Agricoltura, accesso alle risorse e sicurezza alimentare: la strategia di Daesh in Siria e Iraq
Medio Oriente e Nord Africa

Agricoltura, accesso alle risorse e sicurezza alimentare: la strategia di Daesh in Siria e Iraq

Di Sara Nicoletti
12.06.2019

Nella seconda metà di maggio, lo Stato Islamico (IS o Daesh) ha compiuto diversi attacchi diretti contro i campi coltivati sia in Iraq, nelle vicinanze di Makhmour e più di recente nelle province di Diyala, Salah al-Din, Kirkuk e Ninawa, sia in Siria, nella parte meridionale della provincia di Hasakah e nei dintorni di Raqqa. L’IS avrebbe bruciato ettari di campi e numerose fattorie, e fatto razzia di equipaggiamenti agricoli, rendendo impossibile ai contadini del luogo di ottenere un ricavo dai raccolti. A tali attacchi è stato dedicato anche ampio spazio su uno dei principali organi di propaganda di Daesh, la newsletter al-Naba’, pensata per un’audience prettamente locale.

Concentrare le attività e le attenzioni nelle zone agricole non è una novità nel repertorio strategico dell’IS: già nel 2013 e 2014, esso aveva occupato la provincia irachena di Ninawa e gran parte della Jazirah siriana, entrambe aree considerate tra le più fertili dei rispettivi Paesi. Nelle regioni agricole occupate erano avvenute ricollocazioni forzate dei contadini, e i sussidi statali erano stati congelati. Tuttavia, l’IS non ha mai mostrato un interesse a distruggere l’economia agricola dei due Paesi, piuttosto ha puntato a sfruttarne le infrastrutture e le capacità per ergersi a garante della sicurezza alimentare e quindi rendere più stabile la sua influenza sul territorio. Sebbene il dominio di Daesh su larga parte di Siria e Iraq abbia reso difficile monitorare la produzione agricola in tali regioni, non sembra che l’impatto sia stato estremamente negativo. Al contrario, sembra esserci stato un interesse da parte di Daesh a preservare le capacità agricole del territorio.

Un interesse verso l’agricoltura, peraltro, che è profondamente radicato nel processo di genesi ed evoluzione del gruppo oggi guidato da Abu Bakr al-Baghdadi. Era già evidente nel 2007, quando in Iraq l’allora ISI (Stato Islamico in Iraq) si dotò di una struttura politica complessa e istituì una sorta di governo ombra, che presentava tra i ministeri chiave anche quello dell’Agricoltura e della Pesca.

L’irreggimentazione della gestione e della distribuzione delle risorse naturali richiama inoltre un precetto fondamentale di quello che è considerato uno dei pilastri teorici dello Stato Islamico, la Gestione della barbarie (“Management of Savagery”), testo apparso sul web nel 2004 e avente come presunto autore lo stratega islamista Abu Bakr Naji. Quest’opera guarda in realtà più alla lotta internazionale che non alla politica interna, ma si basa sulla necessità di costruire uno Stato islamico come precondizione per perseguire il primo obiettivo. Per avere accesso pieno al territorio, secondo il testo, uno dei passaggi chiave è ottenere il controllo sulla produzione e distribuzione di cibo. Queste funzioni sono identificate come obiettivi cardine di qualsiasi entità si voglia imporre come autorità a carattere statuale. Nonostante gli input teorici di Daesh siano molti e variegati, e non si possa pertanto attribuire una base dottrinale univoca alla strategia complessiva del gruppo, appare innegabile che un testo del genere presenti forti parallelismi con il modus operandi adottato da IS nelle sue diverse incarnazioni.

È evidente, quindi, che Daesh punti a trarre dei benefici dalla gestione delle risorse naturali, ed è in quest’ottica che si possono collocare anche i saccheggi e gli incendi a danno dei campi coltivati che si sono verificati nell’ultimo periodo.

Per comprendere le ragioni di una simile attenzione dell’IS verso le dinamiche agricole, anche in una fase in cui l’esperienza parastatuale del Califfato, come entità territoriale, è giunta al termine, è opportuno sottolineare quale impatto abbia l’agricoltura sulle economie del luogo.

In Siria, il settore agricolo contribuisce al 25% del PIL, e l’industria agroalimentare al 10,5%. In Iraq invece l’economia è trainata dall’industria petrolifera, mentre i prodotti agricoli, in particolare il grano, sono in parte importati e in ogni caso quasi mai esportati. Tuttavia, nel tessuto economico iracheno quella agricola rimane la seconda industria del Paese, che dà lavoro a circa â…“ della popolazione. Inoltre, è nel contesto iracheno che si è sviluppato l’unico programma di trasferimenti universale a carattere non contributivo, il Sistema di Distribuzione Pubblica (SDP), che è volto a garantire la sicurezza alimentare ad ogni cittadino iracheno, a prescindere dal reddito, e che costituisce un potenziale vettore di consenso.

Questi dati mettono in luce come una quota considerevole delle popolazioni siriana e irachena basi il grosso del proprio reddito, se non la propria sopravvivenza, sugli introiti derivanti dal comparto agricolo. In questo senso, gli stravolgimenti climatici degli ultimi decenni hanno arrecato gravi danni alle economie agricole siriane ed irachene, causando periodi di siccità sempre più lunghi e più frequenti. Le stime ONU immediatamente precedenti all’inizio del conflitto siriano (2011) suggeriscono che il 60% del terreno e 1,3 milioni di persone in Siria erano state negativamente influenzate dal cambiamento climatico, e più di 800.000 persone avevano perso la loro principale fonte di reddito a causa di ciò. Con lo scoppio della guerra civile, che ha causato spostamenti significativi della popolazione, l’abbandono di intere aree e una situazione instabile anche per la vita quotidiana nelle aree rurali, la questione è ulteriormente peggiorata. Una situazione per molti versi analoga è quella irachena, dove il ciclico riesplodere di fasi di violenza acuta fin dal 2003 ha interessato pressoché l’intero territorio nazionale.

In sintesi, la maggiore insicurezza alimentare ha amplificato l’instabilità prodotta dai conflitti, acuendo un malcontento popolare che ha inasprito la crisi di legittimità dei governi centrali, e creando in ultima istanza delle condizioni favorevoli perché delle entità non statuali trovassero maggiori spazi di manovra per tentare di sostituirsi alle istituzioni legittime. Contesti di profonda insicurezza come quelli che hanno caratterizzato Siria e Iraq negli ultimi anni sono dunque un terreno estremamente fertile per la proliferazione dei gruppi insorgenti e jihadisti. Questi ultimi, tradizionalmente, sfruttano la mancanza di un effettivo controllo statale sul territorio, la presenza di tensioni etnico-religiose e un diffuso malcontento popolare per infiltrarsi nel tessuto sociale.

Quello che però rende peculiare Daesh rispetto ad altri gruppi armati non-statuali (Non-State Armed Groups, NSAG) è l’ambizione di proporsi come uno Stato. In quest’ottica, riuscire ad impadronirsi della produzione e distribuzione di alimenti di base diventa centrale per vincere la competizione con altri gruppi rivali, per conquistare la benevolenza della popolazione, o per dilatare quell’area grigia di supporto anche solo indiretto alle attività del gruppo che è precondizione per l’agibilità del territorio.

Di fatto, ben più di altri gruppi non-statuali, Daesh ha messo in campo una gestione sistematica delle risorse come strategia di legittimazione a lungo termine, tanto nella fase di controllo aperto del territorio (2014-2019), quanto in quella precedente. Nel caso siro-iracheno, e in termini generali, questa strategia si articola lungo due rami speculari.

Da un lato, l’IS punta a forgiare un peculiare patto sociale secondo cui il cibo e l’accesso alle terre coltivabili viene garantito in cambio di supporto politico. Questa lealtà si esplicita nella disponibilità del popolo a svolgere verso Daesh quelli che dovrebbero essere i suoi doveri civili verso lo Stato, come pagare le tasse o dare parte del proprio raccolto perché si possa operare una ridistribuzione.

Dall’altro lato, operando una selezione su base politica di chi è autorizzato a ricevere alimenti e chi no, si attua un approccio improntato ad un classico divide et impera, che rompe i legami comunitari locali e crea divisioni profonde. Daesh si inserisce proprio all’interno di queste crepe nella società, presentandosi come interlocutore privilegiato a tutte le parti coinvolte, e rendendosi necessario per la sussistenza delle comunità.

Nel mettere in atto questa strategia, l’IS sfrutta la graduale rottura del contratto sociale tra governo e popolo dovuta all’impossibilità dello Stato centrale di adempiere alla sua parte dell’accordo, ovvero fornire beni e servizi alla popolazione. Allo stesso tempo, tende a creare un contratto sociale alternativo, sostituendosi allo Stato in modo sempre più pervasivo. Nella fase pre-Califfato, questo processo non avveniva de jure, poiché le istituzioni governative, seppur deboli, esistevano ancora, ma de facto, dal momento che l’IS ne aveva usurpato alcune delle funzioni basilari, veicolo di legittimazione.

In questo senso, all’indomani della scomparsa di Daesh come entità proto-statuale nel quadrante siro-iracheno, il gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi può ancora continuare a sfruttare un canale di legittimazione che ha il suo perno nella regolazione dell’accesso alle risorse, proprio ritornando ad adottare quelle modalità impiegate già prima del 2014.

È su tale sfondo che vanno letti i recenti attacchi compiuti ai danni dei terreni agricoli su aree sempre più vaste di Siria e Iraq. In modo del tutto simile a quanto già avveniva prima della dichiarazione del Califfato, Daesh sembra essere tornato a privilegiare azioni ibride tra gestione sistematica delle risorse naturali (ottenuta anche tramite forme di controllo occulto, al cui esercizio risultano funzionali intimidazioni, taglieggiamenti e incursioni punitive) e il loro sfruttamento predatorio. Considerando che la perdita di un raccolto per una famiglia irachena o siriana spesso significa perdere l’unica fonte di sostentamento e di reddito, simili modalità di azione sono funzionali ad acuire lo scollamento e il senso di diffidenza della popolazione verso le autorità nazionali o regionali.

Dunque, con questa strategia l’IS sembra essere in grado, nel medio periodo, di rallentare e vanificare gli sforzi per la ricostruzione e il riavvio dell’economia del governo di Baghdad, in aree particolarmente martoriate come quella di Mosul, o in quelle regioni dove sussistono attriti etnico-religiosi, come Diyala e Salahuddin in Iraq (sunniti, sciiti, turcomanni), o la Jazirah siriana (dove sono in aumento le tensioni tra curdi e arabi nella valle del medio Eufrate). Parallelamente, Daesh cerca attivamente di proporsi come unica entità in grado di provvedere ai bisogni della popolazione, riacquistando così consenso o per lo meno rendendosi in qualche modo necessario per la sussistenza di una fetta della popolazione.

Oltre a ciò, la gestione delle risorse agricole non svolge solo una funzione legittimante per Daesh, ma rappresenta anche una fonte non secondaria di entrate pecuniarie. Appropriandosi o arrivando di fatto a controllare le infrastrutture dell’industria agroalimentare e dei principali meccanismi di distribuzione, in Iraq lo Stato Islamico già prima del 2014 aveva messo in piedi un sistema di tassazioni forzate che costituivano una rendita cospicua. Ciò consentiva una maggiore regolarità negli introiti, dal momento che la maggior parte delle altre fonti di reddito (rapine, traffici illeciti, donazioni dall’estero e rapimenti con riscatto) non hanno un carattere strutturale. L’agricoltura, al contrario, rappresenta la possibilità di un’entrata più certa.

Nei mesi seguiti alla perdita di controllo territoriale “aperto” (marzo 2019), questa strategia adottata da Daesh, basata su una frammentazione della società che genera insicurezza e tensione e sulla sistematica sovrapposizione delle attività del gruppo rispetto a determinate funzioni dello Stato, è un chiaro segnale di come l’IS stia dimostrando una maggiore flessibilità rispetto alle istituzioni normalmente preposte al mantenimento dell’ordine e alla distribuzione di beni e servizi. Prima che le autorità centrali irachene e quelle arabo-curde nel nordest siriano riuscissero ad avviare un processo di ripresa economica e ad adottare dei piani di sviluppo post-conflitto, Daesh sembra essere riuscito ad infiltrarsi nuovamente nel settore agricolo, ostacolando o quantomeno rallentando ogni tentativo da parte delle istituzioni irachene e del nordest della Siria di recuperare le loro funzioni.

Appare probabile che gli effetti di questa discrepanza tra la lentezza istituzionale e la resilienza di Daesh diventino visibili già alla fine di quest’anno, quando gli agricoltori i cui raccolti stagionali sono stati danneggiati si troveranno senza una cospicua porzione del loro raccolto e perciò, nella maggior parte dei casi, privi di qualsiasi fonte di sostentamento. A quel punto, di fronte a delle istituzioni immobili e già delegittimate ai loro occhi, l’unica alternativa disponibile potrebbe essere l’IS.

In questo senso, considerando la centralità del settore agricolo nella sussistenza di queste popolazioni e la facilità con cui queste ultime possono quindi essere portate a riporre la loro lealtà nelle mani di entità diverse da quelle statali, appare assolutamente prioritario che i programmi di ricostruzione, ripresa e sviluppo post-conflitto integrino e diano adeguato spazio a misura a supporto del comparto agricolo. Se ciò non avvenisse, il rischio di un nuovo, rapido attecchimento di Daesh in parte del tessuto sociale e tribale siro-iracheno diventerebbe assolutamente concreto.

Articoli simili