Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti, tra geo-economia e competizione geopolitica
Medio Oriente e Nord Africa

Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti, tra geo-economia e competizione geopolitica

Di Giuseppe Palazzo
24.02.2021

Il 15 febbraio, le autorità saudite hanno comunicato che dal 2024 le aziende straniere che vogliono firmare contratti con il governo di Riyadh dovranno avere la propria sede regionale MENA in Arabia Saudita. Questo impegno, tuttavia, non sarà necessario per quelle realtà che hanno a che fare con il settore privato, benché quest’ultimo sia fortemente dipendente dai contratti governativi.

Come riportato anche dal Financial Times, la decisione saudita si applica in particolare ai contratti stipulati dalle grandi realtà nazionali come la compagnia petrolifera ARAMCO e il Public Investment Fund. Il Ministro per gli Investimenti, Khalid al-Falih, ha affermato che questa scelta, già preannunciata nella Future Investment Initiative del 27-28 gennaio, rientra nel quadro del “Programme HQ”, a sua volta parte del progetto di sviluppo denominato Saudi Vision 2030, lanciato dal Principe ereditario Mohammed Bin Salman nell’aprile 2016, che contribuirà a creare migliaia di posti di lavoro per i cittadini sauditi. Il piano si pone come obiettivo la diversificazione economica del Regno e, conseguentemente, la promozione di Riyadh a hub economico dell’intera Penisola Arabica.

Tuttavia tale decisione ha risvolti non solo per il piano domestico saudita. Il percorso intrapreso dal regno degli al-Saud si scontra inevitabilmente con quello del più importante partner regionale, ovvero gli Emirati Arabi Uniti, e del maggiore hub finanziario della regione, Dubai. La competizione tra i due Paesi del Golfo sta crescendo in particolare nel campo economico e nell’attrazione degli investimenti. Recentemente Abu Dhabi ha promosso alcune riforme per eliminare l’obbligo di avere membri emiratini nel board aziendale e ha allargato la possibilità di concedere la cittadinanza ai professionisti che lavorano negli EAU. Entrambe le scelte puntano a massimizzare, e di conseguenza anche a ridefinire, i rapporti di forza all’interno della Penisola, soprattutto in termini di mercato del lavoro e attrazione degli investimenti, contraddicendo quei principi di mercato unico del Golfo, tanto ricercati strumentalmente da ambo le parti.

Abu Dhabi e Riyadh si presentano, infatti, in modo disallineato anche in altri ambiti. In Yemen, pur formalmente partner nella stessa coalizione, sostengono parti diverse: i sauditi appoggiano il governo di Mansur Hadi, mentre gli emiratini supportano il Consiglio di Transizione del Sud. Anche l’approccio nei confronti dell’Iran è leggermente diverso, data la maggiore pragmaticità di Abu Dhabi sul tema.

Le due monarchie del Golfo presentano inoltre diverse convergenze e differenze di approccio anche in altre questioni cruciali per la stabilità della regione. Ad esempio, condividono l’ostilità per la Fratellanza musulmana e l’Islam politico – seppur con motivazioni ideologiche differenti –, hanno entrambi intrapreso un percorso di riavvicinamento ad Israele (sebbene gli EAU lo abbiano fatto anche formalmente). D’altra parte, essi delineano il loro approccio alle dinamiche regionali in modo diverso, e condividono un progetto decennale di diversificazione e sviluppo socio-economico; una visione del futuro che più che farli tendere alla cooperazione, potrebbe condurli ad una sempre maggiore rivalità, il cui limite è rappresentato dalla necessità di bilanciare l’influenza regionale iraniana (seppur formulandola diversamente) ed in futuro il dinamismo della Turchia.

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