Un’altra domenica di sangue innocente in Egitto. L'intervista al Pres. Margelletti su La Difesa del Popolo
Dopo il duplice attentato contro i cristiani in Egitto, per il presidente Abdel Fattah al-Sisi diventa sempre più complicato traghettare il paese verso la stabilità politica e sociale. Ne è convinto Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali: «C’è il rischio che con l’incremento delle misure di sicurezza e dei controlli aumentino gli effetti dello stato di polizia già in vigore. D’altro canto, perdere la battaglia contro il terrorismo sarebbe per al-Sisi e per tutto l’Egitto un colpo definitivo sia in termini interni, sia internazionali».
Dopo il duplice attentato contro i cristiani in Egitto, per il presidente Abdel Fattah al-Sisi diventa sempre più complicato traghettare il paese verso la stabilità politica e sociale. Ne è convinto Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali: «C’è il rischio che con l’incremento delle misure di sicurezza e dei controlli aumentino gli effetti dello stato di polizia già in vigore. D’altro canto, perdere la battaglia contro il terrorismo sarebbe per al-Sisi e per tutto l’Egitto un colpo definitivo sia in termini interni, sia internazionali».
Qual è il quadro delle “fazioni” politiche pro e contro al Sisi in questa fase?
«L’opposizione allo stato di emergenza proviene dai gruppi di attivisti per i diritti umani in Egitto, secondo i quali le misure di contro-terrorismo non devono legittimare ulteriormente il pugno di ferro del regime. Lo stato di emergenza potrebbe inoltre esacerbare il malcontento di quel che resta della Fratellanza musulmana e alimentare la retorica estremista dei gruppi terroristici, a cominciare da Lewaa el-Thawra (la Brigata della rivoluzione) fino alla galassia jihadista legata all’Isis e orbitante attorno al gruppo Provincia del Sinai. Di contro, il sostegno alla decisione di rafforzare le misure di sicurezza è arrivato dall’esercito e dagli Stati Uniti di Trump».
Quanto si sta impegnando realmente al Sisi nella lotta al terrore?
«Le misure di anti-terrorismo si sono intensificate dopo l’uccisione del generale Hisham Bakharat, morto in un attacco jihadista il 29 giugno 2015. La legge anti-terrorismo, promulgata nell’agosto dello stesso mese, prevedeva un rafforzamento del sistema giudiziario e la detenzione per gli accusati di finanziare gruppi terroristici o i giornalisti accusati di riportare versioni di attentati contraddittori con quanto affermato dal governo. A questo si aggiungeva una legittimazione dell’uso “giustificato della forza” da parte dell’esercito. Nel nord del Sinai, diverse campagne anti-terroristiche da parte dell’esercito si sono susseguite sin dal 2014. Tuttavia, i risultati non sembrano essere commisurati all’impegno, dato l’aumento e l’intensità degli attacchi».
Quanto “solido” è il potere di al Sisi?
«La transizione del post-Mubarak è più difficile del previsto. In questo momento Sisi è l’unico in grado di riuscire a mantenere con polso fermo il potere: ciò non toglie che tutti i fattori che hanno portato alle rivolte di piazza del 2011 siano ancora presenti, anzi aggravati da una crisi di stabilità e rappresentatività».
Nello scacchiere mediorientale quali sono le relazioni privilegiate dell’Egitto?
«Al momento al-Sisi privilegia le relazioni con Emirati Arabi Uniti e Kuwait per diverse ragioni. Innanzitutto, le partnership tra il Cairo e le due monarchie del Golfo affondano le proprie radici nelle necessità di approvvigionamento energetico e di prestiti finanziari. Infatti l’Egitto, oltre a essere un importatore netto di energia, versa in una grave crisi economica, deteriorata ulteriormente soprattutto dopo il peggioramento dei rapporti con l’Arabia Saudita nel 2015 e la sensibile riduzione del flusso di denaro proveniente da Riyadh».
E al netto delle relazioni economiche?
«La diplomazia egiziana ha trovato due ottime sponde in Emirati e Kuwait anche per quanto riguarda la guerra civile libica. Tutti e tre i paesi sostengono il generale Khalifa Haftar, leader dell’Esercito nazionale libico nonché braccio armato del governo di Tobruk. Nell’ottica di mantenere la stabilità dell’intera regione, al-Sisi si è anche detto a favore del mantenimento del regime di Assad in Siria».
Fonte: La Difesa del Popolo