L'ISIS va battuto assieme ai libici

L'ISIS va battuto assieme ai libici

21.02.2015

L’avanzata dei fondamentalisti islamici dell’Isis in Libia e la guerra civile interna aumenterà nelle prossime settimane in modo ancora più sconvolgente il numero dei migranti che cercano la salvezza nella sponda europea del Mediterraneo. Fonti dell’intelligence italiana parlano di oltre 200mila arrivi da qui all’estate. Le coste libiche sono ormai alla completa mercè di bande di criminali e di terroristi, visto che non esiste più un’autorità governativa in grado di garantire l’ordine nel paese. Oggi in Libia ci sono due governi, ex truppe di Gheddafi senza più un datore di lavoro, armate dell’Isis e gruppi tribali che si spartiscono quel che resta del Paese. Secondo stime delle Nazioni Unite, sarebbero oltre 450mila i rifugiati interni, 100mila quelli fuggiti all’estero, su una popolazione totale che supera di poco i sei milioni di persone. Gli ospedali sono prossimi al collasso, mancano medicinali e strumentazioni mediche, manca il carburante, acqua e elettricità sono sspesso tagliati. Il prezzo dei beni indispensabili cresce di giorno in giorno, insieme al tasso di criminalità. Come riporta la rivista Limes la Libia è spaccata in due: “quello di al-Thinni che ha sede tra Tobruk e Baida nell’estremo est del Paese e che è riconosciuto internazionalmente perché eletto dal parlamento uscito dalle urne del 25 giugno 2014; e il governo al-Hasi, con sede a Tripoli, che è stato eletto dal vecchio parlamento (il Congresso Generale Nazionale)”. Nel mezzo l’avanzata delle bandiere nere dell’Isis che cominciano a fare breccia in molti settori islamici della Libia. «L’Isis sta compiendo - spiega il professore Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.) - una vera e propria avanzata politica in Libia, molti giovani islamici vedono negli estremisti un “modello che funziona”, che dà una prospettiva di vita e decidono pertanto di affiliarsi. In Libia ormai nessuno controlla più il Sud del paese, che secondo gli “osservatori” sul posto è caduto in molte zone sotto l’influenza dei miliziani jihadisti provenienti dal Mali. Intere regioni lasciate nel caos più totale, e va detto che sono notevoli anche le risorse energetiche in quelle zone». Visto che le coste libiche sono a poche miglia marine dalla Sicilia, dobbiamo cominciare a preoccuparci di possibili azioni contro le coste italiane? «Assolutamente no, l’Isis non ha aerei, non ha missili a lunga gittata, non ha armi per raggiungerci. Dobbiamo però sconfiggerli prima che si espandano ancora. Il bandolo della matassa è uno solo: l’Occidente deve mettere assieme tutte le tribù libiche locali e cercare una soluzione con loro, sentendo ciò che vogliono fare i libici. La costituzione di un Consiglio tribale libico per la transizione potrebbe organizzarsi proprio a Roma». A preoccupare lo studioso è ben altro: il disinteresse degli americani. «Washington considera la questione libica e dell’Isis soltanto nel quadro della contrapposizione con la Russia e lascia sola l’Europa a gestire la “patata bollente”». Patata bollente che comprende la gestione dei barconi in partenza dalla Libia. Secondo i dati della Fondazione Migrantes dei 170mila immigrati sbarcati in Italia nel 2014, 141.484 provengono dalle coste libiche (15 mila dall’Egitto, 10 mila dalla Turchia, 1500 dalla Grecia e poco più di mille dalla Tunisia) e la nazionalità prevalente dei clandestini è quella siriana con oltre 42mila unità. «Nei barconi dubito che si imbarchino terroristi o aspiranti tali, lo sostengo perché i jihadisti sono cinici: i terroristi sono ben addestrati e le milizie non vogliono né rischiare la loro vita né farli finire in qualche centro di accoglienza. La strategia è ben più complessa». Su questo fronte, quindi, il “nemico” non è rapresentato dai fondamentalisti, ma dalle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. «La questione è più prosaicamente governata dal motto “pecunia non olet”: delinquenti e islamisti spesso sono difficili da distinguere quando si tratta di fare questo tipo di affari».

Fonte: La Voce dei Berici