Sopravvivere in guerra I funzionari Onu a “lezione” dal Settimo
Alla Caserma «Guella» dei Carabinieri cinque giorni per prepararsi alle missioni estere in contesti ostili
BOLZANO. Transitare da un’area sicura, stabilizzata, a una zona di conflitto, un territorio ostile, dove ogni parola e ogni movimento hanno un loro peso, dove ogni decisione può determinare il tuo destino e quello di chi ti circonda. Ritrovarsi nel mezzo di un’imboscata, rimanere coinvolti in un incidente lungo il tragitto, essere presi come ostaggio dal nemico. Sono queste alcune delle situazioni nelle quali ci si può imbattere appena si mette piede nei paesi flagellati dai conflitti. Proprio su questi scenari si è incentrata l’esercitazione conclusiva della sesta edizione del corso «Safe and Secure Approaches in Field Environments» (SSAFE), organizzato dall’Arma dei Carabinieri in collaborazione con la Fao e il Cesi (Centro Studi Internazionali di Roma). Ad essere addestrato nell’arco di cinque giorni è il personale Fao e, per la prima volta, quello delle organizzazioni delle Nazioni Unite Ifad e Iom, in partenza per le missioni estere nei teatri operativi a più alto rischio, come Sudan, Yemen, Iraq e Burkina Faso.
Tema principale del corso, organizzato presso il 7° Reggimento Carabinieri “Trentino Alto Adige” a Laives, sono le strategie e gli approcci da adottare in diversi contesti di crisi e di conflitto. Saper affrontare imprevisti ma anche situazioni di routine, per capire come comportarsi davanti al nemico e non essere percepito come soggetto “scomodo”. Questo rimanendo consapevoli del fatto che ogni scelta ha un suo peso e un suo valore.
Si tratta di un percorso prima di tutto teorico, come spiega Alessandra Giada Dibenedetto, uno dei due analisti del Ce.S.I., che questa settimana hanno organizzato tre lezioni preparatorie. «Vogliamo dare una panoramica dei pericoli che i corsisti potrebbero vedersi costretti ad affrontare in diverse aree del mondo, dagli attori alle modalità degli attacchi». Alla preparazione geo-strategica e di nozione del pericolo segue poi la parte pratica dell’addestramento, forse quella più difficile da affrontare. Per il presidente del Cesi Andrea Margelletti si tratta di «simulazioni estremamente fedeli alla realtà, per preparare le persone a un mondo che non è necessariamente conforme a ciò che immaginano. È così che i futuri operatori imparano a superare le proprie barriere mentali ».
Il circuito che i corsisti devono affrontare nell’ultima giornata di addestramento è suddiviso in sei tappe molto diverse tra loro, ma che rappresentato scenari estremamente plausibili in un contesto fittizio ma ispirato e fedele alla realtà. «Il percorso è studiato per testare le loro capacità di reagire e interagire», spiega il capitano Simone Carlini, responsabile dell’esercitazione.
Durante il percorso vengono osservate le capacità del personale Onu di relazionarsi con gli abitanti e con le forze di polizia locali. Ogni loro parola e ogni loro movimento ha un significato e un peso particolare. Con la simulazione di un incidente stradale vengono valutate le loro capacità di reagire e di prestare soccorso. Ad attenderli all’ultima tappa una violenta imboscata da parte dei ribelli. Qui lo scenario è da pelle d’oca. La messa in scena con colpi di pistola, esplosioni di ordigni e feriti agonizzanti a terra apre gli occhi su una realtà che siamo abituati ad osservare solo in televisione. E solo in questo modo, per quanto possibile, i corsisti possono prepararsi fisicamente e mentalmente a ciò che li attende.
Fonte: Alto Adige