Costa d'Avorio: domenica referendum sulle riforme costituzionali
Domenica la Costa d’Avorio si recherà alle urne per approvare o respingere le modifiche costituzionali introdotte dal Presidente Alassane Ouattara. Il Paese gode attualmente di una relativa stabilità politica, cinque anni dopo la fine della guerra civile che aveva visto contrapposto Ouattara e l’ex Presidente Laurent Gbagbo. Dal canto loro i leader religiosi hanno invitato alla calma. Andrea Walton ha intervistato Marco Di Liddo, analista per l’Africa del Centro Studi Internazionali di Roma, chiedendogli quali sono queste riforme costituzionali:
R. – Il pacchetto di riforme è vasto: innanzi tutto l’innalzamento del limite dell’età presidenziale oltre i 75 anni, la creazione di un Senato che bilanci l’attuale Assemblea nazionale e di una nuova camera di personalità “di estrazione tribale” che devono avere una funzione coadiuvante rispetto al processo decisionale nazionale e, infine, l’eliminazione del termine “ivorianità” dal testo costituzionale.
D. - Quali partiti politici si oppongono alle riforme? Perché?
R. – Sostanzialmente, a parte il partito del Presidente Ouattara, tutto il resto delle piattaforme politiche ivoriane sia quelle che siedono in parlamento sia quelle della società civile respingono questo progetto per diverse ragioni: alcuni perché ritengono che Ouattara - 74 anni - intenda modificare il limite di età per preparare un ipotetico prolungamento della sua stagione politica; altri sostengono che in realtà stia preparando la strada ad un ipotetico successore appartenente alla sua cerchia, altri invece dicono che la volontà di eliminare dal testo costituzionale il termine “ivorianità” - quindi di eliminare quello che è uno dei pilastri fondanti dell’identità nazionale ivoriana - costituisca un’apertura verso tutti quei migranti che provengono dai Paesi vicini e che costituiscono il tessuto lavorativo indispensabile nelle grandi piantagioni di cacao nel Paese.
D. - Qual è l’attuale situazione politica nel Paese?
R. - La Costa d’Avorio è un Paese relativamente stabile; sicuramente usufruisce di una situazione migliore dei suoi vicini, però ha tutte quelle criticità che un po’ caratterizzano i Paesi africani, ossia un partito di potere che controlla in modo piuttosto ampio tutti gli apparati istituzionali e le opposizioni che sono un po’ marginalizzate. Il partito di opposizione, quello dell’ex Presidente Gbagbo, cerca, nel limite delle sue possibilità, di bilanciare la funzione presidenziale però è un po’ al limite. Per quanto riguarda i rapporti etnici c’è sempre una relazione, in un certo senso complicata, tra la maggioranza cristiana del Sud e la grande percentuale della popolazione musulmana del Nord, appartenente all’etnia dioula, che si sente discriminata. Poi c’è la faccenda dei lavoratori stranieri, la maggior parte dei quali provenienti dal Niger e dal Burkina Faso, che chiedono di aver maggiore tutela e maggiori diritti e non essere unicamente sfruttati come manodopera a basso costo.
D. - Come prevede possa evolversi la situazione?
R. - Questo dipenderà da quanto il governo riuscirà a dialogare con queste minoranze e con queste forze politiche adesso al margine. Ouattara è stato il Presidente che in un certo senso ha chiuso la stagione della guerra civile e che ha cercato di dare la pace al Paese; è sostenuto anche dalla Francia che in questo senso potrebbe dare una grossa mano ai suoi progetti politici ed è anche ben visto dall’Unione Africana. Sono tutti ingredienti che sicuramente fanno sperare in un progetto politico efficace di riconciliazione.