Il panorama jihadista in Bangladesh

Il panorama jihadista in Bangladesh

07.01.2016

L’analisi dell’esperta dopo il sanguinoso attentato di ieri sera a Dacca in cui hanno perso la vita nove italiani

Nella serata di venerdì 1 luglio, a Dacca, un gruppo di sette uomini armati ha preso d’assalto l’Holey Artisan Bakery caffè, situato nel cuore del quartiere diplomatico e meta abituale di molti cittadini stranieri residenti nella zona o ospiti delle poche strutture ricettive nella capitale. Prese inizialmente in ostaggio circa quaranta persone presenti, il commando ha poi ucciso venti stranieri, molti dei quali italiani e giapponesi, che non erano stati in grado di recitare il Corano.
Benché le autorità di Dacca avessero provato a intavolare una trattativa, solo l’intervento delle Forze Speciali (1° Battaglione Para-Commando, conosciuto anche con il nome de Il Ghepardo), con un blitz durato diverse ore, è riuscito a neutralizzare sei attentatori e ad arrestarne un settimo.
 
L’episodio è solo l’ultimo esempio di un’escalation di violenze di matrice islamista radicale che, negli ultimi due anni, ha dimostrato una crescente sensibilità da parte degli ambienti fondamentalisti per la retorica del jihad internazionale e che sta mettendo a serio repentaglio la sicurezza interna al Paese.
Sebbene l’assalto sia stato apparentemente rivendicato dallo Stato Islamico, tuttavia, ad oggi, in Bangladesh non esiste un’organizzazione omogenea e strutturata che sia diretta espressione del Califfato di al-Baghdadi.
Al contrario, la realtà del fondamentalismo islamico nazionale appare quanto mai frammentata in gruppi autonomi e disorganizzati spesso in competizione tra loro e che cercano di inserirsi nella grande corrente del jihadismo internazionale nella speranza di ricevere nuovi mezzi e nuove risorse da destinare alla propria agenda interna.
Tale tendenza trova conferma nella volontà delle diverse cellule attualmente operative nel Paese di veder riconosciuta la propria appartenenza ai due grandi baluardi del terrorismo internazionale di matrice salafita: il così detto Stato Islamico, da un lato, e ciò che rimane del network di al-Qaeda, dall’altro.
 
A partire dalla sua fondazione, nell’estate del 2014, i successi operativi e la capacità retorica e mediatica del nuovo Califfato, infatti, hanno spinto molti militanti bengalesi a dichiarare la propria affiliazione a Daesh, senza però trovare riscontro positivo da parte della leadership irachena.
Promotore e principale reclutatore di quella che vorrebbe essere la nuova provincia di IS in Bangladesh sembrerebbe essere Tamim Chowdhury, alias Shaykh Abu Ibrahim al-Hanif, cittadino canadese di origine bengalese dalla biografia poco conosciuta, che sembrerebbe aver fatto ritorno in Bangladesh dopo aver avuto contatti diretti con altri due cittadini originari del Canada che si sono uniti alle fila dello Stato Islamico in Siria nel 2013.
Benché non sia confermato che lo stesso Chowdhury abbia avuto esperienza da foreign fighters in territorio siriano, l’attivismo e i presunti contatti con alcuni combattenti attualmente impegnati nei teatri mediorientali aver permesso ad al-Hanif di accreditarsi come possibile leader carismatico agli occhi di militanti che, sebbene motivati da una forte spinta ideologica, si trovavano a dover fare i conti con la mancanza di capacità operative e finanziarie adeguate per poter opporsi alle autorità di Dacca.
 
È quanto accaduto, per esempio, ad alcune frange, verosimilmente formate dalle nuove leve, di Jama’atul Mujahideen Bangladesh (JMB), gruppo militante formatosi alla fine degli anni ’90 per imporre la Sharia nel Paese, ma che nell’ultimo decennio ha progressivamente esaurito la propria capacità di opposizione al governo centrale.
In un momento in cui lo Stato Islamico sembra ormai essere diventato il nuovo modello di riferimento per il terrorismo internazionale, l’adesione a Daesh potrebbe sempre più diventare un elemento di coesione per quei giovani jihadisti bengalesi che vorrebbero cercare di dare un cappello prestigioso alla lotta contro un governo centrale riconosciuto come non legittimo.
Se, da una parte, le nuove generazioni sembrano subire il fascino del Califfato, dall’altra, il consolidamento del fronte vicino allo Stato Islamico si trova a doversi scontrare con la presenza ancora forte all’interno del Paese di gruppi e ambienti da sempre legati a doppio filo al network di al-Qaeda e che ad oggi rappresentano uno degli ultimi baluardi della presenza del network qaedista in Asia meridionale.
Tali realtà sono rappresentate sia da gruppi fondati all’inizio degli anni ‘90 grazie ai diretti finanziamenti di Osama Bin Laden, quali Arkat-ul-Jihad-al Islami Bangladesh (HuJI-B), sia da realtà più recenti, quali Ansarullah Bangla Team (ABT) o Ansar al-Islam, che hanno ricevuto solo negli ultimi anni aiuti da parte di quello che rimane del network qaedista e la cui sopravvivenza dipende ora direttamente dall’organizzazione attualmente retta da Ayman al-Zawahiri.
I militanti di entrambe le formazioni operano ad oggi sotto l’egida di al-Qaeda nel Subcontinente Indiano (AQIS), la branca di al-Qaeda fondata nel settembre del 2014 da Zawahiri per scongiurare che l’onda emotiva dello Stato Islamico portasse il Califfato ad estendere il proprio bacino di reclutamento anche in un territorio, quale la regione che si estende dall’Afghanistan al Bangladesh, da sempre indiscussa roccaforte della leadership qaedista.
 
In questo contesto, dunque, il Bangladesh appare oggi come uno dei principali contesti di scontro generazionale tra nuova e vecchia guardia di militanti islamisti che si ispirano a due modelli diversi di jihadismo internazionale per poter massimizzare l’efficacia della propria agenda locale.
Il potenziale di destabilizzazione di questa rivalità, già di per sé molto elevato, viene ulteriormente accresciuto dall’atteggiamento di sostanziale noncuranza adottato fino a questo momento dal governo di Dacca.
L’esecutivo del Primo Ministro Sheikh Hasina Wajed, infatti, ha, negli ultimi mesi, approcciato la recrudescenza delle violenze di matrice fondamentalista come un problema legato alla dialettica tra il partito di governo Awami League e le opposizioni, formate dal partito nazionalista Bangladesh Nationalist Party (BNP) e dalle formazioni politiche islamiste capeggiate dal partito Jamaat al-Islam, più che come la manifestazione di un possibile rafforzamento del fenomeno terroristico nel Paese.
Il pugno di ferro adottato dal governo negli ultimi mesi per reprimere ogni forma di dissenso, specialmente da parte delle formazioni islamiste, infatti, non solo sta provocando crescenti malcontenti all’interno dell’opinione pubblica, ma potrebbe andare ad alimentare ulteriormente un sentimento di rifiuto nei confronti delle autorità centrali.
 
All’interno di un contesto tanto instabile quale si presenta ad oggi quello bengalese, l’insoddisfazione nei confronti delle istituzioni di Dacca potrebbe creare un clima ancor più favorevole per la ricezione del messaggio jihadista e andare così ad allargare i possibili bacini di reclutamento per le nuove realtà militanti all’interno del Paese.