Il ritiro francese e le incertezze in Mali
Africa

Il ritiro francese e le incertezze in Mali

Di Staff Ce.S.I.
27.06.2013

Il 31 gennaio, dopo appena 20 giorni dall’inizio dell’Operazione SERVAL, le truppe francesi del GTIA (Groupement Tactique Interarmes), supportate da elementi degli Eserciti Maliano (1.000 unità) e Ciadiano (2.000 unità), hanno conquistato Kidal, capoluogo dell’omonima provincia nel nord-est del Mali ed ultimo bastione della coalizione delle forze jiahdiste composto dal gruppo radicale islamico tuareg Ansar al-Din, dal MUJAO (Movimento per l’Unità ed il Jihad nell’Africa Occidentale) e da AQMI (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico). Dopo aver rafforzato il controllo sui centri urbani sottratti ai ribelli (Konna, Douentza, Gao, Timbouktu e Kidal), il comando francese, tra il 19 febbraio ed il 5 aprile, ha condotto l’Operazione PANTHER, una massiccia campagna per neutralizzare i combattenti jihadisti rifugiati nell’Adrar des Ifoghas, remoto altopiano roccioso a nord-est di Kidal. Anche in questo caso il contingente francese è stato affiancato dalle truppe ciadiane, i cui reparti hanno ricoperto un ruolo determinante nella battaglia dell’Ifoghas (22 febbraio), durante la quale sono state impiegate sul fronte sud-est, presso la valle di Amettetai, e nella battaglia di Tigharghar (12 marzo), presso la valle di el-Hacher. Tuttavia, l’azione più significativa del contingente ciadiano è stata l’uccisione, il 28 febbraio, dell’algerino Abdelhamid Abu Zeid, una delle figure più influenti del panorama jihadista nordafricano e comandante dell’Emirato del Sahara di AQMI. L’Operazione PANTHER ha rappresentato un duro colpo anche per il BCFS (“Battaglione di Coloro che Firmano con il Sangue”) e per il suo comandante Mokhtar Belmokhtar, uno dei massimi esponenti del jihadismo saheliano ed organizzatore del sequestro di In Amenas in Algeria (16 gennaio). Infatti, pare che molti elementi del Battaglione, attivo soprattutto a Gao e ad Aguelhok, siano rimasti uccisi o costretti a fuggire in Algeria o in Libia a seguito delle azioni della coalizione a guida francese. Lo stesso destino di Belmokhtar appare incerto, anche se, al contrario di Abu Zeid, non c’è stata alcuna conferma ufficiale di una sua uccisione. E’ possibile che il leader del BCFS sia fuggito dal Mali e si sia rifugiato nelle aree desertiche in Algeria o Libia, sfruttando i legami con tribù locali. La perdita dei centri urbani e la campagna nell’Ifoghas hanno costretto le forze jihadiste ad un repentino cambio di strategia, passando dal confronto simmetrico con il disorganizzato e male equipaggiato Esercito Maliano nei primi mesi dell’insurrezione nel 2012, ad una tattica di combattimento puramente asimmetrica, basata sulla guerriglia e sull’utilizzo di attentatori suicidi, più funzionale contro le Forze Armate francesi e ciadiane. I primi attentati suicidi sono avvenuti a Gao l’8 ed il 10 febbraio, entrambi al check point nord della città, presidiato da soldati maliani, ed hanno causato 7 feriti. Nelle settimane successive, complice la campagna dell’Ifoghas, il numero degli attacchi è sensibilmente aumentato, soprattutto su Kidal ed il suo circondario (22 febbraio, 7 morti; 27 febbraio, 5 morti). Tuttavia, l’attentato più grave è stato messo a segno, sempre a Kidal, il 12 aprile, quando un attentatore si è fatto esplodere in un mercato locale uccidendo 5 soldati ciadiani. Gli attacchi di Gao sono stati rivendicati dal MUJAO, mentre nessuna dichiarazione in merito è avvenuta sugli attacchi di Kidal. Nonostante l’aumento del numero di attacchi suicidi, il Ministero della Difesa francese ha dichiarato terminata la missione in Mali e, il 7 aprile, ha disposto l’inizio del ritiro del contingente. Le prime 100 unità a lasciare il Paese appartenevano al GTIA TAP (Troupes Aéroportées), nello specifico elementi del 1º RCP (Régiment de Chasseurs Parachutistes), del 35º RAP (Régiment d’Artillerie Parachutiste), del 17º RGP (Régiment du Génie Parachutiste) e del 1º RHP (Régiment de Hussards Parachutistes). L’obiettivo dichiarato dal Ministero della Difesa è quello di ridurre il contingente francese dalle attuali 4.000 a 1.000 unità entro la fine di luglio. Analoga riduzione ha interessato anche il dispositivo aereo che, in questo momento, comprende 6 RAFALE, 3 MIRAGE 2000D ed 1 Boeing KC-135 dislocati tra gli aeroporti di Bamako e N’Djamena. Ben altro effetto hanno avuto gli attacchi di Kidal nei riguardi del Governo ciadiano, le cui FA, tra i contingenti stranieri presenti nel Paese, sono quelle che hanno subito le maggiori perdite (36 morti). Questo ha indotto il Governo di N’Djamena, il 15 aprile, a disporre il ritiro dei propri soldati, a cominciare da alcuni battaglioni di fanteria meccanizzata di stanza a Gao. Il ritiro di Francia e Ciad rende ancor più preoccupante lo sviluppo futuro della crisi maliana anche in virtù delle attuali condizioni di AFISMA (African-led International Support Mission to Mali), la missione dell’ECOWAS (Economic Community of West African States) sotto l’egida dell’Unione Africana. I circa 7.000 uomini della missione, che ha nella Nigeria (1.200 unità) e, prima del ritiro, nel Ciad (1.800) i maggiori contributori, si sono occupati soprattutto di garantire la sicurezza delle città del Mali e di contribuire alla formazione e all’addestramento dell’Esercito Maliano. Tuttavia, gli scarsi finanziamenti della comunità internazionale potrebbero costituire un freno al futuro delle operazioni e rischierebbero di lasciare nuovamente il Paese in balia delle milizie qaediste. Infatti, sino ad ora, AFISMA è riuscita a raccogliere solo 455 milioni di dollari, meno della metà della cifra che l’Unione Africana ha inizialmente ritenuto indispensabile per un anno di operazioni (960 milioni di dollari). Allo scopo di abbattere l’ostacolo finanziario, la Francia, il Ciad ed i Paesi parte di AFISMA sono riusciti ad ottenere l’autorizzazione per dare vita, a partire dal 1º luglio, ad una missione ONU, denominata MINUSMA (Mission Multidimensionnelle Intégrée des Nations Unies pour la Stabilisation au Mali), per sostituire la stessa AFISMA. La nuova missione, forte di circa 12.000 uomini, è ispirata al modello di MONUSCO (Mission de l’Organisation des Nations Unies en République démocratique du Congo). Quest’ultima, infatti, oltre a usufruire di cospicui finanziamenti, dispone di un mandato molto robusto che si estende anche ad operazioni di combattimento contro le milizie ribelli dell’M23. Peraltro, il 18 aprile anche la Mauritania ha dato la propria disponibilità ad inviare un contingente di 1.800 uomini in Mali nel contesto di MINUSMA. Parallelamente a queste inziative, l’Unione Europea ha lanciato, a metà marzo, la EUTM (European Union Training Mission) Mali, missione di supporto ed addestramento alle FA maliane. Il contingente, composto da 200 istruttori (di cui 19 Italiani, tra cui anche il Vicecomandante della missione) e 150 unità addette alla force protection, è a guida francese ed è dislocato tra Bamako e Koulikoro, 60 km a nord della capitale. In questo momento appare impensabile la prospettiva di un disimpegno militare dal Mali. Il pessimo stato dell’Esercito nazionale e la condizione embrionale del processo di pace tra il Governo centrale ed i movimenti tuareg del l’MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) e del MIA (Movimento Islamico dell’Azawad, costola di Ansar al Din che ha deciso di abbandonare la causa jihadista), non consentono al Paese di poter gestire autonomamente le proprie criticità interne e potrebbero esporlo, in caso di ritiro totale, ad una nuova offensiva delle forze jihadiste.

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