I foreign fighters di Daesh tornano a casa, un pericolo per l'Europa?
Lo scorso 18 ottobre il generale americano Gary Volesky, che coordina le forze di terra della coalizione internazionale operante nel nord dell’Iraq, ha rivelato alla stampa che diversi leader dello Stato Islamico erano in fuga dalla città di Mosul, dove al contrario i foreign fighters restavano per continuare la battaglia e inseguire il loro martirio.
Come già successo durante le battaglie per la riconquista di Ramadi e Fallujah tra i civili in fuga si mescolano molti miliziani, leader e fiancheggiatori di Daesh, per darsi alla fuga - una sorta di diserzione - o per ripiegare altrove senza dare nell’occhio o, semplicemente, per mantenere il controllo sulle vite di quelli che abbandonando le città diventano profughi.
Domenica 23 ottobre il quotidiano torinese La Stampa ha pubblicato un’intervista realizzata al generale curdo Sirwan Barzani, che coordina le operazioni dei peshmerga delle unità d’élite Black Tigers dalla base di Makhmour (80 chilometri a sud-est di Mosul), il quale elencando alcune delle difficoltà riscontrate nella battaglia ha rivelato che diversi miliziani, o meglio presunti tali, sono già stati arrestati dai suoi uomini tra i profughi in fuga da Mosul: “A Mosul l’Isis ha ancora forti consensi. E purtroppo questo è vero anche in alcuni quartieri di Kirkuk. È una difficoltà in più nella nostra battaglia. Come pure i terroristi infiltrati fra i profughi. Ne abbiamo arrestati 37 in pochi giorni. Eppure accettiamo tutti. Abbiamo accolto 40 mila rifugiati in due anni, ne arriveranno altre migliaia”.
Secondo quanto riferisce il Washington Post i funzionari europei di diverse agenzie anti-terrorismo dei Paesi UE sarebbero preoccupati per possibili attentati attuati da ex-combattenti di Daesh tornati a casa: quello dei “foreign fighters di ritorno” è un problema che i servizi di intelligence e le polizie europee stanno affrontando da tempo, da prima ancora degli attentati di Parigi di novembre e della strage alla redazione di Charlie Hebdo, ma con l’offensiva di Mosul e la fuga di centinaia di migliaia di persone dalla città e dai villaggi limitrofi il rischio si rinnova, e si amplifica, in questi giorni di offensiva militare.
Secondo quanto riferisce l’agenzia AdnKronos citando “fonti qualificate” nelle prossime settimane gli apparati di sicurezza si attenderebbero una possibile ondata di ritorno di mujaheddin in Europa sia dall’Iraq che dalla Siria e non è escluso che la questione sia una delle prossime urgenti questioni sul tavolo del Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo. “Il jihadista che torna ‘a casa’ in Europa è adesso ancor più pericoloso perché in questi mesi si è caricato di odio ideologico, alimentato anche dalla rabbia di non aver potuto contribuire a realizzare lo Stato Islamico che voleva costruire. Ecco perché c’è il rischio che qualcuno voglia mettere in pratica il progetto di trasferire nelle nostre città ciò che si vive oggi ad Aleppo, con autobombe ed attentati che puntino a riprodurre nei Paesi occidentali la situazione esistente in Siria o in Iraq” ha dichiarato all’agenzia stampa italiana il Presidente del CESI (Centro Studi Internazionali) Andrea Margelletti.
Quello che è certo oltre ogni ragionevole dubbio è che avere la certezza, in tal senso, che da Mosul gli islamisti stranieri stiano riprendendo la via di casa per organizzare attacchi e attentati, è praticamente impossibile. Ma se guardiamo alle precedenti campagne militari di liberazione delle città dal gruppo Stato Islamico la caratteristica costante è proprio questa, il ritorno a casa dei foreign fighters: si stima che i cittadini europei unitisi al Califfato siano tra i 4.000 e i 5.000 e solo qualche centinaio di questi provengono dall’Italia.
Scandagliando il web, come fanno gli apparati di sicurezza europei, non è difficile imbattersi in piccoli segnali da tenere sotto controllo: qualche suggerimento ai musulmani residenti in Europa di emigrare per l’arrivo di qualche tragedia non meglio precisata, qualche minaccia più precisa (sopratutto verso obiettivi in Francia, in Belgio e in Germania) e la diverse citazioni di al-Andalus e della sua riconquista (la penisola iberica è considerata dalle frange estreme del salafismo islamista territorio musulmano). Ma è impossibile fare una valutazione di senso compiuto sulla veridicità di tali minacce o sulla mitomania di chi le scrive. Secondo quanto rivelato dal capo dell’Europol Rob Wainwright i combattenti “di ritorno” sarebbero leggermente aumentati negli ultimi mesi, anche se non in numero rilevante. Ma le battaglie di Mosul in Iraq e di Raqqa in Siria potrebbero cambiare molto le cose.
Secondo Wainwright la maggior parte dei foreign fighters europei arruolatisi nell’ISIS sono ancora vivi e un terzo di loro si stia sia tornato a casa. Viaggi difficili, sopratutto per coloro i quali bruciarono il proprio passaporto come rituale, in segno di fedeltà al nuovo Stato, quello creato da Abu Bakr al-Baghdadi: la Turchia, che afferma di valutare tali combattenti di ritorno come una minaccia per la sicurezza nazionale, ha annunciato l’intenzione di voler rafforzare la sicurezza al confine con la Siria ma anche in questo caso è difficile discernere la volontà di difesa da quella di attaccare i curdi. Ma i soldi a Daesh non mancano e non è assurdo pensare che tali combattenti di ritorno possano pagare profumatamente trafficanti di uomini per garantirsi un viaggio in tutta sicurezza fino ai confini europei o addirittura fino a casa. Negli ultimi mesi l’Europol ha segnalato un aumento di persone che viaggiavano con documenti falsi, sopratutto in Gran Bretagna, Svezia e Italia.
Gilles de Kerchove, coordinatore dell’Antiterrorismo Europea, ha detto al Washington Post di non sapere se questo flusso di ritorno sarà consistente o meno ma che certamente ci sarà. Allo stesso modo non è possibile sapere con certezza se queste persone vorranno colpire e se realmente esiste un’organizzazione, come pare esista tra l’altro, dal Medio Oriente che coordina questi foreign fighters di ritorno: organizzare attentati in UE però “potrebbe essere un modo per i leader dello Stato Islamico per mostrare di avere ancora il controllo, mentre i loro sostenitori si danno alla fuga”. Gli stessi dubbi che l’intelligence italiana nutre relativamente ai nuovi flussi di migranti provenienti dalla Libia, visto e considerato le sconfitte di Daesh nelle sue roccaforti nordafricane. Le vie di fuga, con il deteriorarsi della situazione nel nord della Libia, come anche nella regione egiziana del Sinai, che i foreign fighters di ritorno possono intraprendere sono diverse e fuori controllo.
Ma il timore non è solo per l’Europa: negli 1,5 milioni di potenziali profughi calcolati solo per la città di Mosul dalle Nazioni Unite potrebbero infiltrarsi centinaia di questi soggetti, che potrebbero organizzare atti di barbarie anche nei campi profughi allestiti nella piana di Ninive, fino a Erbil, città curda pochi chilometri a nord-ovest di Mosul dove hanno sede le principali ONG che operano ora in Iraq.