La Polar Silk Road: un riflesso dell’ambizione di Pechino nella conquista della leadership globale
Per la Cina, la regione artica rappresenta un coacervo di opportunità economiche e politiche di primo piano, non solo per l’approvvigionamento energetico ma anche per a proiezione commerciale e l’accesso ai giacimenti di terre rare. Allo scopo di consolidare la sua presenza nell’estremo nord del Mondo, Pechino ha sinora seguito una strategia flessibile e variegata che, pur avendo nel rapporto con la Russia uno dei suoi principali fulcri, non disdegna il dialogo con altri partner tra i Paesi rivieraschi. L’Artico riveste un’importanza primaria per la Cina, come testimoniato dai numerosi investimenti nei progetti energetici legati all’estrazione del gas e da una postura internazionale che sottolinea come l’estremo nord del pianeta non debba essere soggetto ad alcuna spartizione da parte degli Stati rivieraschi, bensì essere a disposizione di tutti i Paesi. In questo senso, la difesa della “internazionalizzazione dell’Artico” coincide con lo strumento cinese per accedere alle risorse della regione pur non confinandoci direttamente.
Sotto il profilo strategico, la proiezione cinese nell’Artico si esplicita con la teorizzazione della cosiddetta Polar Silk Road o Via della Seta Artica. SI tratta di un concetto strategico pubblicato nel gennaio del 2018 e che si configura come integrazione alla più ampia Belt and Road Initiative (BRI), la nuova Via della Seta del XXI Secolo, l’ambizioso programma infrastrutturale e di sviluppo economico con il quale il Presidente Xi Jinping punta a migliorare i collegamenti tra Cina, Asia ed Europa, favorendo così l’interscambio commerciale e le esportazioni cinesi. Con la pubblicazione del primo Libro Bianco sull’Artico, nel quale Pechino si definisce un “near-Arctic State”, uno stato quasi-artico, si classifica la Northern Sea Route (NSR) quale direzione principale della via della seta polare.
Da un punto di vista geostrategico, lo sviluppo di una via della seta marittima artica riflette la preoccupazione di Pechino per il “Dilemma di Malacca”, cioè il timore che un giorno un incidente politico o un conflitto possa bloccare le vie di approvvigionamento energetico marittimo attraverso le quali transita circa il 60% delle importazioni cinesi di petrolio e gas proveniente dal Medio Oriente. Per questo motivo, la protezione della Polar Silk Road è diventato un esplicito obiettivo di sicurezza primario del People Liberation Army (PLA).
Già nel 2012, nonostante la mancanza di adeguate strutture logistiche, la rompighiaccio Xue Long (Snow Dragon) è stata la prima nave cinese a percorrere la Northern Sea Route in un viaggio scientifico esplorativo da Qingdao, nella provincia di Shandong, fino al Mare di Barents e ritorno. Da più di dieci anni la Cina conduce, grazie alla Xue Long, studi idrografici nel contesto delle attività di ricerca polare organizzate dal Chinese Polar Institute e della State Oceanic Administration, con il fine di contribuire a migliorare la capacità di navigazione e la sicurezza in mare. Dal 2019 una seconda nave rompighiaccio, la Xue Long 2, realizzata dalla China State Shipbuilding Corporation in collaborazione con l’industria navale finlandese Aker Arctic, ha affiancato la sua gemella nelle operazioni artiche. Con due rompighiaccio completamente operative, la Cina raggiunge così la capacità di Stati Uniti e Russia senza essere uno Stato artico.
Tuttavia, le esplorazioni scientifiche costituiscono un’attività parallela e collaterale alle più importanti attività economiche, realizzate in collaborazione con la Russia e con gli altri Paesi rivieraschi. Per quanto riguarda la cooperazione russo-cinese, essa è sostanzialmente focalizzata all’esplorazione dei giacimenti energetici e allo sviluppo di infrastrutture per la fornitura di gas.
A riguardo, lo scorso 2 dicembre, il Presidente cinese Xi Jinping e il Presidente russo Vladimir Putin hanno inaugurato il gasdotto Power of Siberia, tremila chilometri di condutture nei ghiacci siberiani dai giacimenti della Yakutia russa alla provincia cinese di Heilongjiang. Il progetto fa parte di un accordo di durata trentennale tra Gazprom e China National Petroleum Corporation (CNCP), per una fornitura complessiva stimata di circa 61 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. L’accordo era stato firmato dall’azienda di Stato cinese nel 2014 con l’obiettivo sia di soddisfare le esigenze di diversificazione energetica della Cina dalle attuali vie di approvvigionamento (Stati Uniti, Qatar, Australia) sia per sostenere la crescita della domanda interna di gas in funzione di una diminuzione della dipendenza del Paese dal carbone entro il 2040.
Oltre al Power of Siberia, la cooperazione russo-cinese in Artico si manifesta attraverso gli investimenti nei progetti Yamal 1 e Yamal 2 per l’estrazione, la liquefazione e il trasporto del Gas Natuarale Liquefatto (GNL) nella penisola omonima, ai quali partecipano la russa Novatek e le cinesi Silk Road Fund e China National Petroleum Corporation (CNPC). La China National Oil and Gas Exploration and Development Company (CNODC) e la China National Offshore Oil Corporation (CNOOC), sono invece due fra i principali partner di Novatek nella costruzione degli impianti GNL nella regione autonoma di Yamalo-Nenets, dove Gazprom possiede le licenze per lo sfruttamento del mega giacimento di Bonavenkovo, con riserve stimate di circa 49 migliaia miliardi di metri cubi di gas. Il giacimento fornirà gas sia al North Stream 2, il gasdotto da 55 miliardi di metri cubi l’anno che collega Russia e Germania, che alle navi gasiere dirette ai mercati asiatici che partono dal porto artico di Sabetta. Infatti, Il porto di Sabetta e il sito di Bonavenkovo saranno presto collegati da una nuova linea ferroviaria. Inoltre, Sabetta è a sua volta connesso ai porti russo-occidentali di Murmansk e di Arcangelo, entrambi terminali del trasporto del gas artico Polar Silk Road. Le due infrastrutture portuali hanno consociuti, negli ultimi mesi, un importante opera di ammodernamento finanziata dalla COSCO (China Ocean Shipping Company Limited), proprietaria della quarta flotta di container al mondo.
Proprio la COSCO è oggi anche la principale azionista straniera nella realizzazione dell’ampliamento del terminale portuale di Kirkenes, in Norvegia. Idealmente collocato tra l’Europa del nord e la Russia occidentale, il porto di Kirkenes è stato negli ultimi anni tra gli scali in maggiore crescita del Paese. Questo porto nord-europeo rappresenta un terminale strategico per il transito commerciale in quanto primo porto libero dai ghiacci sulla sponda europea della rotta del nord.
La profondità della proiezione economica cinese nell’Artico arriva fino alla lontana Groenlandia, come evidenziato dai circa 2 miliardi di dollari di investimenti nell’estrazione di terre rare, materiali fondamentali per l’industria ad alta tecnologia, comparto in cui Pechino ambisce a diventare il leader mondiale. Tutto questo senza tralasciare la partecipazione cinese alla costruzione dei nuovi collegamenti ferroviari infra-regionali fra Norvegia, Finlandia ed Estonia che hanno proprio nel terminal di Kirkenes il loro fulcro.
Anche se meno “pubblicizzata” mediaticamente della Belt and Road Inititive, la Polar Silk Road non è un progetto da sottovalutare se si vogliono valutare in maniera completa ed adeguata le ambizioni cinesi a livello globale. La partnership con la Russia nella regione artica è, al contempo, un grimaldello per entrare stabilmente un posto del mondo significantemente distante dai confini cinesi ed una vetrina per mostrare ad altri potenziali partner la bontà nel fare affari con Pechino. La forza della Cina risiede anche in questo flessibile multilateralismo basato sull’immediata efficacia degli investimenti economici che ben nascondono i conseguenti gangli di influenza politica. Una possibile ulteriore crescita della presenza cinese in Artico potrebbe cambiare gli equilibri regionali e modificare i contenuti del dibattito politico internazionale, al momento nettamente favorevole ai Paesi rivieraschi e alle loro rivendicazioni nazionali.