Geopolitical Weekly n.334

Geopolitical Weekly n.334

Di Sara Nicoletti, Stefania Montagna e Elena Ventura
25.07.2019

Hong Kong: aggressione alla stazione di Yuen Long

Domenica 21 luglio ad Hong Kong, nella stazione ferroviaria di Yuen Long, quartiere nel nord-ovest della città, un gruppo di uomini vestiti di bianco e armati di bastoni ha aggredito gli attivisti, scesi in piazza per portare avanti le proteste contro il governo della chief executive Carrie Lam. Quarantacinque persone sono rimaste gravemente ferite durante gli scontri che, secondo le ipotesi, sono stati organizzati da persone vicine alle Triadi cinesi. Le violenze si sono verificate al termine di una nuova giornata di proteste che aveva coinvolto circa 430.000 persone (138mila secondo il governo locale) nel quartiere Wan Chai di Hong Kong. Sono ormai due mesi che le strade di Hong Kong sono gremite di manifestanti: iniziate per chiedere il ritiro della controversa legge sull’estradizione (ad oggi congelata), le manifestazioni proseguono ora per ottenere il ritiro definitivo della legge, un’indagine indipendente sulle violenze esercitate dalla polizia sui manifestanti e le dimissioni della Lam.

L’episodio di Yuen Long, tuttavia, potrebbe rappresentare un punto di svolta per le manifestazioni. Per la prima volta dalle prime dimostrazioni, infatti, sembra essersi innescata una risposta organizzata, finalizzata a dissuadere la popolazione dal portare avanti le proteste. Se fosse confermato, il coinvolgimento delle triadi trascinerebbe le manifestazioni ad un nuovo livello. La decisione delle organizzazione di intervenire nella diatriba tra piazza e governo potrebbe rispondere a due motivazioni. Da un lato, lo stallo in cui è bloccata Hong Kong da diverse settimane e il richiamo mediatico di respiro internazionale provocato dalle proteste potrebbe aver messo a repentaglio i traffici e la sicurezza degli interessi di questi gruppi che, autonomamente, hanno deciso di fare un passo avanti per sbloccare la situazione. Dall’altro, però, il ricorso agli squadroni potrebbe essere stato attivato da ambienti governativi che, per provare a forzare la mano e disincentivare le piazze, ha attivato  contatti, anche non strutturati, con il mondo delle triadi, così da lasciare in disparte le Forze di polizia e mostrare l’esistenza di un movimento di contro protesta.

Il coinvolgimento della malavita come sponda per arginare le manifestazioni, tuttavia, potrebbe polarizzare maggiormente le tensioni in corso ed aprire nuovi fronti di critica e attacco contro il governo locale, prolungando così l’instabilità nella Provincia Autonoma.

Mali: Attacco suicida contro base militare francese di Gao

Il 12 luglio un VBIED (Vehicle-born improvised explosive device), camuffato da mezzo delle Nazioni Unite, è stato fatto esplodere all’entrata della base militare della città di Gao, che ospita elementi dei contingenti della missione francese Barkhane, della Missione Integrata Multidimensionale delle Nazioni Unite di Stabilizzazione del Mali (MINUSMA) e delle Forze Armate del Mali (FAMa). L’esplosione non ha provocato vittime, ma diverse persone, tra cui 5 soldati estoni di supporto alla missione francese, sono rimaste ferite.

L’attacco è presumibilmente attribuibile al Gruppo per il Supporto dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), la formazione jihadista attiva nel Sahel e in Africa Occidentale, composta da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), dal Fronte di Liberazione del Macina (FLM), da al-Mourabitun e da Ansar al-Din. Il GSIM era già stato responsabile, nel 2018, di due attacchi suicidi nelle città di Sévaré e Gao contro la G5 Sahel Task Force, una missione militare istituita nel 2017 da Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Chad per combattere il jihadismo nell’area.

Nonostante in Mali siano presenti numerose missioni internazionali, afferenti a diverse organizzazioni, tra cui le Nazioni Unite e l’Unione Europea, esse fanno sempre più fatica a garantire la sicurezza non solo del loro personale ma anche e soprattutto dei civili.

L’attacco di Gao dimostra come il GSIM, nonostante l’impegno internazionale, sia ben lungi dall’essere neutralizzato. Infatti, sfruttando i conflitti etnici, acuiti dalla crescente competizione per risorse naturali sempre più scarse a causa di siccità ed impoverimento del suolo, il movimento jihadista continua a ritagliarsi spazi sempre più ampi di supporto popolo, soprattutto presso la fasce più vulnerabili della società rurale.

Nel tentativo di incrementare le capacità internazionali di contrasto al terrorismo saheliano, il governo del Regno Unito ha dichiarato l’intenzione di inviare altri 250 uomini in supporto di MINUSMA. Tuttavia, sebbene lo sforzo britannico sia apprezzabile, l’azione di contrasto al terrorismo jihadista nel Sahel deve necessariamente affiancare al binario militare/securitario, quello umanitario e di miglioramento della governance, al fine di privare le organizzazioni estremiste del brodo di coltura per la loro propaganda e il loro reclutamento.

Russia: continuano le proteste a Mosca

Lo scorso 20 luglio, più di 22.000 persone si sono riversate in Piazza Trubnaya a Mosca per protestare contro l’esclusione dalle elezioni amministrative moscovite di decine di candidati appartenenti ai partiti di opposizione. Le manifestazioni, non autorizzate, sono state violentemente disperse dalla polizia di Mosca.

Questa protesta rappresenta la più ampia e significativa mobilitazione in Russia dal 2012 (la cosiddetta “protesta di Piazza Bolotnaya”), quando decine di migliaia di persone hanno manifestato contro i presunti brogli elettorali commessi nel corso delle elezioni legislative del dicembre 2011, vinte nettamente dal partito Russia Unita.

La legge elettorale prevede che chi voglia correre alle elezioni senza appartenere né avere il sostegno di un partito politico debba raccogliere le firme del 3% degli aventi diritto. Nonostante molti oppositori siano riusciti ad ottenere questo numero, le autorità locali hanno rifiutato la candidatura di decine di politici indipendenti invocando errori minimi nella trascrizione delle firme e dei moduli di presentazione. Ciò ha scatenato la rabbia di migliaia di elettori nella capitale ed ha portato ad una serie di proteste che ormai si protraggono da settimane.

Proprio alle proteste dello scorso fine settimana, il blogger anti-corruzione e leader del partito “Russia del Futuro” Aleksej Navalny ha chiesto alla folla di continuare a scendere in piazza, violando la legge sull’autorizzazione delle manifestazioni e, di conseguenza, venendo arrestato dalle autorità.

In questo contesto di crescente polarizzazione del dibattito pubblico, Yelena Grigoryeva, nota attivista per i diritti della comunità LGBT, è stata trovata uccisa a San Pietroburgo. Nonostante l’indagine sia appena iniziata, le diverse ferite da arma da taglio, i segni di strangolamento e le minacce subite nel corso degli anni portano a pensare che la sua uccisione sia legata a motivi politici.

La richiesta civile di maggiore tutela dei diritti e di lotta alla corruzione ha ottenuto una forte eco anche grazie alla stagnazione economica e ad un’impopolare riforma delle pensioni. Questi fattori hanno infatti ridotto il consenso attorno a Putin, il cui gradimento pubblico è sceso al minimo storico del 30%.

Tunisia: morto il Presidente Essebsi

II Presidente tunisino Béji Caïd Essebsi è morto il 25 luglio all’età di 92 anni, dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Tunisi. Ritornato alla politica attiva con lo scoppio della Primavera Araba, il Capo dello Stato ha svolto un ruolo fondamentale nella fase di transizione democratica del Paese, avviata nel 2011 ed ancora in corso. Per questo motivo, la sua scomparsa solleva più di  un’incognita sull’evoluzione futura del panorama politico tunisino.

Infatti, nonostante il Paese abbia raggiunto obiettivi importanti come l’adozione di una nuova Carta costituzionale e lo svolgimento di regolari elezioni libere e trasparenti, la giovane architettura istituzionale appare ancora incompleta (non è stata nominata la Corte costituzionale) e la dialettica tra i partiti si svolge in una situazione di forte instabilità e di crescente frammentazione politica.

Di fatto, Essebsi ha contribuito in modo determinante a mantenere unito il Paese, evitando che prendesse una deriva più conflittuale e che il percorso di costruzione delle nuove regole democratiche venisse rallentato o bloccato.

Dopo aver fondato il partito di matrice laica e secolare Nidaa Tounes nel 2012, è stato fautore di una linea più moderata verso Ennahda, la principale forza islamista conservatrice del Paese. In seguito alle elezioni parlamentari del 2014, il Governo, proprio grazie al ruolo di mediatore di Essebsi, è stato sostenuto da una coalizione tra queste due formazioni. Eletto alla Presidenza nello stesso anno, nel corso del suo mandato Essebsi è costantemente intervenuto in varie situazioni di impasse, impedendo che la rivalità tra i partiti e la progressiva disgregazione del panorama politico ponesse fine anzitempo alla legislatura.

Nelle ore immediatamente successive alla scomparsa del Presidente, le istituzioni tunisine hanno reagito nel pieno rispetto del dettato costituzionale, dando prova di poter gestire in modo adeguato un passaggio così delicato. Infatti, il 25 luglio stesso il Presidente del Parlamento Mohamed Ennaceur ha assunto la Presidenza ad interim e l’Alta Autorità per le Elezioni ha anticipato il voto per le presidenziali da novembre al 15 settembre, così da evitare qualsiasi vuoto istituzionale.

Tuttavia, la morte di Essebsi rischia di innescare un inasprimento della dialettica politica, che potrebbe preludere ad una fase di difficile governabilità del Paese all’indomani delle prossime elezioni legislative, fissate per ottobre. Infatti, al momento, nel panorama politico tunisino non sembra esservi un’altra figura politica con tale volontà ed influenza da poter avere lo stesso ruolo di mediatore tra le varie forze politiche.

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