L'Isis è il nemico comune contro cui unirsi tutti insieme

L'Isis è il nemico comune contro cui unirsi tutti insieme

10.15.2015

Gli attentati di Parigi faranno cambiare molte cose sul piano della sicurezza e anche nella comunità internazionale. Oggi lo Stato islamico è davvero il nemico comune molto pericoloso contro il quale bisogna ritrovare una unità al di là delle differenze. Lo sostiene Gabriele Iacovino, direttore del Ce.S.I.- Centro Studi Internazionali analizzando le stragi compiute in diverse zone della capitale francese.

Siamo di fronte all’ennesimo attentato – per quanto grave – oppure a Parigi si è registrato un salto di qualità?

C’è stato un evidente scatto in avanti, sotto diversi profili: per organizzazione, armi e obiettivi. Il coordinamento tra diversi gruppi di commando per colpire contemporaneamente in più punti mostra capacità logistiche e buon addestramento, non certo l’iniziativa di fanatici isolati e improvvisati. La scelta degli obiettivi è poi un’altra novità interessante: non obiettivi politici o simbolici, ma posti frequentati da molta gente comune, allo scopo di diffondere puro terrore. Infine un elemento chiave sono le cinture esplosive: gli attentati suicidi rappresentano un cambiamento radicale sotto vari aspetti. Il primo, evidente, è quello di mostrare di avere nel cuore d’Europa giovani disposti a immolarsi per la loro causa e l’odio che provano contro l’Occidente. Secondo, ma non meno importante, il piano tecnico: una cosa è procurarsi illegalmente qualche kalashnikov spostandosi senza subire controlli, una cosa è procurarsi dell’esplosivo, gestirlo, spostarlo, ottenere tutti gli altri mezzi che servono (ad esempio i detonatori), preparare le bombe. È un salto in avanti sia dal punto di vista operativo che addirittura mentale.

Come si inserisce questo attacco nel contesto internazionale?

I jihadisti ci dicono che sono in grado di portare il campo di battaglia nel cuore dell’Europa. Non solo con qualche sporadico attentato singolo, ma con una grande azione bene organizzata. L’Occidente attacca l’Isis in Medio Oriente, l’Isis attacca l’Occidente in Europa. Questo allarga l’orizzonte della guerra che si combatte in Siria ed Iraq, ma anche in Libia e in molte altre regioni.

La Francia può farsi influenzare? Come reagirà? E l’Europa?

Tutto questo ha già effetti concreti. Ad esempio sulle misure di sicurezza in Europa, e sulla prudenza con cui verranno affrontati questi temi. Ma il punto è che qualunque sia la reazione dei Paesi europei, i jihadisti possono vantare un successo, non solo operativo ma politico. Se per caso – come accadde alla Spagna dopo Atocha – qualche Paese si ritirasse dal combattimento, per l’Isis sarebbe un grande successo. Ma anche l’inasprirsi degli attacchi potrebbe permettere all’Isis di ergersi come unico contraltare dell’Occidente, rafforzando la sua posizione.

Un punto di forza dell’Isis è la divisione del fronte che gli si oppone.

Infatti. Oggi c’è grande confusione e chi combatte l’Isis lo fa con una propria agenda spesso in contrasto con quella di altri: Usa, Paesi europei, Paesi arabi, Siria, Iran, Russia, Turchia. Quest’attacco dovrebbe far capire che oggi l’Isis è davvero il nemico più forte e pericoloso contro il quale bisogna unire le forze mettendo da parte le differenze.

Washington ad esempio teme che se ne avvantaggino realtà come Russia, Iran, lo stesso Assad…

È probabile, potrebbe essere un prezzo da pagare. Certo la Russia potrà dire di aver preso per prima la strada della determinazione senza restrizioni contro l’Isis, e più ancora lo può fare l’Iran. Qui a Teheran (il Ce.S.I. è in visita in Iran, ndr) hanno preso molto sul serio la lotta all’Isis, senza molti scrupoli, e sarebbero lieti che la loro posizione venisse riconosciuta. Forse dopo Parigi non cambierà ancora molto nello scontro tra sciiti e sunniti, ma certo la tragedia può portare a un maggior coordinamento con Mosca e a una visione più benevola dell’Occidente verso l’Iran, tanto più dopo l’accordo nucleare. Quanto ad Assad, non credo che difenderlo sia la priorità di nessuno, ma certo se si finisce per dividersi in due campi lui potrebbe provare a giovarsi del fatto di stare in quello avverso all’Isis. Insomma, per la comunità internazionale ci vorrà pragmatismo ed elasticità, ma anche determinazione.

La soluzione è politica?

Siamo a un punto in cui con l’Isis i binari da seguire sono due, e uno non esclude l’altro, anzi lo rafforza e al contempo ne ha bisogno. Serve l’impegno diplomatico per coinvolgere gli attori della regione e preparare un futuro per le popolazioni, ma serve anche la via militare, perché al punto in cui siamo e di fronte a quello che ormai lo Stato islamico ha mostrato di essere occorre abbatterlo con le armi, altrimenti è evidente che non si fermerà.

Fonte: Metro News

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