I riflessi del tentato golpe in Corea del Sud: evoluzione e scenari
Asia & Pacific

I riflessi del tentato golpe in Corea del Sud: evoluzione e scenari

By Tiziano Marino
12.04.2024

Il 3 dicembre, attorno alle 22:30 ora locale, il Presidente sudcoreano conservatore, Yoon Suk Yeol, ha annunciato in un discorso televisivo l’introduzione della legge marziale di emergenza nel Paese, giustificando la decisione con l’urgenza di sradicare la presenza di forze ostili apparentemente attive nelle file dell’opposizione. Il riferimento, in particolare, è alla possibilità che alcuni settori di quest’ultima, guidata dal Partito Democratico di Corea (DPK), siano legati al regime nordcoreano e agiscano per conto di questo. Il tema delicato dei rapporti con la Corea del Nord è stato spesso sfruttato a fini politici dal fronte conservatore, molto critico nei confronti dell’opposizione rea di aver promosso un approccio troppo morbido e dialogante con il regime guidato oggi da Kim Jong-un. Tuttavia, la chiamata in causa da parte di Yoon di presunte forze ostili vicine ai nordcoreani, inserite negli apparati statali, è apparsa da subito come ampiamente strumentale e l’evoluzione rapida della crisi ne ha smascherato la reale natura.

Secondo l’articolo 77 della Costituzione sudcoreana, il Presidente può dichiarare la legge marziale di emergenza o di sicurezza in caso di conflitto o altre rilevanti crisi nazionali. La prima fattispecie, quella annunciata da Yoon, avrebbe prodotto, se implementata, limitazioni alla libertà di parola, di stampa, di riunione e di associazione, nonché mutamenti nelle prerogative dell’esecutivo e della magistratura. A seguito dell’annuncio di Yoon, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, Park An-su, ha emesso un proclama con il quale si dichiaravano sospese tutte le attività politiche, comprese le operazioni dell’Assemblea Nazionale e degli enti locali, oltre a scioperi e manifestazioni pubbliche. Nel mentre, le forze di sicurezza hanno provato a sbarrare l’ingresso del Parlamento, mentre alcuni elementi delle Forze speciali (fonti locali parlano di circa 200 militari) sono entrati nell’edificio dalle finestre. Gli oppositori e la società civile si sono rapidamente radunati nei pressi dello stesso, dove si sono registrate tensioni e scontri di bassa intensità.

Malgrado i tentativi di bloccarne l’attività, l’Assemblea Nazionale sudcoreana si è riunita attorno all’una di notte per votare, con 191 voti sui 300 seggi complessivi, contro la decisione del Presidente Yoon, rendendola di fatto illegale. A votare sono stati principalmente i membri dei sei partiti di opposizione. In questo contesto, non solo il leader del DPK, Lee Jae-myung, ma anche il Presidente del Partito del Potere Popolare al Governo, Han Dong-hoon, hanno criticato fortemente la mossa di Yoon, a riprova del fatto che anche una parte degli esponenti della stessa maggioranza è stata colta di sorpresa. Dal canto loro, le forze di sicurezza hanno scelto dopo il voto del Parlamento di non intervenire e restare in disparte, fiutando probabilmente l’impopolarità della decisione del Presidente e, soprattutto, avendo compreso l’assenza di sostegno internazionale. Gli Stati Uniti, su tutti, hanno infatti fatto filtrare un certo grado di irritazione per la via che il Paese asiatico si apprestava a imboccare dopo l’annuncio.

Attualmente, appare lecito ritenere che Yoon abbia agito con il supporto di una parte delle Forze Armate e che queste lo abbiano poi abbandonato, avendo constato l’assenza di supporto popolare e l’esiguità delle fazioni favorevoli alla svolta autoritaria. Un ruolo importante nell’indirizzare la scelta del Presidente sembrerebbe essere stato svolto dal nuovo Ministro della Difesa, Kim Yong-hyun, nominato lo scorso settembre all’interno di una più ampia manovra di ridefinizione dei ruoli apicali relativi proprio alla sicurezza e alla difesa. Lo stesso Kim, che si era fatto notare nei mesi scorsi per alcune affermazioni riguardo la possibilità che la Corea del Sud sviluppasse un proprio deterrente nucleare, ha un passato nelle Forze Armate e si è reso protagonista negli anni di battaglie per il welfare del personale della difesa.

Ora, mentre la piazza chiede l’arresto del Presidente, le opposizioni hanno fatto sapere di voler denunciare per tradimento e violazione della Costituzione il Presidente, il Ministro della Difesa Kim e anche quello dell’Interno Lee Sang-min. Isolato e politicamente sconfitto, Yoon potrebbe quindi affrontare la procedura di impeachment, per nulla una novità nel panorama politico sudcoreano, che ne decreterebbe la fine della carriera. Probabile anche che la giustizia sudcoreana proceda ad indagare il presunto ruolo svolto da alcuni settori delle Forze Armate. Tuttavia, la volontà di epurare i responsabili di quanto accaduto si scontra con la necessità di non indebolire lo strumento militare in una fase di importanti tensioni nella penisola di Corea, riaccese dal recente rafforzamento dell’asse Pyongyang-Mosca.

Dietro la decisione di Yoon, Presidente estremamente impopolare e con un tasso di supporto tra la popolazione sceso attorno al 15%, vi è probabilmente la frustrazione nei confronti delle opposizioni, che controllano il Parlamento e bloccano da mesi proposte di legge e nomine governative. L’assenza di una maggioranza a suo sostegno in Assemblea Nazionale ha avuto effetti importanti in queste settimane anche sul processo di approvazione del bilancio. Proprio lo scontro sulla manovra economica per l’anno a venire avrebbe contribuito ad esacerbare gli animi, in un Paese in cui la polarizzazione politica è già a livelli molto elevati, con l’opposizione che ha imposto tagli per circa 2,8 miliardi di dollari ai fondi governativi destinati, tra le altre cose, al settore giustizia e alle forze dell’ordine. Nelle ore precedenti allo scoppio della crisi politica e costituzionale, Yoon era arrivato a definire l’Assemblea come un covo di criminali intenzionati a rovesciare l’ordine democratico liberale. Lo stesso Presidente aveva paventato da mesi la possibilità di introdurre misure dirompenti per sbloccare quella che percepiva come un’impasse politica. Inoltre, nelle settimane precedenti al 3 dicembre, sempre Yoon, invocando imminenti minacce alla sicurezza legate all’intensificarsi delle attività nordcoreane, aveva invitato le Forze Armate a mantenere un elevato livello di prontezza. Dopo i recenti accadimenti, tuttavia, anche quell’invito si può leggere come probabilmente rivolto al fronte interno.

A bloccare il tentativo di svolta autoritaria promossa dal Presidente Yoon è stata, soprattutto, la prontezza della società civile e del fronte di opposizione, scesi in piazza malgrado l’orario notturno in cui si è sviluppata la crisi. Tale rapidità di risposta, oltre a sottolineare la presenza di un forte sentimento democratico radicato in determinate fasce della popolazione, è stata probabilmente facilitata dal fatto che ampi settori della società, medici, lavoratori dei trasporti e dell’industria tecnologica, sono già mobilitati da mesi contro le politiche governative. Inoltre, la società civile sudcoreana ha confermato, nelle scorse ore, una tradizione che la vede spesso impegnata in lotte contro percepiti abusi di potere o politiche e leader impopolari, come già avvenuto nei primi anni duemila e nel 2016-2017.

Sul piano internazionale, la crisi sudcoreana è stata accolta con sorpresa. Gli Stati Uniti, in particolare, nelle fasi più concitate si sono limitati a richiamare pubblicamente le autorità alla gestione della crisi, senza mettere in dubbio il sostegno all’alleato asiatico sotto costante pressione da parte di Pyongyang. Appare probabile, comunque, che la scommessa fallita di Yoon sia stata decisa anche puntando sulla potenziale disattenzione statunitense legata alla transizione di potere. Gli stessi media cinesi hanno mantenuto un atteggiamento di cautela nelle ore successive agli avvenimenti, limitandosi nella mattinata successiva a descrivere gli eventi in maniera piuttosto asettica. Probabile, infine, che Russia e Corea del Nord sfruttino l’accaduto a fini propagandistici, anche se il rientro rapido della crisi lascia loro uno spazio relativamente ristretto.

Quanto accaduto avrà ricadute importanti sul panorama politico sudcoreano. Molti esponenti di spicco della maggioranza, vicini a Yoon, hanno già proposto le dimissioni e il Presidente potrebbe essere costretto a farsi da parte nelle prossime ore, venendo sostituito temporaneamente dal Primo Ministro Han Duck-soo. In questo quadro, è lecito immaginare che il Paese possa andare al voto e che questo possa essere influenzato da quanto accaduto il 3 dicembre. Parallelamente, appare probabile che dossier come quello del conflitto in Ucraina, almeno nel breve periodo, finiscano in secondo piano. L’instabilità del Paese, sommata a quella che regna da tempo già nel vicino Giappone, apre inoltre scenari preoccupanti sulla sicurezza complessiva del quadrante, tra i più critici a livello globale vista la sua centralità nella competizione USA-Cina. A tal proposito, occorre monitorare nelle prossime ore le mosse di Pyongyang e Pechino, attori per i quali una crisi politica ampia a Seoul potrebbe rappresentare un’opportunità per lanciare provocazioni o provare ad ampliare la propria influenza.

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