Il pericolo e' nelle carceri. Italia, l'allerta degli 007
L’analista: bisogna prevenire la radicalizzazione
IL BUCO nero dal quale può sgorgare la violenza terrorista islamica sono le patrie galere. «Non garantiscono un livello di vita adeguato e quindi sono il luogo della possibile radicalizzazione», argomenta Gabriele Iacovino, numero uno degli analisti del Centro Studi Internazionali. Il ricercatore sottolinea le molte differenze con la Francia: «Le comunità islamiche italiane non sono numerose e quindi non possono nascondere gli attentatori, giovani immigrati di seconda o terza generazione, come è successo a Parigi per la strage del Bataclan o a Bruxelles per l’eccidio dell’aeroporto. La radicalizzazione però può essere una questione di tempo. Semplicemente noi siamo in una fase diversa. Ma le nostre capacità non bastano».
L’ANALISTA del Ce.S.I. considera cruciale ma non sufficiente l’esperienza del Centro Strategico Antiterrorista nel quale confluiscono gli 007 competenti per l’Italia, quelli specializzati negli scenari esteri e tutte le forze dell’ordine. Anche secondo il generale Carlo Jean, ex generale di corpo d’armata e presidente del Centro Studi di Geopolitica economica, i numeri spiegano molte differenze: «Il Belgio ha centinaia di radicali che sono andati a combattere in Medio Oriente e la Francia da sola 1800. Da noi non superano il centinaio». L’altro asso nella manica sono, a suo avviso, gli ottimi rapporti dell’Intelligence italiana con i servizi segreti dell’Africa Settentrionale e del Medio Oriente, rapporti che consentono a molti 007 di infiltrarsi nei gruppi del terrore. Sono fili che risalgono alla missione in Libano degli anni ottanta. «Le relazioni con i servizi di sicurezza algerini e con quello che resta di quelli libici - ribadisce - hanno consentito di recente la liberazione dei due tecnici italiani rapiti a Ghat». Il generale sottolinea anche «l’addestramento delle forze dell’ordine che hanno dovuto affrontare sia il terrorismo interno sia il crimine organizzato che poi è molto affine al terrorismo», uomini «che si sono abituati a muoversi in un contesto fluido». Luciano Piacentini, già comandante delle Forze speciali del Col Moschin, e per molti anni in servizio nei ranghi dell’intelligence in diverse aree dell’Asia, considera le banlieu il vero punto debole dei francesi e affaccia un’ipotesi intrigante: «Nei flussi di migranti che andiamo a salvare in mare ci sono infiltrati jihadisti. Che senso avrebbe colpire l’Italia?». «L’Anno Santo - aggiunge Piacentini - si è concluso e non è successo nulla, benché fosse una occasione di grande importanza. Un attentato avrebbe avuto un enorme ritorno mediatico».
«L’ITALIA ha mantenuto un profilo meno esposto - riassume Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali ed ex sottosegretario alla difesa - e un atteggiamento meno antagonista rispetto alla Francia che oltretutto, nella sua veste di potenza ex coloniale in Medio Oriente, colpisce di più l’immaginario collettivo».
Fonte: notizie tratte da La Nazione www.lanazione.it