Crescenti tensioni in Bosnia-Erzegovina: a rischio l’assetto di Dayton e l’adesione all’UE
Il 5 luglio scorso, alcuni membri del Parlamento Europeo, tra cui il presidente della Commissione Affari esteri, David McAllister, e il Presidente della delegazione per le relazioni con la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, Romeo Franz, hanno chiesto, in un comunicato congiunto, che l’UE smetta di procrastinare l’imposizione di sanzioni mirate contro Milorad Dodik, Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (RS). Quest’ultimo, già sanzionato da USA e Gran Bretagna, avrebbe sistematicamente violato l’ordine costituzionale e l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina, ufficialmente candidata all’adesione all’UE dal dicembre 2022.
Gli avvenimenti destabilizzanti più recenti si sono verificati tra la fine di giugno scorso e l’inizio di luglio, quando l’Assemblea Nazionale della RS, entità politico-amministrativa del Paese a maggioranza serba, ha approvato una serie di leggi in contrasto con l’assetto istituzionale stabilito dagli accordi di pace di Dayton (1995). Le leggi in questione hanno sancito, infatti, l’inapplicabilità delle sentenze della Corte Costituzionale bosniaca nel territorio della RS e la sospensione della pubblicazione delle decisioni dell’Alto Rappresentante nella gazzetta ufficiale. L’Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina è l’autorità istituita in seno agli accordi Dayton al fine di sovrintenderne l’esecuzione e garantirne il rispetto, disponendo, se necessario, anche del potere di imporre provvedimenti legislativi e di rimuovere funzionari pubblici che abbiano violato i propri impegni giuridici.
Nello specifico, Milorad Dodik ha rivendicato la volontà di eliminare qualsiasi influenza straniera dalla RS, riferendosi principalmente ai provvedimenti adottati dall’Alto Rappresentante attualmente in carica, ovvero Christian Schmidt, il quale ha annullato le suddette leggi, ribadendo la necessità di esercitare tutti i poteri attribuitigli di fronte all’esistenza di un imminente pericolo di disgregazione del Paese. A riprova di ciò, Schmidt ha già sollecitato l’introduzione di modifiche al codice penale bosniaco, in modo da dare alle Forze dell’ordine e alle autorità giudiziarie competenti gli strumenti per rispondere adeguatamente ai tentativi eversivi di Dodik.
L’invocata ingerenza straniera negli affari interni è, inoltre, la principale causa anche delle misure adottate dalla RS contro le pronunce della Corte Costituzionale, costituita, ai sensi della recente modifica del proprio regolamento, da quattro membri dalla Federazione della Bosnia-Erzegovina, due della RS e tre scelti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ad allarmare ulteriormente tanto le istituzioni europee quanto quelle federali bosniache è la relazione speciale tra Dodik e il Presidente russo Putin. Sebbene gli strumenti di influenza russi nei Balcani occidentali siano limitati e in costante declino, il Cremlino è ancora abile nel manipolare ed usare a vantaggio della propria agenda di destabilizzazione i dossier critici nella regione, come, appunto, quello della RS.
L’evoluzione degli eventi delle ultime settimane suggerisce che ci sia un effettivo rischio di crescente destabilizzazione nel Paese, cui contribuiscono le rivendicazioni secessioniste del leader serbo Dodik e dei suoi collaboratori, ma anche le recenti iniziative legislative limitative della libertà di stampa e dei media. Ciò mette, infine, seriamente in discussione l’adesione della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea, nonostante l’impegno di quest’ultima nel contrastare le aspirazioni sovversive del leader serbo Dodik.