In Iran è stato assassinato il capo del programma nucleare Mohsen Fakhrizadeh
Lo scorso venerdì 27 novembre il fisico iraniano Mohsen Fakhrizadeh, capo del programma nucleare, è stato assassinato in un agguato nelle vicinanze di Teheran. Lo scienziato stava viaggiando con la scorta verso Absard, a circa 60 chilometri fuori Teheran, quando l’auto è stata raggiunta da colpi di arma da fuoco e dall’esplosione di un’autobomba. Benchè sia l’esatta ricostruzione dei fatti sia l’attribuzione dell’attacco siano ancora da verificare, la dinamica ha richiamato alla memoria operazioni simili condotte contro scienziati nucleari in Iran tra il 2009 e il 2010. Il governo Rouhani ha pubblicamente puntato il dito contro Israele e contro l’Amministrazione Trump, accusata da Teheran di aver dato il proprio placet all’attacco. Fakhrizadeh, infatti, era considerato un obiettivo di altro profilo da entrambi i Paesi, che guardavano allo scienziato come alla mente principale dietro l’evoluzione e il progresso della sperimentazione nucleare militare della Repubblica Islamica.
L’attacco sembra destinato a segnare un nuovo ulteriore irrigidimento della posizione iraniana nei confronti di ogni possibile dialogo con gli Stati Uniti, specialmente relativamente alla possibilità di riprendere un negoziato sulla falsa riga del Joint Comprehensive Plan of Action. In un momento in cui Joe Biden ha aperto la porta ad una recupero dei contatti con Teheran, la morte di Fakhrizadeh complica la costruzione di questo processo.
L’attentato, tuttavia, potrebbe innescare importanti evoluzioni anche sul fronte interno al Paese. Nelle ore immediatamente successive ala morte dello scienziato, infatti, il governo Rouhani ha sostenuto la necessità di proseguire nel solco della “pazienza strategica” formulata dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, in occasione dell’uccisione del Generale Qassem Suleimani, lo scorso gennaio, per ponderare una risposta di lungo termine che impedisca al Paese di compiere passi falsi che potrebbero compromettere la stabilità della Repubblica Islamica. Tuttavia, la politica adottata dal governo non sembra incontrare il favore degli ambienti più conservatori, che guardano alla posizione dell’esecutivo come ad un segno di debolezza rispetto alle scelte dei rivali esterni. Gruppi di manifestanti vicini alle istanze ultraconservatrici sono scesi in piazza in diverse città per protestare contro la mancanza di una risposta proporzionata, considerata necessaria per lanciare un segnale di forza all’esterno e vendicare l’attacco subito all’interno del proprio territorio.
L’esecutivo Rouhani si trova così tra due fuochi, creati dalla volontà di non rischiare di incorrere in un’escalation di violenza con gli stati Uniti e il bisogno di placare le critiche provenienti dal fronte interno. In un momento in cui il governo si trova a dover prendere le misure anche in attesa del passaggio di consegne alla Casa Bianca, la scelta diplomatica di Teheran potrebbe essere utilizzata dagli ambienti ultraconservatori per far leva sul risentimento della popolazione e spingere sull’acceleratore del nazionalismo, al fine di capitalizzare consensi in vista delle prossime elezioni.