Unione Economica Euroasiatica e One Belt One Road: in sinergia verso la "Greater Eurasian Partnership"
La pagina ufficiale del Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese afferma che negli ultimi mesi del 2018, Cina e Russia hanno accelerato le procedure per rendere possibile l’entrata in vigore dell’Accordo sulla Cooperazione Commerciale ed Economica tra Cina ed Unione Economica Euroasiatica (UEE) ad inizi 2019. Tale accordo, firmato lo scorso maggio dal Rappresentante del Commercio Internazionale e Viceministro del Commercio cinese, dal Presidente dell’Esecutivo dell’UEE e dai delegati degli Stati membri dell’Unione nella cornice dell’Economic Forum di Astana, era stato salutato positivamente e giudicato come un autentico “nuovo inizio” per la regione Euroasiatica, segnata dal coordinamento di due mega-progetti coesistenti nell’area.
Il primo progetto nella regione è l’iniziativa cinese One Belt One Road (OBOR), detta anche ‘Nuova via della seta’. Lanciata nel 2013 dal Presidente cinese Xi Jinping, l’OBOR è parte della strategia a lungo termine ideata dalla Cina per imporsi come potenza politica e commerciale a livello non più solamente regionale ma anche globale, attraverso strumenti di ‘soft power’. L’OBOR contribuirebbe infatti ad un’ambita ridefinizione della globalizzazione a caratteri cinesi, attraverso la creazione di una fitta rete di infrastrutture e telecomunicazioni che dovrebbe impegnare più di 60 paesi dall’Asia all’Europa e dall’Oceania all’Africa Orientale. L’obiettivo infrastrutturale è di rendere complementari le tre principali modalità di trasporto (aereo, marittimo e ferroviario) integrando un percorso terrestre (diviso in tre diversi corridoi che connetterebbero Cina, Europa, Medio Oriente e Sud-est Asiatico) un percorso marittimo (complessivo di una rotta tra Cina e Europa attraverso l’Oceano Indiano ed il Mar Rosso ed un’altra tra Cina e le isole del Pacifico attraverso il Mare di Cina) ed infine una rete aerea (che al momento già consiste di voli diretti verso 45 Paesi) Ma al di là dell’integrazione infrastrutturale, il progetto mira a facilitare il coordinamento politico, incrementare la connettività dei flussi commerciali nella regione e promuovere l’integrazione finanziaria e culturale tra i Paesi coinvolti.
Il secondo progetto è la meno nota ma altrettanto ambiziosa Unione Economica Euroasiatica a guida russa. Si tratta di un progetto di integrazione dello spazio post-sovietico partito nel 2015 come evoluzione della già esistente Comunità Economica Euroasiatica istituita nel 2000. L’evoluzione ha visto un incremento della natura sovranazionale dell’organizzazione, con l’istituzione sia della Commissione Economica Euroasiatica, un organo sovranazionale permanente con il compito di delineare le condizioni necessarie allo sviluppo dell’Unione e avanzare proposte per l’integrazione economica, sia della Corte di Giustizia dell’Unione, istituita per controllare la corretta e uniforme applicazione del Trattato istitutivo e dei successivi trattati firmati tra l’Unione e gli Stati membri. Come unione doganale ed economica, l’UEE garantisce libertà di movimento di merci, servizi, capitale e lavoro e permette il coordinamento e l’armonizzazione di policy comuni nei settori determinati dal Trattato istitutivo e dai successivi accordi all’interno dell’Unione. Inoltre, in termini economici, l’unione garantisce agli Stati membri rapporti commerciali stabili, opportunità di modernizzare le proprie economie nazionali e di migliorare la competitività nel mercato mondiale. Attualmente gli Stati membri sono, oltre la Russia, l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakhstan ed il Kyrgyzstan. Come l’OBOR, anche l’UEE ha obiettivi politici oltre che economici e commerciali: è vista, soprattutto in UE, quale strumento dell’agenda geopolitica russa per riaffermare la propria sfera privilegiata di interessi e promuovere una visione pan-asiatica rivale dell’Occidente.
Data l’ampia sovrapposizione geografica dei due progetti, inizialmente Mosca e Pechino si percepivano come rivali strategici in Asia Centrale e osservavano i due progetti competere in una dinamica di gioco a somma-zero. Soprattutto in Russia, molti analisti accolsero il lancio della ‘Nuova via della seta’ come un pericoloso tentativo cinese di escludere la Russia dalla regione in cui stava promuovendo il proprio progetto di integrazione, ed intravedevano un non lontano conflitto tra le due iniziative. Tuttavia, complice il gelo tra Russia ed Unione Europea dopo l’annessione della Crimea, la prospettiva cambiò radicalmente dopo il Summit a Mosca tra Putin e Xi del maggio 2015. I due leader firmarono una dichiarazione comune “sulla cooperazione nel coordinamento dello sviluppo dell’UEE e della Silk Road Economic Belt” e la Commissione dell’UEE fu autorizzata dagli Stati membri ad aprire le negoziazioni con la Cina. L’esito è stato l’accordo regionale bilaterale raggiunto lo scorso maggio e di corrente implementazione, che dopo tre anni di non facili trattative ha creato un fondamento giuridico nel diritto internazionale che unifica e consolida l’interazione economica tra i due partner. L’accordo è di natura non-preferenziale e non prevede la riduzione automatica delle barriere non-tariffarie, tuttavia offre meccanismi di interazione in varie aree di regolamentazione e offre nuove opportunità alle economie coinvolte.
L’obiettivo del trattato è stabilire una base per lo sviluppo futuro di relazioni economiche tra le parti garantendo cooperazione nei settori coperti dall’Accordo e facilitando le comunicazioni e si colloca nel contesto del WTO Agreement.
L’obiettivo a lungo termine di questo accordo, che per ora è solo un ‘framework agreement’, è di contribuire alla creazione della cosiddetta ‘Greater Eurasian Partnership’. Ai fini della riuscita del progetto, non tanto l’UEE, quanto la Russia e la Cina, dovrebbero continuare nel porcesso di stabilizzazione delle loro relazioni sulla base di considerazioni e bisogni pragmatici, come la manodopera a basso prezzo ed investimenti cinesi per la Russia e l’energia russa per la Cina. Tuttavia, è Mosca che dovrà giocare bene le proprie carte, conscia del fatto che, stto il progfilo economico e di proiezione di influenza commerciale, Pechino fa la parte del leone. Mosca, quindi, non può permettersi di rimanere schiacciata dall’avanzata del Dragone cinese.
Dalla crisi con l’Occidente la Russia ha compreso che il proprio futuro come potenza economica ma soprattutto politico-culturale potrebbe essere in Asia, quale ampio mercato energetico, calamita di investimenti per lo sviluppo della Siberia e del cosiddetto ‘Russian Far East’, e fonte di attori interessati ad accordi di cooperazione militare regionale.
Queste sono le ragioni del ‘Pivot to Asia’ del Cremlino, che ha visto la Russia stringere i rapporti con i Paesi dell’ASEAN e della Shangai Cooperation Organization (SCO) e che guidano l’agenda della presidenza Russa della SCO, assunta lo scorso giugno.