere un’altra proposta attraente in campagna elettorale ma poco pragmatica nella realtà. Il mercato comune regionale offre infatti una piattaforma per rafforzare il commercio e le relazioni diplomatiche internazionali; lasciarla potrebbe condurre l’Argentina all’isolamento nel contesto sudamericano e a conseguenze controproducenti sul versante economico. Ad agosto 2023, il MERCOSUR rappresentava infatti il 23,8% delle esportazioni totali argentine. Il commercio del MERCOSUR verso l’estero nel 2021 è stato di 598,899 milioni di dollari, con un aumento del 37% rispetto al 2020, mentre il commercio interno ha raggiunto un valore di scambio pari a 40,591 milioni di dollari nel 2021, con un aumento del 42% rispetto al 2020. La quota di commercio dell’Argentina era del 37%, seconda solo a quella del Brasile (44%). Un frettoloso abbandono del MERCOSUR potrebbe quindi rivelarsi una mossa imprudente per Milei, specialmente se i negoziati per l’area di libero scambio tra il MERCOSUR e l’Unione europea (UE) dovessero andare in porto, aprendo così considerevoli opportunità di commercio per i membri del MERCOSUR.
Il 7 dicembre si è infatti aperto a Rio de Janeiro, in Brasile, l’ultimo summit tra il MERCOSUR e l’UE. Bruxelles e il MERCOSUR avevano definito le linee generali di un accordo per stabilire una zona di libero scambio tra le due coste dell’Atlantico nel 2019, senza però mai arrivare a una firma definitiva: da entrambe le parti, infatti, rimangono attori che vi si oppongono fermamente. Dal lato sudamericano, a dichiararsi contrario all’accordo era Alberto Fernández, il Presidente argentino uscente. Infatti, dato che Milei è entrato formalmente in carica solo il 10 dicembre, da parte argentina le trattative al summit sono state finora condotte da Fernández, secondo il quale non vi sarebbero le condizioni per la conclusione dell’accordo. Nell’opinione del Presidente uscente, l’accordo avrebbe delle conseguenze negative sull’economia interna argentina, soprattutto a causa della concorrenza dei prodotti di origine europea contro le PMI argentine. Al contrario, Milei sembra essere molto interessato alla buona riuscita dell’accordo, ma la condizione fondamentale sembra essere che questo venga stipulato nella cornice del bilateralismo tra Argentina e UE, poiché porterebbe Buenos Aires a stabilire relazioni privilegiate di libero scambio con l’Unione senza dover condividerne i benefici con gli altri Stati del MERCOSUR. Tuttavia, nonostante le ambizioni di Milei di spostare il rafforzamento della cooperazione commerciale dal quadro multilaterale a quello bilaterale, relazionandosi in modo più indipendente con l’UE, l’uscita dell’Argentina dal MERCOSUR potrebbe invece essere un fattore da ponderare con attenzione. Nell’ambito dell’accordo in discussione, infatti, è il MERCOSUR l’interlocutore privilegiato per l’UE, perché si presenta come l’attore più solido e affidabile del panorama regionale per poter giungere a una firma definitiva.
Al di là della patina rivoluzionaria e sovversiva delle sue proposte, Milei potrebbe quindi non essere effettivamente in grado di rendere realtà alcune di queste idee; in alternativa, potrebbe dover cambiare le manovre in corso d’opera, a conferma della volatilità delle dichiarazioni politiche in campagna elettorale. Un ultimo fattore da considerare per valutare la fattibilità delle proposte di Milei attiene alla solidità politica di cui gode il nuovo governo sul fronte interno. Effettivamente il suo partito, la Libertad Avanza, detiene solo una minoranza dei seggi nel Parlamento, ma Milei è riuscito ad promuovere un’alleanza di governo con la corrente più conservatrice della coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio (JxC): nella nuova squadra di governo, Milei ha affidato il Ministero della Sicurezza a Patricia Bullrich, sostenuta dall’ex Presidente Macri e candidata alla presidenza con JxC, che aveva sostenuto Milei al ballottaggio. Le proposte elettorali della Bullrich ricalcano in alcuni punti quelle di Milei, soprattutto per quanto riguarda i tagli alla spesa pubblica e le misure antinflazionistiche. L’alleanza con i partiti della coalizione JxC permette a Milei di allargare la base di governo, ma rimane in bilico per la maggioranza in Parlamento. Il partito di opposizione Unión por la Patria, di stampo peronista, può infatti contare da solo sul più ampio blocco di seggi in entrambe le Camere, mentre Milei deve necessariamente fare affidamento sull’appoggio di altri partiti minori per portare avanti il suo programma. Per implementare le sue proposte, Milei potrebbe quindi aver necessità di negoziare con altri partiti soprattutto sulle riforme strutturali del suo programma elettorale, mitigandone alcuni aspetti.
In conclusione, la strada per Milei è definitivamente in salita. Nel discorso pronunciato il 10 dicembre in occasione dell’insediamento, il nuovo Presidente ha riconosciuto le enormi sfide che il governo dovrà affrontare, preannunciando tempi difficili e shock economici che potrebbero fiaccare gli effetti delle sue idee dirompenti. Milei ha però ribadito la sua fiducia nell’efficacia delle manovre che intende realizzare, portando avanti una politica inflessibile contro il lassismo economico dello Stato. Al netto delle proposte irruente e dell’entusiasmo per le promesse di inizio legislatura, Milei deve quindi far fronte a una situazione economica critica che, se gestita in modo incauto, potrebbe portare l’Argentina sull’orlo del fallimento.