La sicurezza nel Golfo di Guinea tra dominio terrestre e marittimo
Africa

La sicurezza nel Golfo di Guinea tra dominio terrestre e marittimo

Di Michele Taufer
10.04.2016

La regione del Golfo di Guinea si estende per più di seimila chilometri, partendo dal fiume Senegal, situato tra lo Stato omonimo e la Mauritania, fino al fiume Cunene, che a sua volta separa l’Angola dalla Namibia. Una regione vastissima sulla quale si affacciano numerosi Paesi che, per il sostentamento e lo sviluppo delle loro economie, sono legati in maniera indissolubile allo sfruttamento delle risorse naturali, sia di tipo alimentare che energetico, che si trovano in quest’area. La necessità di garantire un controllo sempre più capillare ed effettivo sul dominio terrestre così come sugli spazi marittimi è ormai diventata di primaria importanza per questa regione. Il Golfo di Guinea garantisce, poi, a livello mondiale significative e importanti riserve di gas e petrolio, così come giacimenti di minerali rari, quali ad esempio uranio o la columbite-tantalite. I giacimenti di idrocarburi hanno, d’altronde, un peso rilevante per le economie degli Stati europei, basti pensare ad esempio che il petrolio nigeriano ha rappresentato più dell’8% totale delle importazioni di greggio dell’intera Unione nel 2014. Le comunità costiere che si affacciano alle acque del Golfo traggono la quasi totalità del loro sostentamento alimentare dallo sfruttamento delle risorse ittiche presenti nell’area e quindi dipendono dall’equilibrio di tale fragile ecosistema. Le acque del Golfo, infine, rappresentano un’importante via di comunicazione per il trasporto delle merci che collegano l’Africa, le Americhe e l’Europa, i cui interscambi hanno visto un aumento negli ultimi anni, vista la crescita e il miglioramento dell’economia proprio dei Paesi che si affacciano sul Golfo. Se i benefici economici che hanno interessato gli Stati dell’area hanno portato degli indubbi miglioramenti per le popolazioni e per le comunità residenti, alcune sperequazioni sulla distribuzione di tali proventi hanno però generato alcuni fattori di instabilità.

Un esempio significativo, in tal senso, è quello della Nigeria, il cui aumento di benessere non è riuscito a lenire le ferite e spaccature di tipo etnico-religioso all’interno della società civile vista la mancata redistribuzione degli introiti derivanti dal petrolio tra le varie comunità che compongono il Paese. L’instabilità interna nigeriana, che rappresenta per la regione l’attore politico più rilevante, ha comportato alcune pesanti ripercussioni anche sulla sicurezza dell’ambiente marittimo del Golfo.

A tal proposito è importante segnalare il caso del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger (MEND), gruppo di guerriglia che ha operato nell’area del Delta del fiume Niger a partire dal 2006 e sporadicamente attivo tutt’ora, dove ha condotto numerosi attacchi e sequestri ai danni delle installazioni petrolifere offshore o basate sull’estuario del fiume Niger, anche effettuando atti di pirateria marittima contro le navi e le imbarcazioni in navigazione sulle acque dell’area.

Le attività di pirateria vanno, a tal proposito, a costituire una delle voci più importanti che affliggono in maniera negativa il concetto di sicurezza marittima. Il fenomeno è ancora attivo a livello globale: occorre sottolineare che, durante il 2015, un totale di 96 marittimi e membri di equipaggio siano stati catturati, 47 dei quali dovrebbero essere ancora nella mani dei loro rapitori. La pirateria non è però l’unica voce che va a ledere l’ampio concetto di sicurezza marittima. Il termine, infatti, comprende anche altri aspetti, che, uniti tra loro, contribuiscono a garantire lo sviluppo e la prosperità delle attività correlate e svolte in una determinata area marittima.

Sino all’epoca della Guerra Fredda, la sicurezza nel dominio marittimo era quasi totalmente legata al concetto di minaccia convenzionale tra Stati, mentre, con il progredire della globalizzazione e l’emergere di attori non-statali, il termine si è arricchito di alcune dinamiche di tipo asimmetrico, inglobando anche alcuni elementi tipicamente rientranti nella parte  Constabulary della sicurezza di un Paese. Con particolare riferimento al Golfo di Guinea, lo sfruttamento illegale delle risorse ittiche presenti nell’area, così come le attività illecite correlate con lo sversamento in mare di rifiuti tossici o, più in generale, l’inquinamento ambientale fuori controllo vanno a colpire pesantemente e pregiudicare questo concetto di sicurezza, minando lo sviluppo e le attività economiche delle comunità dei Paesi rivieraschi. La non sicurezza marittima, da considerarsi nella sua accezione più ampia, quindi, va a ripercuotersi sulle comunità a terra, ingenerando un circolo vizioso che continua ad alimentare tali azioni criminose. Non avendo sostanzialmente degli sbocchi legali, le comunità costiere, per il loro sostentamento, vengono “attirate” dalle organizzazioni che traggono benefici economici mediante le attività illecite o che rivendicano istanze politiche attraverso atti criminosi e/o di terrorismo/guerriglia.

Il contrasto a un fenomeno così complesso e a un’instabilità in grado di minare lo sviluppo di un’area di sempre maggior importanza per i commerci mondiali ha visto scendere in campo numerosi attori: naturalmente in prima linea vi sono le Forze di Sicurezza dei singoli Stati dell’area. Tuttavia, la mancanza di coordinamento tra queste realtà statuali, a cui vanno a sommarsi carenze di tipo addestrativo, operativo e deficienze legate alla disponibilità di risorse economiche da destinare al comparto della sicurezza, rendono nella maggior parte dei casi vane e inefficaci le azioni di contrasto ai fenomeni di carattere transazionale che vanno ad affliggere la regione.

La Comunità internazionale, in risposta a queste sfide, ha quindi deciso di porre in essere alcuni interventi. In particolare, gli Stati Uniti hanno lanciato l’iniziativa dell’African Maritime Law Enforcement Partnership (AMLEP), diretta e coordinata dal Comando militare del Pentagono dedicato alle operazioni in Africa (AFRICOM) in partnership con le Nazioni dell’area. Lo scopo del programma è quello di sviluppare e migliorare le capacità inerenti il controllo degli spazi marittimi sia per quanto concerne il lato propriamente militare sia per quello maggiormente orientato al ruolo Constabulary, settore che riveste un’assoluta rilevanza nel sistema di sicurezza dell’intero Golfo. L’azione statunitense svolge sostanzialmente un esercizio di “sicurezza per procura” ottimizzato nel tentativo di far crescere maggiormente in capacità e in disponibilità operativa per quanto concerne i mezzi e l’addestramento, le Forze Armate e di Sicurezza degli Stati rivieraschi.

L’Unione Europea riconosce che il Golfo di Guinea, così come l’area del Sahel, costituiscono un pericoloso arco di instabilità le cui problematiche, connesse al terrorismo internazionale, al traffico illecito di armi e di droga, nonché alla tratta di esseri umani, che negli ultimi anni lambisce i confini meridionali europei, vanno a interessare in maniera diretta la sicurezza nazionale degli Stati membri dell’Unione. A tal proposito è interessante segnalare come la strategia europea, per quanto concerne la sicurezza marittima al di fuori dei propri confini, segua un approccio definito comprensivo: il miglioramento delle condizioni di sicurezza marittime e delle attività svolte da uno Stato in quest’ambito dipendono in maniera indissolubile e sono legate a doppio filo alle condizioni di sicurezza interne e che quindi si svolgono nel dominio terrestre del Paese. L’Unione Europea ha intrapreso, negli anni scorsi, alcune operazioni militari volte al miglioramento delle capacità di intervento e di contrasto ai fenomeni transnazionali che minano la sicurezza nell’area del Sahel, come ad esempio le missioni EUCAP Sahel Mali, EUTM Mali oppure EUCAP Sahel Niger o EUMAM RCA (Repubblica Centroafricana). Queste ultime due in particolare, sono focalizzate sul miglioramento delle condizioni di sicurezza e sul contrasto ai traffici illeciti dei due Paesi. Queste azioni vanno quindi a concentrarsi e ad interessare solo alcuni Paesi posti a ridosso dell’area del Golfo di Guinea.

Accanto alle azioni di Unione Europea e Stati Uniti si sommano gli sforzi di altri Stati europei che hanno svolto e mantenuto negli ultimi anni una serie di esercitazioni e di collaborazioni bilaterali con i Paesi della regione, soprattutto in ambito navale, nell’ottica di un miglioramento delle loro capacità di risposta alle problematiche prima menzionate.

In conclusione, il Golfo di Guinea si presenta come un’area potenzialmente ricca di opportunità, ma anche caratterizzata da grandi sfide che ne intaccano lo sviluppo e la stabilità. In particolare, è il concetto di in-sicurezza marittima con i suoi risvolti e le sue ripercussioni nei confronti delle popolazioni locali che, nel medio e lungo periodo, potrebbe generare un terreno fertile e un substrato sociale permeabile all’ascesa e al continuo proliferare di gruppi criminali e di organizzazioni destabilizzanti per l’area. Un contrasto effettivo a tali fenomeni deve necessariamente adottare una strategia di ampio respiro che riesca ad agire su entrambi i fronti della minaccia: quello marittimo e quello terrestre/costiero. Il primo attraverso l’opera di build-up delle Marine dell’area compatibilmente con l’obbiettivo di poter garantire il controllo effettivo delle SLOC e, più in generale, di effettuare missioni di tipo Sea Control e Constabulary nell’area. Il secondo attraverso l’implementazione di strategie volte ad uno sviluppo economico sostenibile delle comunità rivierasche e ad una maggiore opera di controllo e di capacità di contrasto dei gruppi criminali, anche in chiave transnazionale. L’Unione Europea, visti gli interessi presenti nell’area e visti i rischi derivanti da un peggioramento della situazione, è auspicabile che in futuro assuma un ruolo maggiormente incisivo nel Golfo. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di implementare le proprie strategie in materia di Maritime Security, in un’ottica di Security Building e di prevenzione delle crisi.

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