CAOS LIBIA/ Se il vero rischio non è l'Isis ma i jihadisti di casa nostra
Intervista
Andrea Margelletti
Pubblicazione: domenica 15 febbraio 2015 - Ultimo aggiornamento: lunedì 16 febbraio 2015, 13.06
Diciamo che gli americani hanno una visione analitica delle dinamiche del Messico superiore alla nostra.
Hanno suscitato scalpore le parole di Gentiloni: “l’Italia è pronta a combattere nel quadro della legalità internazionale”. Come vanno interpretate?
La Libia è un paese strategico per gli interessi nazionali e quindi in Libia deve essere implementato un dialogo politico su più campi, senza escludere alcuna opzione. L’Italia non può permettersi di avere il califfato a 200 miglia dalle proprie coste. Non se lo può permettere l’Europa.
Lo stesso ministro Gentiloni ha citato l’indispensabile ruolo dell’Onu. Che cosa può fare l’Onu in un contesto come questo?
Può dare dei mandati. All’Italia stessa o a una alleanza composta da più paesi. Il nostro paese ha in Libia dei riferimenti molto forti e ha piena avvertenza di quanto sta avvenendo. Potremmo agire ne quadro di un interesse globale che non è solo quello degli europei, ma anche dei paesi intorno alla Libia, dall’Egitto alla Tunisia.
Anche assumendo una funzione di coordinamento?
Dicendo così però facciamo un salto in avanti che non dobbiamo fare. Una cosa è discutere del futuro, altra cosa è predisporre l’organizzazione di una missione militare. Non mi risulta che questo stia accadendo, in alcun modo.
In concreto come paese quali rischi corriamo?
Dal punto di vista della sicurezza nazionale, nessuno. Un attacco via mare per esempio è assolutamente impossibile. Se invece allude alle infiltrazioni con i barconi dei migranti, io continuo a ritenere che anche questa ipotesi, che pure circola, sia una corbelleria. Ha visto quante persone sono morte pochi giorni fa? Non si addestrano terroristi, investendo tempo e denaro, per metterli alla mercé di una barca che non si sa se arrivi a destinazione. Piuttosto li si fa ritornare in Europa con passaporti europei, come purtroppo è avvenuto nel caso di Charlie Hebdo. Il vero rischio, reale ed elevatissimo, è quello di una radicalizzazione crescente sul territorio europeo.
La Libia, ha detto lo stesso ministro Gentiloni, è uno stato fallito. l’Italia può aiutare in qualche modo la sopravvivenza di forme legittime di potere?
Andare avanti per la nostra strada, evitando l’errore dell’occidente in questi ultimi trent’anni: partire dall’alto, parlare con un vertice che però non ha riconoscimento nel paese; se cade il vertice, a quel punto non si può fare più nulla. Occorre invece partire dal basso, creare consenso attraverso le tribù, che in un paese come la Libia sono l’unico tessuto connettivo sociale. E’ l’unica via per la quale si può incentivare una leadership condivisa.
Fonte: Il Sussidiario.net