Afghanistan. Talebani attaccano bus governativo: 25 vittime_Radio Vaticana
E’ salito a 35 il bilancio delle vittime dell’attentato che a Kabul, in Afghanistan, ha preso di mira un autobus con a bordo uomini del governo. A rivendicare l’attacco i talebani, che non arretrano nella loro offensiva per il controllo del Paese e nel loro tentativo di screditare le istituzioni, in un contesto di forte instabilità politica, come spiega al microfono di Paola Simonetti, Francesca Manenti, analista del Centro Studi Internazionali:
R. – L’obiettivo fondamentale dei talebani è quello di andare a mettere in discussione delle autorità che non vengono riconosciute sia da un punto di vista politico e quindi appunto le istituzioni del governo di Kabul e il governo di unità nazionale e, d’altra parte, ovviamente, andare a provare come le forze di sicurezza afghane e quindi le forze armate, l’esercito e i servizi di intelligence non siano in realtà in grado di mantenere la sicurezza e di garantire la sicurezza della popolazione afghana. Quella dei talebani è un’attività di insorgenza che ha una natura assolutamente e prettamente anche politica.
D. – La politica del presidente americano Trump in che modo incide sull’offensiva talebana? Parliamo ovviamente della politica estera…
R. – In realtà non è possibile ancora riscontrare un legame diretto tra quello che è la politica estera dell’amministrazione Trump e l’insorgenza talebana. Perché? Perché tutto quello è stato fatto finora dall’amministrazione Trump e quindi anche andare a pensare ad un’intensificazione dei contingenti statunitensi in Afghanistan, è stato fatto prettamente con un obiettivo di controterrorismo, quindi di andare a scongiurare che si possano rafforzare non tanto i talebani quanto i gruppi affiliati a Daesh, cioè gruppi jihadisti che sono presenti in Afghanistan e che hanno fatto negli ultimi mesi dell’Afghanistan, delle province orientali dell’Afghanistan, la propria roccaforte e che sono stati il target di quello che è stato conosciuto come la madre di tutte le bombe, il raid aereo condotto dagli Stati Uniti qualche mese fa nella provincia di Nangarhar. Quindi, in realtà, in questo momento i talebani rientrano nella politica estera americana in Afghanistan un po’ di striscio.
D. - Il sedicente Stato islamico come si innesta nello scenario afghano? In particolare che relazione c’è tra talebani e Is? Se ce n’è una…
R. – In realtà la relazione tra i due gruppi è assolutamente conflittuale. Il gruppo affiliato al cosiddetto Stato islamico, quindi la provincia del Khorasan di Daesh, che ha nelle province orientali dell’Afghanistan la propria roccaforte è nato ormai un anno fa, su iniziativa di gruppi talebani in realtà provenienti dal Pakistan che hanno sconfinato, sono arrivati nelle province orientali dell’Afghanistan e hanno creato lì il primo nucleo originario. Nucleo originario che poi ha attratto sempre più proseliti.
D. – Parliamo un po’ del governo afghano, che strumenti ha, se ne ha, o avrebbe per fronteggiare talebani e situazione terroristica più in generale?
R. – Ma in realtà in questo momento il governo afghano si trova in una situazione di grande crisi, quello che doveva essere il governo di unità nazionale, fuoriuscito dalle elezioni del 2014 non sembra essere stato in grado di dare una risposta coesa e coerente al grande problema dell’insorgenza interna. Uno dei punti fondamentali sono le diatribe, le divergenze interne al governo stesso tra il presidente Ghani di etnia pashtuni, rappresentativo e rappresentante degli interessi delle comunità pashtun e dell’etnia pashtun in Afghanistan, e il cosiddetto primo ministro - anche se in realtà la costituzione afghana non riconosce più la figura del primo ministro Abdullah Abdullah che invece è di etnia tagika. Quindi un governo che cerca di trovare una sintesi dei rapporti tra le diverse etnie è fondamentale in Afghanistan per avere una sorta di governo di intenti, ma in realtà non sono riusciti a trovare questa sintesi e a creare una sintesi funzionante.
Fonte: RadioVaticana