Il mondo del 2023: scenari, dinamiche e fattori di crisi
Europa

Il mondo del 2023: scenari, dinamiche e fattori di crisi

Di Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali
24.01.2023

L’onda lunga della fragilità dello scenario internazionale, inaugurata dalla prima ondata pandemica di Covid-19 (2020) e proseguita con l’invasione russa dell’Ucraina, continuerà a caratterizzare gli equilibri globali anche nel 2023. Anzi, appare concreto il rischio che, nei fatti, l’anno appena iniziato sia più denso di tensioni del precedente, a meno che i governi dei Paesi maggiormente interessati dai focolai di crisi riescano a trovare soluzioni e modus vivendi in grado di mitigare gli effetti deleteri dell’instabilità o almeno trasmettere la percezione di potere gestire la volatilità internazionale con ragionevole polso e sicurezza. Si tratta di una sfida dall’immenso valore politico ed economico in virtù dell’inquietudine crescente delle società civili tanto ad est quanto ovest, tanto a nord quanto a sud del mondo. I popoli appaiono sempre più stanchi e spaventati dalla conflittualità internazionale, dal rincaro del costo della vita e dal timore che nuove varianti del Covid-19 affliggano la loro quotidianità e le loro finanze. Tale stanchezza e tale timore si manifesta, nelle società occidentali e non solo, come una crescente sfiducia nelle istituzioni e nel metodo democratico, come un incremento nella diffusione di teorie complottiste, cospiratorie e anti-sistemiche e, infine, come forme di mobilitazione rabbiose e violente. In tal senso, quanto accaduto a Capitol Hill nel 2021 e a Brasilia nel 2023 rischia di ripetersi ancora e di varcare l’Oceano Atlantico e sbarcare in Europa. Infatti, il populismo cospirazionista di destra viaggia ad ampie falcate verso la matura internazionalizzazione e sarà la grande sfida politica e securitaria per governi e organi di controllo e prevenzione dell’estremismo violento per il 2023.

Nell’anno appena iniziato, l’instabilità globale continuerà ad orbitare intorno al conflitto russo-ucraino e ai suoi impatti politici ed economici. Ad oggi, non esistono spiragli di dialogo tra Mosca e Kiev ed entrambi i contendenti non hanno modificato le rispettive ambizioni ed i rispettivi obbiettivi stabiliti all’indomani dell’invasione russa del 24 febbraio 2022. Il Cremlino non vuole arretrare dietro la linea dell’annessione illegali dei 4 oblast ucraini (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson) e della Crimea, con il desiderio mal celato di arrivare, un giorno fino alla Transinistria e a Kiev, mentre l’Ucraina non intende cedere un solo metro del proprio territorio per ristabilire la piena sovranità e proseguire il percorso di integrazione nell’Europa e nella NATO. Questo vuol dire che saranno le evoluzioni militari a determinare il dialogo politico e non il contrario, in un contesto di sempre maggiore mobilitazione russa e, di contro, di sempre maggiore bisogno ucraino di supporto finanziario, militare e logistico per sopperire alla sproporzione nei rapporti di forza. Dunque, il blocco-euroatlantico sarà chiamato a decidere i termini del proprio impegno al fianco di Kiev, inasprendo le sanzioni contro Mosca e “rompendo i tabù” della fornitura di sistemi per la difesa aerea, di carri armati e, forse, di velivoli. Appare quasi ovvio l’ulteriore irrigidimento della postura tra il Cremlino, Washington e le Cancellerie europee e il conseguente inasprimento delle attività di guerra ibrida e non lineare nonché l’aumento del rischio di escalation.

Spettatori interessati al conflitto ucraino continueranno ad essere l’Iran e la Cina. Teheran, che ha compiuto la scelta di supportare le pretese di Mosca attraverso la fornitura di droni, vive una delle stagioni più fredde del suo rapporto con l’Occidente: infatti, la condanna internazionale alla repressione delle proteste contro il sistema di potere ha limitato e limiterà le opzioni a disposizione degli iraniani. La ribellione contro le istituzioni iraniane non si è ancora trasformata in rivoluzione, ma la tenuta dei Pasdaran e del clero appare meno solida rispetto a tre mesi fa. Il popolo iraniano non è ancora stanco di manifestare e cercherà, nel 2023, quell’unione di classi sociali che è mancata al movimento di protesta e che vorrebbe dare la spallata definitiva ad un establishment che basa la propria legittimazione sul consociativismo tra gruppi di interesse più che sulla volontà sociale.

Anche per la Cina il 2023 sarà un navigare in acque agitate. Il tramonto della “Zero Covid” policy ha rappresentato un sofferto compromesso tra richieste di liberalizzazione da parte della società civile e pressioni del tessuto imprenditoriale, nonché l’ipotesi di soluzione ad un rallentamento economico che Pechino non può sopportare a causa delle sue ambizioni globali. Il nuovo anno, dunque, metterà alla prova l’apparentemente inscalfibile leadership di Xi e servirà al Dragone per capire se, quanto e come aiutare la Russia nel suo sforzo in Ucraina. Infatti, Pechino sa che una vittoria di Mosca lancerebbe ufficialmente la sfida all’egemonia euro-atlantica e le permetterebbe di guardare con occhi diversi alla spinosa questione di Taiwan.

In un anno in cui inflazione e volatilità del mercato energetico condizioneranno le scelte politiche di tutto il pianeta, le difficoltà russe e le incertezze cinesi offriranno all’Europa e agli Stati Uniti nuovi spiragli di penetrazione in Africa. La competizione internazionale per le risorse e le opportunità africane sarà la tendenze dominante nei prossimi decenni, poiché è in quel continente che si trovano la materie prime critiche per lo sviluppo tecnologico ed industriale del futuro e chi le controlla potrà sostenere le proprie ambizioni e la propria parabola strategica.

Tuttavia, l’Africa del 2023 non sarà un continente facile da approcciare. L’inflazione e le politiche di austerity potrebbero limitare la crescita economica ed aumentare le faglie di conflittualità sociale. L’espansione della povertà e l’inasprirsi delle emergenze umanitarie condurranno ad un aumento del flusso migratorio verso l’Europa e al moltiplicarsi dei focolai di crisi, pronti ad esplodere in concomitanza con i numerosi appuntamenti elettorali dell’anno, sui quali spiccano le chiamate alle urne in Nigeria e (forse) in Libia. Nel frattempo, i gruppi jihadisti continuano la loro fase espansiva e, in alcuni teatri, come la Repubblica Democratica del Congo e il Mozambico, tenteranno quel “salto di qualità” per accreditarsi come attori di rilevanza regionale e internazionale.

In base a tutti questi fattori, appare evidente quanto sarà decisivo il 2023 per il futuro politico internazionale del nostro Paese. Il conflitto in Ucraina ha costretto l’Italia a rinunciare ad una partnership economica sulla quale aveva costruito il proprio impianto di sicurezza energetica e parte del proprio export manifatturiero. Nel futuro, bisognerà guardare altrove e il continente africano è lo spazio geopolitico più indicato per rilanciare la nostra politica estera per prossimità geografica, conoscenza dello scenario, comprensione culturale e complementarietà economica e commerciale. Al governo spetterà l’arduo compito di rilanciare la cooperazione bilaterale e multilaterale, superare antichi pregiudizi e contribuire ad aumentare la consapevolezza e gli strumenti a disposizione della nostra classe imprenditoriale.

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