Algeria verso le elezioni, ma con poche speranze di cambiamento
Middle East & North Africa

Algeria verso le elezioni, ma con poche speranze di cambiamento

By Angela Ziccardi
05.09.2021

Domenica 2 maggio, il Presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha convocato una riunione di gabinetto per sollecitare il suo governo ad aprire “un dialogo con le parti sociali” per migliorare la situazione lavorativa dei dipendenti nei settori dell’istruzione e della sanità, nel tentativo di placare la crescente rabbia sociale del Paese. Difatti, lo scorso febbraio, a due anni esatti dallo scoppio delle proteste che hanno portato alla fine della Presidenza di Abdelaziz Boutefilka, il movimento popolare “al-Hirak” è tornato nuovamente nelle strade, per condannare la decisione del Capo di Stato di sciogliere l’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP), la Camera Bassa del Parlamento algerino, ed indire elezioni legislative anticipate per il prossimo 12 giugno. Nonostante il Presidente abbia promesso un maggiore coinvolgimento nella politica nazionale delle giovani generazioni, cuore pulsante delle proteste, i manifestanti guardano con scetticismo alla tornata elettorale, convinti che le elezioni non porteranno a dei cambiamenti significativi nel sistema politico nazionale per diversi motivi.

In primis, la sfiducia popolare è motivata dalla scarsa inclinazione della classe dirigente nazionale ad aprirsi e accettare le proposte di cambiamenti socio-economici e politici, come dimostrato dagli emendamenti apportati alla Costituzione lo scorso novembre 2020. Il nuovo testo costituzionale permette ancora al Presidente di conservare ampli poteri – tra cui la possibilità di porre il veto alle leggi emanate in Parlamento – e di salvaguardare le proprie prerogative sulla nomina dei giudici. Inoltre, gli emendamenti non hanno ridotto il peso considerevole che le Forze Armate hanno da sempre detenuto nel Paese, permettendo ad ufficiali militari e servizi di sicurezza di conservare un posto di rilievo e affiancare il Presidente nelle proprie decisioni. Di fatto, nella percezione popolare, si ritiene che siano stati apportati dei semplici cambiamenti cosmetici, che non modificano il sistema di potere in profondità.

L’inabilità delle elezioni nel riformare la gestione politica algerina è inoltre riscontrabile dal poco impatto della nuova legge elettorale, emanata da Tebboune lo scorso 7 marzo. Nonostante la legge promuova per la prima volta nella storia del Paese la selezione di canditati tramite un sistema a lista aperta, autorizzando anche liste indipendenti, negli scorsi giorni il Capo dell’Autorità Elettorale (ANIE), Mohamed Charfi, ha detto che dei 39 partiti che hanno finora presentato i loro documenti atti alla registrazione, soltanto 19 “hanno soddisfatto i requisiti legali”, limitando il numero di candidati e rendendo ancora meno probabile un ricambio dell’élite politica nazionale.

A rendere ulteriormente complesso lo scenario elettorale è poi il recente ingresso di alcuni islamisti tra le fila dei manifestanti pro-democrazia. Nello specifico, a destare timore è soprattutto l’infiltrazione di alcune figure d’oltremare legate al Rachad, partito islamista messo fuori legge dal governo algerino, che potrebbero servirsi del carattere “pacifico e inclusivo” delle proteste per portare avanti i propri ideali e la propria agenda politica. Quest’ultimo fattore può giocare a favore del governo, che, a sua volta, potrebbe sfruttare strumentalmente la componente islamista per giustificare la repressione delle manifestazioni e accentrare ulteriormente il proprio potere. Inoltre, la presenza del Rachad potrebbe creare problemi agli stessi manifestanti, aprendo una spaccatura tra figure che continuano ad opporsi a ogni forma di collaborazione con il pouvoir corrotto e altre che vedono nelle elezioni di giugno l’ultima occasione per rivendicare le proprie istanze politiche, così da dimostrare il proprio distacco dagli islamisti.

Di conseguenza, la reticenza e l’impermeabilità della classe politica algerina alle trasformazioni socio-economiche non permette di riporre nelle prossime elezioni legislative grandi speranze di cambiamento, giustificando la diffidenza della popolazione algerina e il suo ritorno nelle piazze. Inoltre, se il movimento al-Hirak aveva fatto della protesta pacifica il suo caposaldo nel 2019, l’attuale penetrazione islamista potrebbe creare nuovi elementi di tensione e rendere ancora più complesso e tortuoso il processo di transizione democratica richiesto dal popolo, unico attore a rimetterci dalla situazione.

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