La postura internazionale dell'Iran nell'Era Rouhani
Asia e Pacifico

La postura internazionale dell'Iran nell'Era Rouhani

Di Francesca Manenti
24.01.2016

Il 2015 sembra poter essere considerato un anno di importante svolta per le relazioni tra Iran e la Comunità Internazionale. La conclusione dello storico accordo sul programma nucleare tra Teheran e il gruppo dei così detti P5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania), avvenuta con successo a Vienna lo scorso luglio, ha segnato un momento di storica apertura da parte del governo iraniano, dopo quasi quarant’anni di isolamento e di diffidenza verso l’esterno. L’intesa di Vienna, tuttavia, è stata il momento culminante di un processo di riavvicinamento alla Comunità Internazionale promosso e fortemente incentivato dall’attuale Presidente Hassan Rouhani che, ormai da due anni, ha fatto del dialogo con gli interlocutori internazionali una priorità strategica della propria agenda. Fin dalla sua elezione nel maggio 2013, infatti, Rouhani ha guardato al termine del pluriennale isolamento dell’Iran come ad un’opportunità non solo per accrescerne lo status regionale, ma, soprattutto, per portare il Paese fuori dalla morsa delle sanzioni che avevano ormai stremato le già compromesse condizioni economiche interne.

L’attivismo diplomatico del Presidente, tuttavia, si è dovuto inevitabilmente modulare sulla tradizionale rigidità del sistema iraniano. In un Paese in cui le priorità strategiche per lo Stato vengono formulate secondo un attento bilanciamento tra la sfera politica e l’establishment militare, espressione delle istanze più conservatrici, il nuovo governo ha dovuto agire con grande cautela per mantenere i delicati equilibri interni. In Iran, infatti, i dossier sensibili per gli interessi nazionali, quali la politica estera e di sicurezza, non sono prerogativa dell’esecutivo ma della Guida Suprema, massima autorità politica e religiosa della Repubblica Islamica, che può delegare il governo alla gestione delle voci in agenda, ma a cui spetta, in ogni caso, l’ultima parola sulle decisioni in materia. Per scongiurare che l’atteggiamento promosso dal proprio esecutivo potesse spingere gli ambienti più tradizionalisti, sia religiosi sia militari, da sempre più vicini alla Guida Suprema, a cercare di ridurre la libertà di manovra del governo, Rouhani, di fatto, si è trovato a dover fare un passo indietro nei confronti di alcune questioni considerate di interesse primario soprattutto per l’establishment militare.

Da ciò è derivato che, ora, la politica estera iraniana, sebben formulata in modo sinergico dalle istituzioni, si presenti sostanzialmente gestita su un doppio binario. Da una parte, il Ministero degli Esteri porta avanti le relazioni diplomatiche, l’affermazione del ruolo internazionale dell’Iran e il processo di normalizzazione delle relazioni verso l’esterno. Dall’altro, l’apparato militare, in particolar modo le Guardie Rivoluzionarie (Pasdaran), gestisce le questioni di prioritario interesse per la sicurezza nazionale, quali il deterioramento delle crisi in Medio Oriente e la proiezione della potenza iraniana nella regione.

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