Le mosse espansive della Russia sullo scacchiere artico
Russia e Caucaso

Le mosse espansive della Russia sullo scacchiere artico

Di Francesco Pesce
28.02.2016

Le regioni polari, scarsamente abitate per la rigidità del loro clima, sono da secoli aree contese tra Stati. Nel corso del Novecento, in coincidenza con l’imponente sviluppo del diritto internazionale, si è assistito a una migliore definizione dello status dei Poli. Tuttavia, mentre il territorio dell’Antartide è stato “internazionalizzato” con il Trattato di Washington del 1959, un’intesa altrettanto strutturata non è stata raggiunta in merito all’Artide, dove non vi sono territori bensì un oceano, per quanto coperto da ghiacci perenni, i cui oltre 45mila chilometri di costa sono sottoposti alla sovranità di numerosi Stati: Russia, Norvegia, Islanda, Danimarca (via Groenlandia e isole Faer Oer), Canada e Stati Uniti (più precisamente, lo Stato dell’Alaska).

La competizione per l’Artico si è intensificata negli ultimi anni in quanto il ritiro dei ghiacci, conseguenza del cambiamento climatico, ha concretizzato nuove opportunità di esplorazione e di sfruttamento di risorse naturali. Questa contrapposizione tra Stati è potenziale fonte di rischi concreti per la sicurezza internazionale, specialmente se si considera che l’attore più assertivo sul campo, la Federazione Russa, attraversa un periodo di tensione nei rapporti con Europa e Stati Uniti.

Mosca ha recentemente rilanciato il proprio espansionismo nell’Artide: lo conferma la sua nuova Dottrina marittima, presentata dai massimi vertici della Federazione in occasione della Giornata della Marina, lo scorso luglio. Questo documento di pianificazione strategica ha durata ventennale e si pone come base per la programmazione delle attività marittime di breve, medio e lungo periodo costituendo, insieme alla Dottrina militare adottata nel 2014, la bussola politica con cui la Russia intende garantire i suoi obiettivi e i suoi interessi nel settore della difesa. In particolare, la Dottrina individua il Mar Glaciale Artico come una delle aree di principale interesse strategico per la Russia, dedicandogli un’intera sezione.

Il documento enuncia i tre punti principali della politica di Mosca nell’Artide: l’importanza della sicurezza del libero sbocco della flotta russa nell’oceano Atlantico e in quello Pacifico, il crescente significato del passaggio del Mare del Nord per il continuo sviluppo della Federazione Russa e per la sua sicurezza, nonché il ruolo decisivo della Flotta del Nord nella difesa del Paese. Questa rilevanza strategica attribuita all’Artide non è casuale: la Russia è storicamente l’attore maggiormente presente nell’area, ma non il solo. Tutti gli Stati rivieraschi dell’Artico rivendicano infatti diritti su aree più o meno vaste della piattaforma continentale, ovvero quella parte di fondale contigua alla costa che si mantiene a profondità costante per poi precipitare negli abissi.

La conformazione geologica dei fondi marini assume rilievo per il diritto internazionale: secondo la Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), conclusa a Montego Bay nel 1982, la piattaforma continentale è il naturale prolungamento della costa degli Stati, che ivi godono del diritto di sfruttamento le risorse minerali e gli idrocarburi presenti sul suolo e nel sottosuolo e le risorse viventi sedentarie, nonché di installare isole e circondarle di zone di sicurezza. L’art.76 Unclos stabilisce per la piattaforma un’estensione minima di 200 miglia marine dalla linea di base, ovvero dal confine giuridico che separa le acque interne dello Stato da quelle internazionali. Tuttavia, qualora sussistano certi requisiti geologici, la piattaforma può estendersi fino a una distanza massima di 350 miglia marine dalla linea di base.

Proprio sul diritto internazionale la Russia basa la sua azione diplomatica, mirata a rivendicare un’area della piattaforma artica pari a ben 1,2 milioni di chilometri quadrati. Il 4 agosto scorso, Mosca ha avanzato una richiesta formale presso la Commissione delle Nazioni Unite sui limiti della piattaforma continentale. Quest’ultima è un organo istituito dalla stessa Unclos allo scopo di facilitare il dialogo tra Stati sulla definizione delle rispettive piattaforme, di valutare l’evidenza scientifica del fondale marino e di formulare, sulla base della valutazione, raccomandazioni non vincolanti. Qualora uno Stato parte della Unclos desideri definire la sua piattaforma continentale oltre le 200 miglia marine dalla linea di base è tenuto comunicarne i confini alla Commissione, apportando i dati scientifici su cui basa la sua rivendicazione (art. 4, Allegato II Unclos).

Questo è precisamente ciò che ha fatto il Cremlino, supportando la sua azione diplomatica con argomenti scientifici: le autorità russe sostengono che la dorsale Lomonosov, una catena montuosa sottomarina che attraversa l’intero oceano Artico dividendolo in due bacini, costituisca parte della massa continentale eurasiatica su cui Mosca esercita sovranità. In conseguenza, la piattaforma continentale russa nell’Artico si estenderebbe fino al polo nord.

È opportuno ricordare che, dopo aver ratificato l’Unclos nel 1997, la Russia aveva presentato alla Commissione una richiesta simile già nel 2001, ma l’organo Onu l’aveva respinta per insufficienza di prove scientifiche. Qualche anno dopo, nel 2007, un sottomarino aveva provocatoriamente piantato il tricolore russo sul fondale dell’oceano, proprio al polo nord.

Del resto, il presidente Vladimir Putin include da sempre le rivendicazioni sull’Artide tra le priorità strategiche del Paese e ha recentemente aumentato la presenza delle Forze Armate nella regione. Questa primavera l’esercito russo ha svolto nell’Artico esercitazioni che hanno coinvolto 28mila unità, più di 50 navi e sottomarini e 110 velivoli. Inoltre, la Russia ha appena ultimato sull’80° parallelo nord, nell’arcipelago noto come Terra di Francesco Giuseppe, la costruzione di una base militare di 14mila metri quadrati, battezzata “Trifoglio artico” per via della sua struttura a tre punte. Finora la base russa più vicina al polo era quella dell’Isola Kotel’niy, sul 75° parallelo. Come se non bastasse, Mosca ha progetti per la realizzazione di 13 aeroporti e 6 acquartieramenti nell’Artide.

Le richieste del Cremlino alla Commissione Onu sono state immediatamente contestate da Stati Uniti, Canada, Norvegia e Danimarca. Anche queste quattro nazioni hanno, in passato, avanzato pretese su diverse zone della piattaforma artica. Alla base di simili mosse politiche non vi sono ragioni di puro prestigio: si stima infatti che il fondale dell’Artico racchiuda un quarto delle risorse di petrolio e gas non ancora scoperte, oltre a giacimenti di nichel e oro. Qualora riuscisse a concretizzare le sue rivendicazioni, Mosca avrebbe il diritto di disporre di ben 4,9 miliardi di tonnellate di idrocarburi: una quantità significativa, ancor più se si considera la natura dell’economia russa, massicciamente basata sullo sfruttamento di risorse naturali.

L’importanza dell’Onu come arena diplomatica per questo confronto si spiega con lo scarso grado di istituzionalizzazione delle strutture proprie della regione polare. Tra di esse, la più significativa è il Consiglio Artico, un forum intergovernativo con otto Stati membri, che comprende come osservatori altri dodici Stati (tra cui l’Italia) e numerose organizzazioni rappresentative delle comunità indigene dell’Artide. Anche se poco strutturato, quest’organismo è stato utile a incoraggiare il dialogo: per esempio, nel 2011 ha favorito la conclusione di un trattato che coordina le operazioni di internazionali di ricerca e soccorso nell’Artico, stabilendo l’area di responsabilità di ciascuno degli Stati parte. Una suddivisione meramente logistica, e mantenuta dagli Stati stessi esplicitamente scollegata dalle confliggenti rivendicazioni di sovranità.

Come già accennato, le possibili conseguenze dell’assertività russa nell’Artico non sono da sottovalutare, in particolare se si considera che Usa, Canada, Islanda, Danimarca e Norvegia sono membri della Nato. I rapporti tra Mosca e l’Alleanza Atlantica sono attualmente pessimi in conseguenza della crisi ucraina: si ricordino le conclusioni del vertice Nato del Galles, 5 settembre 2014, quando gli Alleati dichiararono come le “azioni aggressive” della Russia contro l’Ucraina avessero minacciato significativamente la sicurezza e la libertà europee.

Comprensibilmente, le aree che meglio indicano lo stato delle relazioni tra Russia e Occidente in questi mesi sono l’Ucraina e il Medio Oriente. Tuttavia, anche nell’Artide la situazione è in rapida evoluzione, in particolare per impulsi provenienti da Mosca, e le potenziali occasioni di crisi potrebbero nel prossimo futuro essere sempre più numerose.

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