Mali, una quiete apparente
Africa

Mali, una quiete apparente

Di Ce.S.I. Staff
31.05.2015

A distanza di 2 anni dagli accordi di Ouagadougou (giugno 2013) e dopo i tentativi di mediazione effettuati da Algeria, Mauritania e Burkina Faso, il conflitto maliano è ben lungi dal trovare una soluzione stabile.

Il 15 maggio scorso, a Bamako, il Governo maliano ha siglato l’accordo di pace con il Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA), comitato che riunisce i gruppi ribelli tuareg protagonisti degli scontri iniziati nel 2011. Nonostante i proclami del Presidente Ibrahim Boubakar Keita, l’accordo è stato ratificato soltanto da alcuni oscuri movimenti minoritari e boicottato dalle principali organizzazioni ribelli: il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA), l’Alto Consiglio dell’Azawad (ACA) e il Movimento Arabo dell’Azawad (MAA). Questi ultimi, che da sempre raccolgono la grande maggioranza del sostegno tuareg nel nord del Mali e che hanno costituito, in maniera differente, la spina dorsale delle milizie anti-governative, hanno rifiutato i contenuti dell’accordo, ritenuti non in linea con le loro necessità sociali (concessione di terre per il pascolo del bestiame), culturali (tutela della lingua Amazigh) e con le rivendicazioni autonomistiche nelle regioni settentrionali di Kidal, Timbouktou e Gao.

Infatti, non è un mistero che i Tuareg maliani ambiscano a replicare il modello del vicino Niger, nel quale i clan orientali della confederazione tribale (Iwellemmedan Kel Dinnik) sono riusciti sia ad ottenere quote fisse negli organi politici centrali sia a creare una sorta di auto-governo nella provincia settentrionale di Agadez. Occorre sottolineare come nel corso delle trattative si sia verificato un aumento degli attacchi da parte delle milizie tuareg e dei gruppi jihadisti: a partire da gennaio, oltre 20 attentati con 45 morti. Senza la presenza di MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) e dei militari francesi del della missione BERKHANE, il Paese scivolerebbe in piena guerra civile. Oltre alla perdurante conflittualità tra Governo e insorti, che continua a rispecchiare l’attrito etnico tra Tuareg e Arabi da una parte e Mandè e Songhai dall’altra, il quadro maliano è reso più complesso dalla frammentazione del fronte ribelle, incapace di generare un’agenda politica unitaria oltre che lacerato da frizioni inter-claniche e complicato dai continui cambi di schieramento delle varie tribù.

Quest’ultimo elemento rende molto difficile l’affermazione di un gruppo maggioritario, in quanto la fluidità delle alleanze determina un continuo cambiamento dei rapporti di forza. Ne consegue che il CMA è funzionale al protocollo richiesto dalle trattative con il governo ma privo di potere reale. Al suo interno, i 3 movimenti
tuareg lottano per la supremazia regionale, hanno obiettivi differenti e si scontrano per il controllo degli snodi strategici lungo le vie carovaniere del deserto. Il MNLA conta circa 5.000 miliziani ed è basato a Timbouktou e nella parte occidentale della regione di Kidal.

È l’espressione dei clan Idnan, Kel Instar e Iwellemmeden ed è guidato da Bilal Ag Acherif e da Mohamed Ag Najem. Si tratta dell’organizzazione maggiormente disposta al dialogo: un atteggiamento figlio della progressiva decadenza del movimento che lo costringe a cercare il sostegno del Governo centrale e a ridimensionare le proprie rivendicazioni. Il MNLA collabora anche con i rappresentanti della missione ONU MINUSMA e con le Forze Speciali francesi, ai quali fornisce informazioni sui movimenti dei gruppi jihadisti o sui convogli scortati dai clan rivali. L’MAA, al comando di Ahmad Ould Sidi Muhammad e Hussein Ould Ghulam, è la formazione più esigua, con appena 500 uomini, e rappresenta la minoranza araba stanziata lungo l’area centrale del confine con la Mauritania. La sua roccaforte è la cittadina di Tilemsi, nella regione di Timbouktou. Nonostante la sua milizia collabori con le Forze Armate maliane e francesi nel contrasto alle attività delle katibe (brigate) jihadiste, l’MAA si è dimostrato tra i gruppi più critici riguardo gli accordi, chiedendo la concessione di ampie autonomie locali e, soprattutto, la tutela non solo dei diritti dei Tuareg, ma anche degli Arabi che, nonostante il loro ridotto numero (meno del 4% della popolazione), possono contare sul sostegno dei “fratelli” nord-africani e mauritani. Infine, l’ACA, movimento sorto dalle ceneri di Ansar al-Din (gruppo tuareg di Iyad ag Ghaly orbitante nel network qaedista nordafricano), costituisce il riferimento del clan Kel Adrar, basato nella città di Kidal e nell’altopiano dell’Adrar des Ifoghas.

L’ACA, nonostante sia numericamente inferiore all’MNLA (circa 3.000 miliziani), dispone di una maggiore forza economica, politica e militare. Infatti, i suoi membri non solo controllano le tratte più lucrative dei traffici illegali, ma presumibilmente continuano a collaborare con Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e con al-Mourabitoun (le Sentinelle), il principale gruppo jihadista nell’area del Sahel-Sahara guidato da Mokhtar Belmokhtar (ucciso in un recente raid in Libia). Infatti, il vertice dell’ACA è costituito dai fratelli Mohamed e Alghabass Ag Intalla, figli di Intalla Ag Attaher, leader Supremo
(Amenokal) del clan Kel Adrar. I 2 fratelli non solo risultano essere il tramite tra le tribù tuareg e Belmokhtar, ma hanno ereditato la gestione del traffico d’armi con la Libia dopo la morte di Ibrahim ag Bahanga. L’ACA ha una marcata ideologia salafita ed è il gruppo meno incline al compromesso nei confronti di Bamako.

La durezza delle posizioni della famiglia Ag Intalla è agevolata dal controllo di Kidal, dalla quale le truppe maliane e di MINUSMA sono state espulse dopo la sanguinosa battaglia del 21 maggio 2014. Infine, un discorso a parte meritano le milizie jihadiste. Dopo la sconfitta del 2013 e l’abbandono del progetto di trasformazione dell’Azawad in un emirato islamico, una buona parte delle katibe sono migrate in direzione della Libia, del Niger, dell’Algeria e addirittura del nord della Nigeria per unirsi a Boko Haram.

Al momento il gruppo più influente è al-Mourabitun, le cui roccaforti sono Kidal e Gao, che negli anni è riuscito a tessere una solida relazione con i Tuareg. Oltre al controllo del territorio, che i jihadisti condividono con i Tuareg nella regione di Kidal e nell’Adrar des Ifoghas, i miliziani hanno lanciato una massiccia offensiva contro diversi obiettivi (Forze Armate e istituzioni politiche maliane, MINUSMA e cittadini occidentali). In molti casi, a coadiuvare le katibe sono state piccole unità tuareg appartenenti al MNLA e all’ACA.

La novità più rilevante è che, rispetto alla guerra del 2012-2013, gli attacchi hanno riguardato anche Bamako: si veda, per esempio, l’attacco dello scorso 8 marzo ad un ristorante frequentato da Occidentali, nel quale sono morti 3 poliziotti maliani e 2 cittadini europei. In definitiva, il perdurare della conflittualità tra Bamako e i gruppi tuareg e le fitte relazioni che questi ultimi continuano ad intrattenere con i jihadisti mettono a rischio il processo di pace e aumentano il rischio di una possibile nuova insurrezione come quella del 2012-2013. A sostenere questa tesi è anche la dichiarazione di fedeltà allo Stato Islamico effettuata da Belmokhtar, che apre alla possibilità di un rilancio del progetto jihadista statuale. Questa volta l’emirato del Sahel, appoggiandosi alle rivendicazioni dei Tuareg e dei Toubou libici, non punterebbe al nord del Mali, bensì ad una vasta terra di nessuno compresa tra Kidal, il nord del Niger e il sud della Libia, dove la rete jihadista ha radici solide e alleanze strutturate.

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