Geopolitical Weekly n.327

Geopolitical Weekly n.327

Di Sara Nicoletti e Stefania Montagna
23.05.2019

Cina-USA: Google blocca le licenze Android sugli smartphone Huawei

Martedì 21 maggio Google ha deciso di revocare le licenze Android per i dispositivi del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. Di fatto, la sospensione di Google interessa il trasferimento di tecnologie software, hardware e dei servizi tecnici, ad eccezione delle licenze con accesso aperto (open source). Inoltre, il ritiro delle licenze non bloccherà completamente l’uso del sistema Android sui dispositivi Huawei, bensì è volta a colpire i nuovi dispositivi che entreranno sul mercato.

Si tratta dell’ultima mossa della guerra tecnologico-commerciale che, da marzo 2018, vede opporsi Pechino e Washington. Nel corso dei mesi, le tensioni tra i due Paesi si sono inasprite ed hanno causato una vera e propria guerra tariffaria volta a colpire non solo il fronte commerciale, ma anche il fronte della tecnologia. La decisione di Google arriva in un momento particolarmente delicato tra Cina e Stati Uniti. Difatti, in seguito al fallimento dell’ultimo incontro tra le delegazioni incaricate di negoziare un accordo commerciale, gli Washington ha annunciato l’imposizione di nuove barriere tariffarie sulle merci cinesi per un totale di 200 miliardi di dollari. La Cina, a sua volta, ha reagito con un aumento dei dazi sui prodotti statunitensi per un totale di 60 miliardi di dollari. Pertanto, l’Amministrazione Trump, nella giornata del 15 maggio, ha deciso di inserire l’azienda cinese Huawei nella “entity list” delle società che mettono a rischio la sicurezza nazionale. Per cui, nel rispetto di questo ordine esecutivo, Google ha deciso di sospendere le licenze Android a Huawei.

La campagna contro il colosso cinese compiuto da parte dell’Amministrazione Trump si inserisce nella più ampia competizione strategica in corso tra la Casa Bianca e il Governo di Pechino per l’acquisizione del primato nel campo dell’innovazione tecnologica. L’impatto di un colpo come quello subito da Huawei, infatti, punta non solo a rallentare lo forte crescita del mercato cinese, ma anche a rallentare la corsa della Cina al dominio del mercato del 5G.

Benchè l’impatto immediato sembra destinato a colpire il colosso cinese, non sono da escludere i possibili effetti distorsivi che la chiusura del mercato statunitense a Huawei e l’inasprimento dei rapporti tra Cina e Stati Uniti potrebbe avere anche sul mondo industriale statunitense. In questo contesto, un momento importante di confronto potrebbe essere rappresentato dal possibile incontro tra Xi Jinping e Donald Trump, previsto in occasione del Vertice G20 che si terrà ad Osaka il 28 e 29 giugno.

India: le elezioni premiano di larga misura il Primo Ministro Narendra Modi

Il 23 maggio in India sono stati resi noti i risultati ufficiali delle elezioni per la Lok Sabha (camera bassa del Parlamento) che si sono tenute tra l’11 aprile e il 19 maggio, con più di 8000 candidati e 900 milioni di aventi diritto al voto. Il Bharatiya Janata Party (BJP), partito maggioritario della coalizione di centro-destra National Democratic Alliance, il cui volto è quello del Presidente uscente Narendra Modi, ha riportato una vittoria schiacciante, ottenendo 287 seggi (il minimo necessario per formare un governo è 272, su un totale di 543).

La vittoria di larga misura sulla coalizione di opposizione United Progressive Alliance (UPA), guidata dal Partito del Congresso Nazionale Indiano di Rahul Gandhi, sembra essere stata motivata dalla capacità del Primo Ministro uscente di puntare sul carisma della propria immagine, più che sui risultati ottenuti nei cinque anni precedenti. Infatti, durante la precedente amministrazione, l’economia indiana aveva subito un rallentamento rispetto alle aspirazioni di crescita proposte dal BJP, e delle scelte impopolari da parte del governo, come la messa al bando delle banconote da 500 e 1000 rupie (la cosiddetta “demonetizzazione”), avevano generato un malcontento diffuso. Tuttavia, in campagna elettorale Modi è riuscito a recuperare consensi tramite diverse strategie. Innanzitutto, ha costruito la sua retorica sul nazionalismo induista, unendo quindi un fattore politico come quello dell’identità nazionale a una componente spirituale in grado di fare leva sulla maggior parte della popolazione (l’80% degli Indiani è Induista). Inoltre, ha saputo mettere a sistema il tema della sicurezza nazionale, in relazione sia ai rapporti con il vicino Pakistan sia del pericolo legato al terrorismo di matrice jihadista, fomentato dal recente annuncio da parte di Daesh di una nuova provincia in India. A questo, il BJP ha saputo abbinare un programma politico rivolto non solo alle fasce più agiate o alla classe media ma anche alla panica del Paese, puntando, per esempio, sui programmi per i trasferimenti diretti di denaro agli agricoltori, fortemente colpiti nell’ultimo periodo da un calo nei prezzi dei prodotti agricoli.

I risultati della contestazione, inoltre, mettono in evidenza come la strategia elettorale del BJP sia risultata vincente anche al di là delle tradizionali enclave e abbia consentito al partito di incrementare il numero dei propri seggi anche in circoscrizioni prima appannaggio dei partiti rivali. Nel prossimo mandato, dunque, Modi non solo avrà un ampio margine di manovra all’interno del Parlamento per poter portare avanti il proprio programma, ma potrà anche avvantaggiarsi del nuovo clima politico per iniziare una strutturazione maggiore del proprio partito a macchia di leopardo nel Paese.

Indonesia: Widodo vince le elezioni presidenziali

Martedì 21 maggio la Commissione elettorale indonesiana ha reso nota la vittoria del Presidente uscente, Joko Widodo alle elezioni, tenutesi lo scorso 17 aprile.

La competizione elettorale ha visto la vittoria di Joko Widodo con il 55,5% delle preferenze, contro il 44,5% ottenuto dal rivale Prabowo Subianto. L’annuncio della Commissione elettorale, tuttavia, è stato contestato da Prabowo e dai suoi sostenitori, che sono scesi in piazza per protestare contro presunte irregolarità nello svolgimento delle elezioni. A Giacarta, gli scontri tra manifestanti e Forze di polizia hanno causato sei morti e centinaia di feriti.  Sebbene abbia esortato i sostenitori a non ricorrere alla violenza in piazza, lo stesso Prabowo si è rifiutato di firmare e di convalidare i risultati ufficiali delle urne e ha annunciato l’intenzione di volersi appellare alla Corte costituzionale per chiedere il ricorso.

La scelta di Prabowo potrebbe portare il Paese in uno stallo politico dall’incerta durata. Secondo la legge indonesiana, infatti, l’entrata in carica del nuovo presidente può diventare effettiva solo in seguito alla conclusione delle verifiche di regolarità. Ciò significa che, come già accaduto nel 2014, la conclusione ufficiale del processo elettorale potrebbe richiedere ancora alcune settimane. In un momento in cui l’Indonesia si trova a dover fronteggiare sfide di crescita interne ed internazionali, questo impasse potrebbe bloccare il processo di riforme già lanciato dal Presidente Widodo in questi ultimi cinque anni. Come dimostrato dai temi più caldi della campagna elettorale, il secondo mandato del Presidente si appresta a focalizzarsi sul rafforzamento infrastrutturale del Paese, sulla lotta alla corruzione a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica e sull’incentivo alla crescita economica. Nonostante questi dossier rappresentino le priorità per il governo, una spetto decisivo sembra destinato ad essere l’adozione di politiche sociali ispirate ad un miglioramento dei rapporti interreligiosi nel Paese e alla prevenzione al fenomeno del radicalismo di ispirazione jihadista. Non appare casuale, infatti, che il vicepresidente scelto da Widodo come braccio destro per il prossimi cinque anni sia Ma’ruf Amin, ex Leader del movimento islamista Nahdlatul Ulama (NU), una delle più grandi organizzazioni islamiche di Indonesia attiva nell’ambito dell’istruzione e della solidarietà sociale e impegnata in campagne di contrasto alla radicalizzazione.

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