Il futuro della democrazia israeliana nello scontro tra laici e ultraortodossi
Medio Oriente e Nord Africa

Il futuro della democrazia israeliana nello scontro tra laici e ultraortodossi

Di Marco Canci
16.04.2012

Alla vigilia del tanto paventato attacco all’Iran un’altra minaccia, questa volta interna, preoccupa la politica israeliana: la crescente contrapposizione tra laici e ultraortodossi. Dalla firma dello Status Quo- il trattato siglato tra David Ben Gurion, in veste di Presidente dell’Agenzia Ebraica, e il partito ultraortodosso Adugat Israel – agli haredim (il nome ebraico con il quale sono chiamati gli ultraortodossi) sono riconosciuti privilegi nel campo nell’istruzione, della tassazione e l’esenzione militare per gli studenti delle scuole talmudiche. Gli haredim sono una comunità in forte crescita demografica- otto nascite a donna contro una media nazionale di 2,6- e secondo le ultime rilevazioni costituiscono circa il 10 per cento della popolazione. Allo stesso tempo i suoi membri sono tra i più poveri, i meno produttivi e i meno istruiti del paese: il tasso di disoccupazione tra gli uomini haredim raggiunge il 65,1 per cento. Negli ultimi anni alcuni dei numerosi insediamenti haredim in Cisgiordania sono diventati così popolosi e grandi da costituire veri e propri centri urbani tali da rendere impensabile un loro smantellamento.

Negli ultimi mesi sono sempre più numerosi i casi di cronaca che vedono protagonisti gli ultraortodossi. Nel settembre scorso una donna è stata “attaccata” su un autobus del trasporto pubblico di Bet Shemesh perché non voleva occupare i posti posteriori del veicolo, quelli riservati alle donne. Poco dopo, sempre a Bet Shemesh, degli haredim hanno protestato all’ingresso di una scuola contro delle studentesse - tutte bambine tra i sei e i dodici anni- per i loro atteggiamenti impuri. La loro colpa era di indossare maglie a maniche corte e jeans. La gravità di simili episodi ha indotto il segretario di stato americano Hilary Clinton ad alzare la voce e ad ammonire Israele sostenendo che un fanatismo del genere è più degno dell’Iran che di una democrazia liberale. Il pericolo che questo tipo di manifestazioni di protesta aumentino in intensità e violenza non è sfuggito alla classe politica israeliana e alla maggioranza dei commentatori. Quello che gli ebrei ultraortodossi stanno cercando di fare è di imporre una stretta osservanza religiosa e il loro codice comportamentale che comprende una rigida separazione dei sessi.

Gli haredim estremisti sono assai critici anche verso i compagni più moderati. Lo sa bene un ex parlamentare del partito ortodosso di governo Shas espulso dal partito per aver sostenuto la necessità che gli haredim facciano il servizio militare e abbiano un lavoro. L’esigenza di un cambiamento, di un nuovo accordo con gli haredim è avvertito da tutti ma sono pochi i politici disposti a scontrarsi con i potenti partiti ultraortodossi. La crescita della comunità haredim non solo ha incrementato il loro peso nella società israeliana ma anche quello politico. Alle elezioni parlamentari del 2009 lo Shas ha raccolto l’8,5 per cento dei consensi e ottenuto dodici seggi: i partiti religiosi sono sempre più indispensabili per la formazione di una coalizione di governo e ogni modifica ai privilegi degli haredim deve, inevitabilmente, ottenere il loro consenso.

Anche il fronte dei laici ha radicalizzato le proprie posizioni. Nei grandi centri urbani, soprattutto Tel Aviv, sono nati movimenti di protesta volti a combattere le coercizioni religiose. Le campagne mediatiche contro gli haredim (quella di una rivista di moda che ha fotografato una modella in abiti succinti circondata da modelli, vestiti da haredim, che la guardano desiderosi ha suscitato l’ira degli ultraortodossi) sono sempre più numerose e vedono coinvolti specialmente i giovani. In Israele ci si interroga sugli effetti di una contrapposizione sociale così forte e fino a dove essa si possa spingere. Al momento non ci sono le premesse per l’inizio di una “guerra culturale” tra laici e haredim. Le minacce esterne – quella di una guerra con l’Iran la principale- sono ancora un collante in grado di stringere tutti gli israeliani intorno ad una causa comune. Nel lungo periodo però le conseguenze potrebbero essere maggiori. I privilegi concessi agli haredim potrebbero presto diventare insostenibili per Israele; la crescita della comunità ortodossa (per alcuni demografi gli ultraortodossi costituiranno il 20 per cento della popolazione entro il 2034) ridurrà il numero di israeliani che pagano le tasse e che fanno il servizio militare.

Ai rischi economici e di sicurezza si aggiungono quelli relativi ad una degenerazione dello stato della democrazia israeliana. Israele è stata ed è considerata l’unica democrazia del Medio Oriente, l’unica in cui le libertà individuali vengono pienamente garantite. Se in futuro le proteste sulla separazione dei sessi e l’irrigidimento sull’osservanza religiosa dovessero aumentare potrebbero venir meno le fondamenta di ogni democrazia liberale e privare Israele della sua peculiarità istituzionale, unica nell’area medio orientale. E’ ancora troppo presto per definire in crisi la democrazia in Israele. Il futuro però potrebbe riservare un’economia da terzo mondo, una previdenza sociale dai costi insostenibili e un paese nel quale riservare scuole, posti sugli autobus e persino marciapiedi alle donne sarà considerato normale. Per evitare questa degenerazione si deve intervenire subito su fenomeni antitetici alla tradizione dello stato d’Israele e reprimere sul nascere rivendicazioni segregazioniste. Tocca alla società tutta trovare gli anticorpi necessari ad isolare le frange più violente e illiberali e alla politica trovare la forza e il coraggio per modificare scelte del passato per continuare a consegnare al mondo un Israele libero e democratico.

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