Lo Stato indipendente dell’Azawad
Africa

Lo Stato indipendente dell’Azawad

Di Mara Carro
16.05.2012

L’Azawad è un’area di 80mila km2 che si estende tra i confini di Algeria, Benin, Burkina Faso, Guinea, Mali, Niger e Nigeria, a cavallo tra il deserto del Sahara e la regione del Sahel. La porzione maliana ingloba le regioni settentrionali di Kidal, Gao e Timbuctu ed è abitata principalmente dai Tuareg, una popolazione berbera e nomade del Sahara. Il suo interesse geostrategico deriva soprattutto dalla presenza nel sottosuolo di riserve di gas, oro, uranio e petrolio nonchè dal suo essere area di passaggio delle rotte del traffico illecito di armi, droga e carburante verso il nord del mondo. Inoltre, nella regione dell’Azawad si registra la presenza di Forze Speciali statunitensi nell’ambito della Trans-Sahara Counter Terrorism Partnership, iniziativa sorta per contrastare l’eventuale azione di cellule di al-Qaeda in the Islamic Maghreb (AQIM). “Operation Flintlock” è il nome in codice dell’operazione volta a sostenere l’addestramento delle Forze Armate dei Paesi coinvolti.

Dalla proclamazione d’indipendenza del Mali nel 1960, diversi movimenti autonomisti tuareg hanno dato vita a rivolte contro il governo di Bamako (1963, 1990 – 1995, 2006-2008) lamentando la marginalizzazione delle regioni settentrionali e rivendicando una maggiore rappresentatività politica, amministrazione decentrata, interventi volti a favorire lo sviluppo delle regioni del Nord e la smilitarizzazione del nord. Il più recente di questi movimenti si esprime nel Movimento Nazionale di liberazione dell’Azawad (MNLA) che, il 6 aprile, ha proclamato l‘indipendenza dello Stato dell’Azawad, non riconosciuto però dalla Comunità Internazionale.

L’MNLA nasce nell’ottobre del 2011 dalla fusione tra i gruppi tuareg che hanno preso parte alle prime rivolte contro il governo centrale, volontari provenienti dai diversi gruppi etnici del nord del Mali - Tuareg, Songhai, Peul e Moor -, disertori dell’Esercito maliano e combattenti tuareg di ritorno dalla Libia, dove hanno combattuto al fianco di Gheddafi, storicamente sostenitore dei movimenti indipendentisti tuareg. Sebbene sia stato ripetutamente accusato di collusione con AQIM, il Movimento rivendica la sua natura secolare, nazionalista e laica. La sua struttura politica comprende un Comitato Esecutivo, un Consiglio Rivoluzionario e un Consiglio Consultivo; gli obiettivi militari sono demandati all’Esercito di Liberazione e al suo Quartier Generale; mentre il vasto consenso riconosciutogli dalla popolazione deriva anche dall’attività di diversi Uffici regionali.

Dopo il mancato rispetto degli Accordi di Algeri del 2006, che avevano parzialmente posto fine alla ribellione della prima metà degli anni 2000 e che prevedevano il ritiro delle truppe dai territori settentrionali e interventi del governo centrale per lo sviluppo di queste aree, il MNLA, nel gennaio di quest’anno, ha lanciato la sua offensiva verso le principali città del nord del Mali. Quest’offensiva si è rapidamente evoluta da rivolta localizzata a insurrezione generalizzata. Il ritorno dei combattenti che avevano servito per Gheddafi e il flusso di armi in uscita dalla Libia ha dato modo al MNLA di intensificare la sua azione e di prendere progressivamente il controllo dei principali centri della regione sull’asse Tessalit - Timbuctu, comprese le città di Kidal e Gao.

L’offensiva dei Tuareg ha potuto avvantaggiarsi anche della confusione istituzionale e politica causata dal golpe militare che, guidato dal Capitano Sanogo, ha destituito il Presidente in carica, Amadou Toumani Touré la cui gestione della crisi del nord è stata giudicata inefficace. Dopo una breve parentesi d’impasse politica di governo dei militari, sulla base di un accordo raggiunto tra Giunta Militare e Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) per evitare il congelamento degli aiuti internazionali, lo speaker del Parlamento maliano, Dioncounda Traoré, è stato designato Presidente ad interim con il compito di guidare la transizione e risolvere il problema della sicurezza nel nord del Paese.

Parallelamente all’azione indipendentista condotta dall’MNLA, gruppi integralisti hanno affiancato i Tuareg nel combattere l’Esercito e lo Stato maliano. Si tratta del gruppo salafita Ansar al–Din, guidato dall’ex capo della rivolta tuareg degli anni ’90 ed ex console maliano a Gedda (Arabia Saudita), Iyad Ag Ghaly; del Movimento per l’Unicità della Jihad in Africa Occidentale (Mujao), gruppo islamico d’ispirazione qaedista del mauritano Mohammed Al Kery, responsabile del sequestro del console di Algeri e di altri sei diplomatici a Gao; e di AQIM di Mokhtar Belmokhtar e degli emiri Abu Zeid e Abdel Karim Targui.

Questi gruppi hanno aiutato i Tuareg con l’obiettivo di applicare la sharia nelle città “liberate” e controllare le rotte dei traffici illeciti nell’area e il business dei sequestri di occidentali; tuttavia pare stiano prendendo il sopravvento militare sul MNLA. Nei principali centri è segnalata la presenza sia del MNLA laico che dell’ala radicale legata a questi movimenti jihadisti. È così che Timbuctu è già di fatto amministrata dalle milizie di AQMI e di Ansar al–Din mentre il MNLA controlla l’aeroporto, Kidal pare sia diventata la roccaforte di Ansar al -Din, e a Gao, invece, mentre i Tuareg occupano gli edifici governativi, i gruppi islamisti controllano strade e dogana. Sempre a Gao è stata segnalata la presenza di un centinaio di combattenti del movimento integralista islamico nigeriano Boko Haram oltre che i primi atti di ostilità verso la comunità e i simboli cristiani.

Sebbene il MNLA sia ideologicamente distante dai gruppi jihadisti, un’alleanza fondata su mere logiche economiche – il controllo dei traffici illeciti - è il timore della Comunità Internazionale ancora indecisa tra un intervento militare, minacciato dall’ECOWAS, o una soluzione diplomatica, caldeggiata dall’Occidente.

Oltre ad essere la più grande ricaduta dell’anarchia generata dalla fine del regime libico, la crisi maliana va anche letta alla luce della crescente instabilità che negli ultimi anni sta caratterizzando il Sahel. Mauritania, Niger, Costa d’Avorio, Mali e Guinea sono infatti stati, dal 2008 ad ora, tutti teatri di colpi di Stato. Il prosperare poi di cellule qaediste preoccupa la Comunità Internazionale che vede nell’instabilità del Sahel, al centro della ridistribuzione delle sfere d’influenza tra gli attori internazionali per l’accesso alle ricchezze minerarie presenti, un rischio da evitare. Rischio connesso all’eventuale fallimento del Mali in quanto Stato che potrebbe trasformarsi, considerata anche la particolare collocazione geografica, in un nuovo hub per le rotte dei traffici illeciti e per la diffusione del jihadismo.

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