Il Myanmar tra riforma elettorale e mercato globale
Asia e Pacifico

Il Myanmar tra riforma elettorale e mercato globale

Di Claudia Enas
28.10.2012

Il 19 ottobre gli Stati Uniti hanno reso nota la loro intenzione di invitare il Myanmar a partecipare, come osservatore, all’esercitazione Cobra Gold che si terrà in Thailandia agli inizi del 2013. La notizia di questa proposta segue l’arrivo in Myanmar di venti rappresentanti della Difesa americana, tra cui il vice Assistente del Segretario alla Difesa per il Sud e Sudest asiatico, Vikram Singh, e il Comandante del United States Army Pacific, Gen. Francis Wiercinski, in visita ai ministri del Governo e ai vertici militari birmani. Questo incontro è stato considerato la più grande breccia di Washington verso le Forze Armate del Myanmar dal 1989.

I portavoce parlano dell’apertura di un Human Rights Dialogue, il primo tra Stati Uniti e Governo birmano, volto alla ricerca e alla condivisione di misure operative per la tutela dei diritti umani. Ufficialmente, i principali temi trattati sarebbero la protezione della popolazione civile in aree di conflitto e la riforma dell’apparato militare.

Secondo alcuni osservatori, oppositori politici e attivisti, tra cui Human Rights Watch, nonostante i grandi passi in avanti compiuti dal Governo birmano, nell’ultimo anno e mezzo, verso una direzione di apertura alla libertà e alla democrazia, risulta ancora prematuro credere che il Myanmar possa stabilire delle collaborazioni internazionali basate sulla tutela dei diritti umani.

La comunità internazionale, per decenni, ha accusato e sanzionato l’ex Birmania per la violazione dei diritti umani sul suo territorio, in particolare, nei confronti delle minoranze etniche presenti nelle aree di confine e dei gruppi politici di opposizione.

Ancora oggi si registrano scontri violenti, in particolare nello Stato di Rakhine, a ovest del Paese, tra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Solo alla fine del mese di ottobre si sono aggiunti circa 22.500 profughi ai quasi 80.000 considerati da giugno, quando le tensioni tra i due gruppi sono sfociate in violenza.

La maggior parte dei musulmani dello stato di Rakhine appartengono all’etnia Rohingyas. Le autorità birmane raramente riconoscono il diritto di cittadinanza ai membri di questo gruppo, considerati apolidi, immigrati irregolari in Myanmar. La posizione delle Istituzioni non può che facilitare il diffondersi delle pubbliche ostilità nei confronti di questa minoranza.

Situazioni analoghe a questa fanno sì che l’idea di un incontro tra i vertici militari, come quello sopraccitato, sembri, piuttosto, uno strumento usato per abbracciare una serie di legami politici ed economici distanti da quello che concerne la tutela dei diritti umani. L’approccio degli Stati Uniti, in questa cornice, si configura semplicemente come il preludio di una nuova partnership commerciale tra Naypyidaw e Washington che, partendo da possibili accordi tra i rispettivi Ministeri della Difesa, aprano le porte a future intese commerciali anche in altri ambiti.

Tra gli interessati al coinvolgimento dell’Esercito birmano, nell’esercitazione Cobra Gold, sembrerebbe esserci Bangkok. Secondo partner commerciale dello Stato, dopo la Cina, la Thailandia ha tutti gli interessi di mantenere dei rapporti stabili con il Paese, sia per la questione che riguarda la gestione dei profughi, sia per la varietà delle risorse presenti in Myanmar, dal legno pregiato al gas naturale. In tal proposito, un esempio è la realizzazione dello Yadana pipeline, progetto concepito negli Anni ’90 e finanziato dalla Thailandia, in grado di garantire la fornitura di energia direttamente dal Mare delle Andamane (Golfo del Bengala), lungo un condotto che si estende per oltre 50 km offshore.

A risultare invece disturbata dalla nuova apertura di Naypyidaw, potrebbe essere la Cina. Tra i due Paesi ha regnato per decenni una condizione di dipendenza da cui, oggi, il Myanmar vorrebbe svincolarsi, in vista di nuovi mercati più ampi. Con il processo di democratizzazione e la volontà di mettersi in gioco sul campo internazionale da parte del Governo di Thein Sein, Pechino si trova a fare i conti con una nuova realtà a cui dovrà adattarsi strategicamente, consapevole dell’inevitabile perdita di una parte dei suoi interessi commerciali nell’area. La nuova politica estera degli Stati Uniti punta sempre più verso l’Asia, alla ricerca di nuovi alleati e, soprattutto, nuovi soci d’affari, diminuendo così l’orbita d’influenza economica della Cina.

Dopo un lungo isolamento di cui la Cina ha efficacemente giovato, il Governo birmano ha avviato il suo processo di riforma politica, partendo dalle libere elezioni del marzo 2011. Infatti, nonostante l’Esercito, di fatto, goda tuttora di una posizione privilegiata e influente nelle istituzioni, in particolare in Parlamento (dove ha diritto a ¼ dei seggi) e in tre Ministeri chiave, Interni, Difesa ed Esteri, dal 2011 il Myanmar ha insediato un Governo (almeno nominalmente) civile. Sono state avviate una serie di riforme politiche che hanno concesso maggiori spazi ai movimenti di opposizione politica e alle minoranze etniche. Oltre alla scarcerazione di più di 200 prigionieri politici, nel dicembre del 2011 la National League for Democracy di Aung San Suu Kyi, donna-simbolo del Paese, è stata legalizzata e ha potuto concorrere, insieme ad altri sedici Partiti, incluso il Union Solidarity and Development Party, alle elezioni per i seggi in Parlamento.

L’interesse che gli Stati Uniti stanno dimostrando per l’area può essere d’ausilio per il Paese, la cui economia è tra le meno sviluppate del mondo, al fine di incentivare il suo sviluppo economico. Se tra gli obiettivi di Naypyidaw risiede quello di uscire dall’isolamento e risultare invitante per nuovi investitori esteri, l’apertura di Washington potrebbe essere una buona occasione per il processo di riabilitazione dell’immagine del Myanmar agli occhi della comunità internazionale e, contemporaneamente, darebbe il via a una nuova stagione di relazioni internazionali per il Paese.