La complessa sovrapposizione tra confessionalismo e multi-military structure in Siria
Medio Oriente e Nord Africa

La complessa sovrapposizione tra confessionalismo e multi-military structure in Siria

Di Denise Morenghi
24.01.2021

Il conflitto che dilania la Siria da un decennio ha cambiato in modo irreversibile l’architettura securitaria del Paese, svincolando il monopolio dell’uso della forza da quello che un tempo era l’unico detentore riconosciuto: le Forze Armate siriane, sotto il diretto comando del Presidente Bashar al-Assad. Nel corso del conflitto si è resa manifesta una progressiva frammentazione del panorama securitario, con un impatto di pari rilevanza nel campo lealista al regime e in quello contrapposto (o ribelle). Questo è accaduto principalmente per due motivi, entrambi legati alla postura adottata dallo stesso regime: da un lato, Bashar al-Assad, non godendo di sufficiente forza umana per supportare lo sforzo bellico, ha dovuto cooptare milizie e gruppi finanziati dai suoi sponsor internazionali, Russia e Iran in particolare; dall’altro lo stesso Presidente non ha saputo controllare la proliferazione di milizie e l’affermazione di provider di sicurezza informali, di fatto legittimandoli.

Le suddette milizie si sono formate soprattutto in seguito allo scoppio della rivoluzione del 2011, seguendo una dinamica comune: la loro origine deriva dalla volontà di gruppi locali, spesso comitati popolari, espressione a loro volta di minoranze ben precise e strutturate sui territori, intente a difendere la comunità di riferimento. La ripartizione della popolazione, tuttavia, a livello geografico si sviluppa tradizionalmente lungo linee settarie, specialmente per le minoranze, e soprattutto all’interno delle diverse aree urbane e rurali. Se, infatti, le diverse componenti confessionali hanno convissuto pacificamente negli ultimi decenni a livello macroscopico, rendendo insufficiente una lettura del conflitto civile siriano attraverso la sola chiave settaria, il livello di scontro interno alle singole aree, dunque sul piano microscopico, è ben diverso e maggiormente influenzato da fattori identitari e settari. Ciò, unito all’instabilità in cui il Paese versa dal 2011, contribuisce in modo sostanziale all’aumento della coesione settaria e al rivolgimento contro l’altro, spesso percepito come pericoloso. Esempio emblematico è quello rappresentato dai villaggi di Deraa e Suwayda, a sud di Damasco; il primo è una realtà a maggioranza sunnita e opposta al regime, mentre il secondo è a maggioranza drusa e più filo-lealista. Le violenze inflitte da alcuni militanti sunniti provenienti da Deraa sugli abitanti di Suwayda hanno spinto la formazione della milizia denominata Jaysh al-Muwahhidin (“L’esercito dei monoteisti” – termine tradizionalmente impiegato per indicare la comunità drusa), che sin dal nome si definisce chiaramente in chiave confessionale – cioè, drusa. La milizia ha assunto una posizione ancor più preminente a seguito degli efferati attacchi inflitti dall’ISIL a Suwayda, in seguito ai quali una delegazione drusa si è rivolta a Damasco chiedendo aiuto al regime. Tale supporto però venne negato poiché i drusi avevano in precedenza rifiutato di combattere nelle milizie filo-iraniane vicine al regime. Questo sicuramente ha acuito l’importanza del gruppo armato come unico garante della sicurezza del villaggio, stimolando al contempo una narrazione sempre più basata su assunti settari e confessionali, osservabili sin dall’aspetto visivo, con la creazione e la proliferazione di bandiere e loghi religiosamente connotati, nonché la formazione di appositi gruppi e pagine sui social network. In un momento critico per l’identità nazionale siriana, ritrovare un’identità altra, basata sulle comunità locali e su fattori religiosi, ha fornito il presupposto per una maggiore consapevolezza identitaria, fino a quel momento meno evidente in Siria rispetto ai vicini Libano e Iraq.

Tale retorica, peraltro, è stata strumentalmente incentivata dalla narrazione che lo stesso Assad ha costruito attorno al conflitto nel Paese sin dallo scoppio delle prime proteste nel marzo 2011. Infatti, il Presidente siriano ha inizialmente provato a delegittimare queste ultime, designandole come una manifestazione dell’estremismo sunnita nel Paese contro le diverse minoranze. Inoltre, lo stesso Assad ha istituzionalizzato il processo di formazione e legittimazione delle milizie come provider di sicurezza, dando riconoscimento alle milizie alawite, poi chiamate S__habiha (“fantasmi”), gruppi paramilitari deputati alla protezione delle comunità alawite e, in alcuni casi, cristiane. Anche in questo caso, si tratta spesso di un fenomeno bottom-up: ad esempio, nel quartiere di Daher al-Magher, distretto a maggioranza alawita di Salamiya, il comitato popolare (al-Lijan al-Shaabiya) si è trasformato in una vera e propria Shabiha armata grazie anche al supporto fornito dal regime, a seguito delle violenze condotte da parte dei gruppi estremisti come Jabhat al-Nusra o ISIL. L’azione delle Shabiha a Salamiya nei confronti delle componenti appartenenti a confessioni differenti ha ulteriormente rafforzato le linee di divisione confessionale.

Salamiya offre un importante esempio delle dinamiche osservabili nell’intera Siria: nonostante la presenza della comunità alawita di Daher al-Magher, la componente principale della popolazione del villaggio è di confessione ismailita, una corrente dell’Islam sciita. La comunità ismailita di Salamiya ha subito violenze e massacri da parte di ISIL, senza che il regime si dimostrasse interessato o incline a provvedere alla sicurezza di quella che fino a quel momento si era dimostrata una componente lealista. Questo ed altri svolgimenti, non da ultimi gli attacchi reciproci tra gruppi alawiti e sunniti nella stessa Salamiya, hanno fatto sì che anche la comunità ismailita si rivolgesse sempre più su sé stessa, dando vita, di nuovo, ad un sentimento di solidarietà fortemente settario. Nel caso della comunità ismailita, le milizie createsi per garantire la sicurezza, per quanto supportate dal regime di Damasco, non hanno ottenuto la legittimazione dell’Alto Concilio Ismailita e, di conseguenza, non sono state accettate o appoggiate in maniera uniforme dalla comunità che miravano a rappresentare, peraltro molto variegata al suo interno per tendenze politiche.

Simili evoluzioni si sono rese osservabili anche all’interno delle zone a maggioranza cristiana, tanto nelle compagini lealiste quanto in quelle di opposizione al regime, spesso seguendo le divisioni sub-confessionali esistenti nelle comunità cristiane orientali: cattolici, caldei, greco melchiti, greco ortodossi, sono solo alcune delle numerose declinazioni del cristianesimo osservabili nel panorama mediorientale e, specificatamente siriano. Ad esempio, nella valle del Wadi al-Nasara, nella regione di Homs, a maggioranza greco melchita e greco ortodossa e generalmente leale ad Assad, si sono formate milizie a stampo confessionale finalizzate, come nei casi descritti sopra, alla protezione delle comunità locali, in collaborazione con le Shabiha vicine al regime. Altra milizia lealista, concentrata a Qamishli, nel nord est del Paese, e di confessione siriaca, è quella dei Sootoro, anche denominata Ufficio di Protezione dei Siriaci.

D’altra parte, all’interno dell’opposizione si segnalano vari gruppi armati spiccatamente cristiani: la SUP Sutoro, situata a al-Qahtaniya, al-Hasakah e al-Malikiya (nord-est), è volta alla protezione della popolazione locale contro il regime di Damasco attraverso il reclutamento di giovani volontari dalle comunità stesse e ha strettissimi legami con il Partito dell’Unione Democratica (PYD) curdo. Altra milizia importante è il Syriac Military Council di al-Hasakah, che già nel video che ne annunciava la creazione, oltre a dichiararsi in netta opposizione al regime, sottolineava la necessità di difendere la popolazione cristiano-siriaca della Siria, i suoi diritti e il suo patrimonio culturale e storico, un’ambizione destinata a combaciare con la lotta all’ISIL con l’avanzata di quest’ultimo verso al-Hasakah. Questi sono solo alcuni esempi interni alla comunità cristiana, come già detto molto frammentata.

Quel che emerge, quindi, è un elemento cruciale: nel contesto d’instabilità e mancanza di sicurezza, ogni comunità si è dotata di gruppi che potessero proteggerla da attacchi esterni. Anche le narrazioni utilizzate sono molto simili a quelle osservabili all’interno delle più note milizie filo-iraniane, come ad esempio l’utilizzo di simboli religiosi in loghi, immagini pseudo-propagandistiche e bandiere, la raffigurazione celebrativa dei martiri, l’uso di alfabeti, come quello siriaco, assiro o aramaico, ormai legati a doppio filo ad un’identità confessionale, nonché il vasto utilizzo dei social media.

La comunità sunnita, tradizionalmente associata con l’opposizione e additata come “terrorista” dal fronte pro-Assad, è spesso vista come una minaccia dalle altre componenti religiose siriane, principalmente per due motivi: da un lato, i sunniti rappresentano la maggioranza della popolazione siriana e dunque, banalmente, godono di uno squilibrio demografico a loro favore e, conseguentemente, di forza umana numericamente superiore rispetto a tutte le altre confessioni. Proprio per questo, la grandezza della comunità sunnita, sparsa per l’intero territorio siriano, ha facilitato la nascita di gruppi molto eterogenei e diversi tra loro, specialmente nel grado di estremismo adottato e nella connotazione religiosa assegnatasi. Peraltro, la frammentazione del territorio siriano e il collasso dello Stato hanno reso la Siria una calamita per i movimenti jihadisti globali, come già era successo in precedenza in Iraq. Se, dunque, è vero che ISIL e al-Qaeda, e i loro affiliati, sono gruppi dall’identità sunnita spiccatamente estremista, è altrettanto vero che nel panorama siriano esistono gruppi sunniti non estremisti devoti alla mera difesa comunitaria o individui di origine sunnita organizzati in gruppi laici, così come è vero che il sentimento di oppressione avvertito dalla comunità sunnita ha portato alcuni gruppi a perpetrare violenze contro altri gruppi religiosi, specialmente se leali al regime. L’eterogeneità della componente sunnita nella società siriana, nonché la presenza di gruppi estremisti, hanno facilitato l’adozione da parte di Damasco della retorica descritta sopra, favorendo l’emergere di un forte timore anti-sunnita da parte delle minoranze religiose, e contribuendo a loro volta ad alimentare il fuoco del settarismo. Questo fenomeno ha conseguenze sia dirette, sia indirette: per le prime si ricordino i massacri perpetrati dalle Shabiha vicine al regime nei confronti delle comunità civili sunnite, come quello di Houla del 25 maggio 2012, quando furono uccisi 108 civili. A livello indiretto, invece, sono varie le derivazioni osservabili: ad esempio, città come Idlib ed Aleppo, nelle quali un tempo si registrava un alto tasso di eterogeneità confessionale, durante il conflitto hanno registrato ingenti flussi di emigrazione da parte delle componenti cristiane, druse e alawite, a causa della mancanza di fiducia tra le comunità religiose. Nel medio termine, questo tenderà a rinforzare la predominanza sunnita delle suddette città e, al contempo, a rinvigorire il carattere, ad esempio, cristiano, druso o alawita delle destinazioni: predominantemente il Wadi al-Nasara o il nord-est per i cristiani, la costa per gli alawiti, Suwayda e la regione meridionale per i drusi. A sua volta, tale evoluzione potrebbe rendere ancora più nette le linee di divisione osservabili tra le varie comunità, di nuovo sottolineando la frammentazione della società siriana.

La proliferazione di milizie definite lungo linee settarie ha subito un’ulteriore svolta sostanziale con l’intervento di sponsor esterni nel conflitto siriano, a partire dal 2014. Infatti, oltre a regionalizzare il conflitto e aumentarne le dimensioni esponenzialmente, il supporto esterno ha influenzato anche lo sviluppo delle milizie locali, specialmente dal punto di vista finanziario e militare. Gli attori internazionali, infatti, hanno supportato i gruppi locali al fine di raggiungere obiettivi geopolitici più ampi all’interno della Siria e della regione mediorientale, rimarcando tuttavia le fratture settarie in vari modi. Innanzitutto, l’appoggio di sponsor esterni ha fornito un ulteriore strato di legittimazione alle milizie locali. In secondo luogo, la consegna di armi e supporto finanziario alle stesse le ha rese più assertive nelle proprie azioni, che in alcuni casi si sono scostate dalla mera difesa comunitaria, intraprendendo anche operazioni offensive fortemente connotate dal punto di vista settario.

I dati riguardanti il supporto estero alle milizie, ad eccezione di quelle sciite legate all’Iran, sono pochi e frammentari: ciononostante, le informazioni disponibili permettono quantomeno di individuare le principali connessioni tra attori internazionali e milizie locali.

Per quanto riguarda la comunità drusa, vi sono chiari legami con personalità influenti nella componente politica drusa libanese, a cominciare da Walid Jumblatt, membro del Parlamento libanese e leader del Partito Sociale Progressista, opposto duramente al regime di Damasco. Altresì importante è Wi’am Wahhab, oppositore di Jumblatt nel panorama politico druso libanese e sostenitore di Assad. Wahhab è presente a sostegno di alcune milizie druse lealiste, che ruotano attorno al suo Partito Arabo del Tawhid (“monoteismo”, con riferimento alla comunità drusa). Anche Israele avrebbe tentato di cooptare la comunità drusa, specialmente quella localizzata nelle vicinanze delle alture del Golan, nella provincia di Quneitra, offrendo protezione ai villaggi attraverso il dispiego delle Israel Defense Forces (IDF).

Le milizie lealiste afferenti alle comunità alawite, ismailite e cristiane ricevono supporto dal regime di Damasco e dai suoi sponsor esterni, Russia e Iran in primis, in modo ufficioso. Vanno segnalati, in questo contesto, i forti legami tra milizie del Wadi Nasara e la Russia, le cui narrazioni sconfinano spesso in retoriche settarie, data la comune fede ortodossa. Sin dal suo intervento in Siria (2015), Mosca ha tentato di ergersi a difesa delle comunità cristiane d’oriente, tanto da finanziare la costruzione di chiese, come di recente avvenuto per la riproduzione di Hagia Sofia che sorgerà nei prossimi anni ad Hama. Non è un caso, dunque, che la Chiesa Ortodossa russa, vicina sia al Cremlino sia alla Chiesa ortodossa siriana, abbia legittimato l’intervento russo nel conflitto siriano come una “guerra santa” con l’ISIL.

D’altra parte, alcune milizie opposte al regime, come il Syriac Military Council e SUP Sutoro, fanno parte delle Forze Democratiche Siriane (SDF), la coalizione supportata dagli Stati Uniti e da molti Paesi occidentali. Facendo parte della coalizione anti-ISIL, godono del supporto di alcuni Paesi occidentali: ricevono addestramento, specialmente nell’ambito del contro-terrorismo, e armi dall’esercito americano, francese e britannico, ad esempio. Il contributo alla lotta contro lo Stato Islamico, di conseguenza, si connota sia come difesa della propria comunità, sia come veicolo per il riconoscimento della propria comunità all’interno del panorama siriano. Il Syriac Military Council, come altre milizie siriache, peraltro, gode anche del supporto esplicito della European Syriac Union, organizzazione che mira a preservare l’identità siriaca e aiutare i fedeli siriaci in Medio Oriente. Quest’ultima ha giocato un ruolo importante nel garantire il supporto statunitense alla milizia attraverso azioni di advocacy in Europa, sottolineando ancor più la natura cristiana e siriaca del gruppo armato.

Sebbene con modalità e gradi di coinvolgimento differenti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno fornito supporto militare e finanziario a gruppi appartenenti all’opposizione a maggioranza sunnita, sfruttando il proprio ruolo di Paesi preminentemente sunniti in modo strumentale, per perseguire i propri obiettivi in Siria e in Medio Oriente, specialmente in chiave anti-iraniana o nel contesto della lotta per il dominio del fronte sunnita. Alcune fonti segnalano il supporto finanziario che tutti e tre gli attori darebbero ad Ahrar al-Sham, formazione salafita jihadista impegnata da decenni nella lotta al “tirannico regime alawita” degli Assad, che collabora con l’Esercito Libero Siriano ed è a capo del Fronte Siriano Islamico, microcosmo delle milizie di resistenza armata islamiste contro il regime di Assad.

L’Arabia Saudita ha indirizzato la maggior parte dei propri aiuti in direzione del Jaysh al-Islam (“l’Esercito dell’Islam”), una milizia sunnita che porta avanti narrative dichiaratamente settarie e in opposizione all’ISIL, e che ora è contenuta nell’ombrello del Fronte Islamico. Riyadh ha fatto leva sugli Stati Uniti perché fornissero missili anti-carro e anti-aerei alla milizia, ma anche sulla Giordania, che ha permesso che il suo territorio venisse utilizzato come rotta di approvvigionamento militare per il Jaysh al-Islam. Quest’ultimo intrattiene anche legami con la Turchia e il Qatar, sebbene i dettagli siano meno noti. In generale, Turchia e Qatar hanno allineato i propri sforzi in Siria, supportando gran parte del microcosmo delle milizie islamiste, soprattutto ideologicamente vicine alla Fratellanza musulmana; Ankara, nello specifico, ha fornito addestramento, mentre il Qatar finanziamenti e armi, recapitate attraverso numerosi voli in Turchia.

Caso più eclatante e sistematicamente applicato è quello, infine, delle milizie sciite. I gruppi sciiti autoctoni sono stati, sin dall’inizio del conflitto, limitati in numero, con circa 3500-5000 effettivi totali all’inizio della guerra e 8000-12000 attualmente. L’aumento di combattenti locali è soprattutto motivato dagli incentivi offerti dagli sponsor esterni, Iran e Hezbollah libanese, in cambio dell’arruolamento: innanzitutto, ricompense in denaro superiori rispetto alla media osservabile tra le milizie nel Paese, ma anche accesso a reti di welfare simili a quelle osservabili nelle zone a maggioranza sciita in Libano, ad esempio, dove il “Partito di Dio” offre assistenza sanitaria, approvvigionamento alimentare e vari servizi. In questo modo, dalla metà del 2013, l’Iran ha trasformato le milizie sciite siriane, primariamente incluse nel network damasceno della Liwa Abu Fadl al-Abbas e spesso sorte seguendo la dinamica della protezione comunitaria di cui sopra, in gruppi armati di risposta rapida e ideologicamente affiliati alla Repubblica Islamica, rinforzandoli peraltro con miliziani provenienti da altri Paesi. Il grado di impegno e la sistematicità con cui Teheran ha portato avanti questo processo, facendone il fulcro della propria strategia in Siria, peraltro anche grazie alle passate esperienze in Libano e Iraq, rende il caso sciita esempio emblematico della rilevanza che l’intervento esterno ha avuto nella creazione e nel rafforzamento di milizie lungo linee confessionali in Siria. Gli sciiti siriani, le cui milizie oggi si autodefiniscono Hezbollah fi Suriya (Hezbollah in Siria), rappresentano solo l’1-2% della popolazione siriana, ma hanno avuto un ruolo sproporzionato nel conflitto proprio grazie all’intervento esterno che, come tipico nel modus operandi iraniano, ha ricalcato con vigore le linee di divisione settarie per raggiungere scopi di più ampio respiro.

Al netto delle considerazioni fatte finora, in molte zone della Siria risulta evidente l’emergenza di una multi-military structure, all’interno della quale vi sono diversi provider di sicurezza deputati alla protezione delle diverse comunità locali, sia sopperendo alle mancanze delle Forze Armate governative in zone lealiste, sia reagendo ai colpi sferrati da queste ultime in zone di opposizione al regime. Come si è visto, è un fenomeno bottom-up che, tuttavia, ha ricevuto una legittimazione, per quanto indiretta, sia da Damasco, sia dagli attori internazionali intervenuti nel Paese per mire geopolitiche più ampie.

Un’architettura di sicurezza così strutturata contribuisce inevitabilmente a frammentare in profondità quel che rimane della società siriana, impedendo allo stesso tempo la creazione di fasi politiche di avvicinamento o distensione territoriale tra le comunità. Le conseguenze di una tale conformazione del panorama di sicurezza potrebbero rinfrancare le linee settarie e confessionali, in una società già fortemente divisa in fazioni pro e contro il regime. Ciò rischia di dar vita a fratture che non potranno essere ignorate in futuro, se non altro a causa della frammentazione dei centri di potere riconosciuti dalle varie comunità. Questo potrebbe obbligare Assad a relegare parte dell’autorità alle rappresentanze locali, e dunque alle suddette milizie, rendendo il panorama securitario siriano estremamente caotico.

Nonostante parte della società civile sia contraria al settarismo e non riconosca questi svolgimenti come settari, l’alimentazione della sfiducia tra gruppi confessionali diversi renderà le minoranze riluttanti a tornare ai loro luoghi di residenza, rinforzando l’omogeneità settaria di città e regioni. Le armi acquisite da potenze esterne, così come i legami stabiliti con queste ultime, non svaniranno con la fine formale del conflitto, così come non svaniranno le stesse milizie e il sentimento comunitario creatosi durante gli anni di guerra. Il conflitto in Siria e l’intervento di potenze esterne hanno per lungo tempo annaffiato i semi del settarismo, mettendo a rischio, a lungo termine, la stessa idea di identità nazionale siriana. Ciò rischia di creare un contesto sociale magmatico e profondamente frammentario, con particolare riferimento alla dimensione securitaria, rendendo fragili le fondamenta di un’eventuale Siria unita nel prossimo futuro ancor prima che queste vengano formalmente gettate.

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