Caos Iraq: attentanti, proteste e problemi
Il 21 gennaio un duplice attentato suicida rivendicato dallo Stato islamico ha colpito il centro di Baghdad, causando almeno 32 morti e 110 feriti. In risposta all’accaduto, il Primo Ministro Mustafa al-Kadhimi ha annunciato un giro di vite interno all’intelligence irachena con il licenziamento del Vice Ministro degli Interni con delega per gli affari d’intelligence, il Direttore Generale dell’intelligence del Ministero degli Interni e il Direttore dell’intelligence e della sicurezza per Baghdad. L’attacco è giunto in un momento di profonde debolezze strutturali: già nel 2019, diverse manifestazioni popolari chiedevano alle autorità, tra le varie cose, una lotta seria contro la corruzione e la riduzione della pervasiva influenza iraniana in Iraq. In questa prospettiva, l’azione del Primo Ministro ha avuto come direttrici generali il rafforzamento del monopolio della forza e la diversificazione economica.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la nuova amministrazione ha rafforzato la protezione dei valichi di frontiera con nuove forze di sicurezza direttamente sotto autorità irachena. La lotta ai traffici illegali e la stretta sorveglianza delle attività portuali ha portato, inoltre, alla riduzione della corruzione, come testimoniato dall’aumento delle entrate dal porto di Umm Qasr, nel sud del Paese. Questo programma è legato alla sfida più difficile dell’Iraq: ovvero, restringere l’influenza delle milizie sciite filo-iraniane, le quali hanno usato i droni, trafficati clandestinamente tramite i porti, per colpire obiettivi americani. Un altro risultato positivo nel rafforzamento del ruolo dello Stato è stato l’aumento del 41% delle entrate doganali nel periodo giugno-novembre 2020 rispetto all’anno precedente. Questo obiettivo è stato raggiunto sottraendo alle milizie il controllo dei passaggi doganali. Nonostante la pervasiva influenza dei miliziani legati a doppio filo alla Quds Force iraniana, la sfida di al-Kadhimi ha vantato vari successi nell’ultimo anno. Tra questi, l’arresto di un membro di Asaib Ahl al-Haq, implicato nel lancio di missili verso la Green Zone a Baghdad; il siluramento di Faleh al-Fayadh, Presidente delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMU) dal Consiglio di Sicurezza Nazionale; ed infine, la scissione all’interno delle PMU, con quattro formazioni che hanno dichiarato fedeltà all’Ayatollah iracheno Ali al-Sistani. Piccoli passi che non imprimono una svolta nella sovranità nazionale, ma segnalano la volontà di parte degli apparati e della politica nel voler guadagnare margini di autonomia rispetto alle forze parallele (anche di ispirazione esterna) che ne riducono autorità e legittimità.
In secondo luogo, l’amministrazione al-Kadhimi si è ritrovata a dover gestire le storiche fragilità economiche, aggravate dalla pandemia da Covid-19 tanto da costringere il governo a redigere un budget 2021 con importanti tagli al settore pubblico e una forte svalutazione del dinar iracheno per compensare le perdite causate dal calo dei prezzi del petrolio, i cui ricavi costituiscono circa il 90% delle entrate irachene e il 99% delle esportazioni. In virtù di ciò il Presidente della Repubblica, Barham Salih, ha ratificato l’adesione del Paese agli accordi di Parigi sul clima, nel tentativo di incentivare una transizione energetica verso le energie rinnovabili anche grazie ai fondi previsti dal Green Climate Fund. Nonostante l’impegno ambizioso, l’instabile economia irachena deve far fronte a ben altre necessità e urgenze, come ad esempio la scarsità di acqua che sta colpendo in particolar modo il sud del Paese. In conclusione, gli attentati a Baghdad vanno inseriti in un contesto ampio in cui si fatica ad imprimere svolte concrete nello sviluppo politico, economico, sociale e di sicurezza nazionale.