Impatti e prospettive economiche della nuova politica commerciale di Trump
Geoeconomia

Impatti e prospettive economiche della nuova politica commerciale di Trump

Di Alexandru Fordea
03.04.2025

Il 2 aprile, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato una nuova serie di dazi doganali con l’obiettivo di riequilibrare la bilancia commerciale nazionale e proteggere l’industria americana. Le misure, che entreranno in vigore il 5 aprile, interesseranno un ampio numero di Paesi e avranno un impatto significativo su vari settori economici. L’aumento delle tariffe, nel breve periodo, comporterà costi più elevati per le imprese statunitensi, che probabilmente li trasferiranno sui consumatori, portando a rincari su beni di uso quotidiano, come smartphone e alimenti importati. In prospettiva, invece, l’obiettivo americano appare quello di reintegrare nei processi produttivi nazionali buona parte della produzione attualmente presente all’estero.

Nel dettaglio, un’aliquota del 10% sarà applicata a tutte le importazioni provenienti da Paesi come il Brasile, Singapore, Australia, Turchia, Colombia, Argentina, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Tuttavia, circa 60 Paesi considerati “peggiori trasgressori” dalle autorità americane subiranno tariffe più elevate, con potenziali ripercussioni destabilizzanti sul commercio globale. L’Unione Europea (UE), per esempio, dovrà affrontare un dazio del 20%, mentre la Svizzera subirà un’imposta del 31% e la Serbia del 37%. Il Regno Unito, pur soggetto alle nuove misure, avrà un’aliquota minima del 10%. Secondo la Casa Bianca, le tariffe sono giustificate dalla necessità di contrastare le barriere commerciali imposte dall’Europa e da singoli Stati. Le prime stime indicano che i settori automobilistico, industriale e manifatturiero potrebbero essere i più colpiti, con perdite significative.

Nel contesto asiatico, la Cina affronterà un dazio del 34%, mentre il Vietnam e il Laos subiranno tariffe rispettivamente del 46% e 47%. Altri importanti partner commerciali come l’India (26%), la Corea del Sud (25%), il Giappone (24%) e l’Indonesia (32%) saranno colpiti dalle nuove misure. Gli Stati Uniti accusano questi Paesi di pratiche commerciali sleali, come l’imposizione di dazi elevati sui prodotti americani o l’adozione di barriere non tariffarie che ostacolano le esportazioni statunitensi. Inoltre, Trump ha confermato l’introduzione immediata di una tariffa del 25% sulle automobili prodotte all’estero, con l’obiettivo di rafforzare l’industria automobilistica americana e incentivare la produzione interna, riducendo la dipendenza dagli stabilimenti stranieri. Anche questa mossa ha destabilizzato i partner asiatici degli Stati Uniti, come il Giappone, che aveva chiesto senza successo di esserne esentato.

In questo contesto, l’idea che le tariffe rappresentino uno strumento di pressione per ottenere vantaggi economici sembra perdere forza. L’amministrazione Trump appare infatti sempre più determinata a costringere le aziende a rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti, invertendo il processo di delocalizzazione industriale. L’imposizione di dazi particolarmente elevati su Paesi come il Vietnam o Taiwan, che si erano resi disponibili ad avviare trattative su questo tema, è un chiaro indicatore di questa strategia, finalizzata non solo a riequilibrare il commercio, ma anche a ridurre la dipendenza dalle importazioni, spingendo le imprese a produrre internamente. Nello specifico, Hanoi, durante il mese di marzo, aveva fatto concessioni rilevanti a Washington, adottando misure per ridurre i dazi su una serie di prodotti statunitensi, tra cui GNL e automobili, e annunciando una serie di interventi, tra cui l’incremento delle importazioni, al fine di ridurre il suo surplus commerciale con gli Stati Uniti, che ha superato i 123 miliardi di dollari lo scorso anno. Anche per quanto concerne Taipei il discorso non è dissimile, infatti TSMC nei primi mesi del 2025 ha confermato un investimento attorno ai 100 miliardi di dollari per aumentare la propria produzione negli Stati Uniti. Entrambe queste strategie però non hanno prodotto i risultati attesi.

Anche l’India, nonostante la sua attuale centralità nella strategia statunitense e gli sforzi significativi per migliorare i legami commerciali con Washington, ha visto comunque l’introduzione di un dazio del 26%. Dal canto suo, Nuova Dehli aveva anch’essa provato a fare delle concessioni alla amministrazione Trump, garantendo una diminuzione dei dazi su migliaia di beni, offrendo tagli tariffari su metà delle importazioni statunitensi (per un valore di 23 miliardi di dollari), e proponendo l’avvio di colloqui finalizzati ad un accordo commerciale bilaterale. L’India ha anche aumentato le importazioni statunitensi di 3 miliardi di dollari e investito oltre 40 miliardi negli Stati Uniti. Tuttavia, queste mosse non sono bastate a evitare una penalizzazione economica. Va tuttavia notato che le tariffe colpiranno in misura maggiore altri Paesi dell’Asia meridionale, come il Bangladesh, il Pakistan e lo Sri Lanka, il che potrebbe comunque rafforzare la posizione dell’India rispetto al vicinato più immediato.

Quindi, la strategia commerciale dell’amministrazione Trump potrebbe avere un impatto importante anche sulle politiche economiche internazionali, come suggerisce la risposta dell’UE. Infatti, Bruxelles si è detta pronta a lanciare ritorsioni, incluse misure già previste per acciaio e alluminio, e ha finalizzato un elenco di prodotti americani da colpire con dazi, che sarà sottoposto al voto dei Paesi membri il 9 aprile. La strategia europea sembra mirata a colpire gruppi economici specifici, con il possibile intento di fare pressione su certi settori produttivi americani. Inoltre, l’UE dispone di strumenti più sofisticati, come l’uso dei diritti di proprietà intellettuale per le grandi aziende digitali, che potrebbero produrre effetti ancora più incisivi.

Al contempo, se il quadro non dovesse registrare mutamenti, l’UE potrebbe intensificare la ricerca di nuovi mercati per le sue esportazioni. In particolare, la pressione statunitense potrebbe produrre un’ulteriore accelerazione delle trattative per il Free Trade Agreement con l’India, il quale potrebbe vedere la luce tra fine 2025 e inizio 2026. Un accordo con Nuova Dehli rappresenterebbe un nuovo canale rilevante per le esportazioni europee, riducendo in parte gli effetti negativi delle politiche americane. Inoltre, l’India potrebbe rappresentare un tassello importante per raggiungere accordi analoghi con i dinamici attori della Baia del Bengala e del Sud-Est asiatico, aree fortemente colpite dalle misure protezionistiche di Washington. La stessa Cina potrebbe sfruttare l’attuale scenario per riavvicinarsi economicamente e commercialmente al blocco UE, soprattutto in determinati settori, rallentando di fatto l’implementazione della strategia di de-risking.