Israele verso un nuovo governo, ma con parecchi interrogativi all’orizzonte
Mercoledì 2 giugno la Knesset, il Parlamento israeliano ha eletto Isaac Herzog quale undicesimo Presidente di Israele, con 87 voti su 120. Il neo eletto, che ha sconfitto la candidata di destra Miriam Peretz, sostituirà l’attuale Capo di Stato Reuven Rivlin a fine mandato, dal prossimo 9 luglio. Nella tarda serata dello stesso giorno, a pochi minuti dalla fine dell’ennesimo ultimatum imposto dal Presidente per la formazione di un nuovo governo, Yair Lapid, il leader del partito centrista laico Yesh Atid, ha annunciato di essere riuscito a trovare un accordo con il nazionalista Naftali Bennet, a capo di Yamina, per la formazione di un esecutivo, accorpando una coalizione di ben 8 partiti (Yisrael Beiteinu, New Hope, Yamina, Yesh Atid, Blu e Bianco, Labor, Meretz, Ra’am) che, se otterrà la fiducia del Parlamento, metterà fine a 12 anni di governo Netanyahu. Entrambi gli eventi testimoniano un cambio di passo per lo Stato di Israele, impantanato in problemi di instabilità politica da molto tempo. Tuttavia, sono molte le considerazioni possibili in merito alla stabilità del nuovo assetto istituzionale e governativo.
Partendo dal Capo di Stato, la nomina di Herzog potrebbe avere un’influenza positiva nell’assestamento delle dinamiche israeliane. Avvocato di uno dei più prestigiosi studi legali del Paese, il nuovo Presidente è nipote di Yitzhak HaLevi Herzog, primo rabbino capo ashkenazita d’Israele, e figlio di Chaim Herzog, ex Generale maggiore dell’IDF divenuto poi il sesto Capo di Stato israeliano (1983-1993). Su questa scia di appartenenza familiare molto importante per la storia del Paese, Herzog è stato per diverse volte parlamentare e poi Ministro (2003-2011), prima di divenire leader del partito laburista (dal 2013 al 2017), con l’ambizione di sfidare Benjamin Netanyahu alla Premiership nelle elezioni del 2015 all’interno del cartello “Blocco Sionista”, creato insieme a Tzipi Livni, leader del partito centrista HaTnuah. Infine, dal 2018 al 2021 è stato Presidente dell’Agenzia Ebraica. Questa credibilità politica ha permesso ad Herzog di porsi come una figura conciliante e in grado di dialogare con tutte le parti dell’eterogeneo spettro istituzionale israeliano. Una tendenza tra l’altro emersa anche nelle prime dichiarazioni post-nomina presidenziale. Pertanto la sua figura potrà dare un contributo importante nel ricostruire quel clima di fiducia e unità nazionale ultimamente venuto meno con le violenze intercomunitarie registrate a Gerusalemme e nelle altre città del Paese nel maggio scorso, ridando, quindi, slancio anche al carattere multiculturale che caratterizza la demografia e la storia del Paese.
A primo impatto, questo processo di trasformazione è sembrato rafforzarsi con l’accordo di coalizione con il quale Bennet e Lapid sperano di governare il Paese per i prossimi 4 anni. Difatti, i leader di Yamina e Yesh Atid si sono accordati con l’insolita formula del “Premierato alternato”, un sistema di turnazione che assegnerà la carica di Primo Ministro a Bennet per i primi due anni per poi passare il testimone a Lapid nel secondo biennio. Tale assetto riposerebbe sull’appoggio di un blocco eterogeneo di 8 partiti: i tre partiti nazionalisti di destra Yisrael Beiteinu, New Hope e Yamina; i centristi di Yesh Atid e Blu e Bianco, il partito di centro-sinistra Labor, il partito di sinistra Meretz e quello arabo-conservatore Ra’am, che offrirà un appoggio esterno. Il vero elemento di novità risiede proprio nel ruolo conferito a Ra’am, per la prima volta chiamato ad avere voce in capitolo sull’operato dell’esecutivo, pur non entrandovi formalmente.
Ciononostante al momento, l’unico vero punto di convergenza tra le parti risiede nella volontà di estromettere Netanyahu dall’esecutivo. I vari partiti della coalizione sono infatti portatori di posizioni diverse e spesso antitetiche, che rendono difficile il raggiungimento di compromessi per impostare un’agenda politica. Dei primi punti di frizione potrebbero emergere sull’eventuale annessione della Cisgiordania, progetto largamente sostenuto da Bennett ma che incontra l’opposizione di Lapid, piuttosto favorevole alla soluzione dei due Stati. A ciò si aggiungono le diverse posizioni in chiave religiosa e di diritti civili, che potrebbero essere d’intralcio a Lapid per portare avanti alcune questioni da lui sostenute fino ad ora, come la difesa dei diritti Lgbtq+ (anche con il supporto di Meretz e del Labor). Senza dimenticare che la presenza di Ra’am, consequenziale ai disordini di maggio, ha reso chiaro come sia impossibile sottovalutare o dare per scontata la minoranza araba in quanto elemento centrale per il ripristino della coesione sociale del Paese. Un aspetto che apre ulteriori punti di disaccordo soprattutto con i sionisti di destra della coalizione, nonostante Bennett avrebbe detto di aver cambiato idea su Mahmoud Abbas, leader del partito arabo-israeliano.
Alle difficoltà legate alle posizioni dei singoli partiti si unisce il rischio di una mancata approvazione del futuro esecutivo da parte della Knesset. Per vedere la luce, il nuovo gabinetto ha bisogno dell’appoggio di tutti i deputati dei partiti coinvolti e anche in tal caso riuscirebbe ad ottenere la maggioranza parlamentare di un solo voto, a dimostrazione del suo assetto precario. A ciò si aggiunge inoltre il rischio che Yariv Levin, speaker della Knesset e membro del Likud, possa legalmente rimandare il voto di fiducia – al momento fissato al 7 giugno – nella speranza che le pressioni popolari sui deputati di destra di Yamina e New Hope facciano collassare la coalizione. Motivo che ha spinto il blocco partitico a richiedere la sostituzione di Levin con Meir Cohen, esponente di Yesh Atid, ma senza successo.
Di conseguenza, nonostante l’elezione presidenziale di Isac Herzog possa far sperare in una maggiore stabilizzazione per Israele, questa sembrerebbe già compromessa dalle tante fragilità che caratterizzano la coalizione a guida Bennett-Lapid, a partire dalla stessa incertezza nel ottenere il voto di fiducia dalla Knesset. Inoltre, anche in caso di passaggio parlamentare, la mancanza di posizioni affini tra le parti e il risicato appoggio parlamentare metterebbero a rischio il completamento dell’operato dell’esecutivo fino al 2025. È per questo che Netanyahu sta ancora cercando di ostacolare il processo parlamentare, facendo pressione sui deputati di destra affinché si oppongano a quello che lui ha definito “un pericoloso governo di sinistra”, cosi da sperare di ritornare nei giochi. Cosa che, visti i presupposti, non è da escludere.