Una prospettiva strategica sulla Groenlandia
All’alba del suo insediamento alla Casa Bianca, il Presidente Donald Trump ha paventato la possibilità di riprendere il controllo sul Canale di Panama e di rendere la Groenlandia parte del territorio degli Stati Uniti d’America. Seppur possano sembrare delle dichiarazioni atemporali e per la maggior parte prive di una motivazione, quest’ultima è presente ed è radicata negli interessi nazionali americani per il XXI secolo. Infatti, il Canale, oltre a rappresentare uno dei chockepoints principali del commercio marittimo internazionale, status che già permette di comprenderne la rilevanza e il perché Washington lo reputi imprescindibile, rappresenta anche un passaggio necessario per le navi commerciali americane che transitano da una costa all’altra degli USA, con il 70% dei traffici per lo stretto che sono proprio di derivazione americana. Per quanto concerne l’isola vicina al Polo Nord e tuttora sotto l’egida danese, le motivazioni sono variegate.
Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di coltivare ambizioni artiche e di fare di Nuuk la capitale del 51° Stato federato. Dunque, tale proposta non può essere liquidata come un’uscita estemporanea, visto che già 5 volte (1867, 1910, 1946, 1955 e 2019) Washington aveva strutturato l’idea di acquistare l’isola. A tal proposito, già durante la Seconda Guerra Mondiale, il Governo americano invocò la Dottrina Monroe per giustificare l’occupazione del territorio artico, prevenendo così l’arrivo delle truppe naziste, che nel frattempo controllavano la Danimarca. A seguito di ciò, nel 1946 la Casa Bianca offrì 100 milioni di dollari (equivalenti a circa 1 miliardo di oggi) per l’acquisto della Groenlandia e, nel 1951, siglò un trattato bilaterale con Copenaghen per garantirne la difesa. Durante la Guerra Fredda, il valore strategico dell’isola si concentrò prevalentemente sulla sicurezza militare, legata alla protezione del Greenland-Iceland-UK (GIUK) Gap e alle linee di comunicazione marittime, oltre che alle capacità spaziali e aeree sviluppate nella base di Thule (Pituffik).
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, l’interesse statunitense si è ampliato includendo anche le enormi risorse naturali dell’isola, come gas, petrolio, uranio e materie prime critiche (Critical Raw Materials, CRM), essenziali per l’industria tecnologica e la transizione energetica globale (ad esempio batterie, motori elettrici, pannelli solari).