Prospettive e rischi dell’intesa energetica tra Italia e Algeria
Nella giornata di lunedì 18 luglio, il Presidente del Consiglio Mario Draghi si è recato ad Algeri per presenziare al quarto vertice intergovernativo Italia-Algeria. Nel corso della visita, Draghi ha posto la firma su 15 accordi volti a favorire la cooperazione bilaterale tra i due Paesi. Tra i punti più importanti in agenda vi erano sicurezza e transizione energetica, sviluppo delle infrastrutture, promozione e difesa del patrimonio culturale, infine, lotta alla radicalizzazione e al terrorismo islamico. Tuttavia, l’attenzione principale è stata rivolta agli accordi relativi al comparto energetico, iniziati lo scorso aprile tra Eni e Sonatrach, rispettivamente le due principali compagnie che guidano il settore dell’energia in Italia e Algeria.
L’attuale crisi energetica derivante dal conflitto in Ucraina ha mostrato come la differenziazione energetica, sia in termini di produzione sia di importazione, sia un requisito fondamentale per la stabilità di un Paese in tempi di crisi. Sotto questo aspetto, l’Italia ha già posto rimedio al proprio approvvigionamento di gas: Algeri è oggi il primo fornitore italiano di gas, con già inviati 12 miliardi di metri cubi di gas da inizio anno e che aumenteranno di ulteriori 9 miliardi nel solo 2023. Eppure, gli accordi stipulati sull’asse Algeria-Italia potrebbero non essere sufficienti per risolvere le necessità di ambo le parti: la questione relativa alla sicurezza energetica italiana, uno dei problemi cronici che deve affrontare Roma, e il mantenimento della stabilità all’interno della società algerina. In merito a quest’ultimo aspetto, va ricordato, infatti, che il 94% delle esportazioni algerine è proprio legato agli idrocarburi e che questo dato garantisce il 40% delle entrate statali al Paese nordafricano.
In questo senso la questione energetica è un problema importante per la società algerina, alle prese con diverse problematiche: taglio dei sussidi con relativo aumento del malcontento nei confronti del governo; un’economia stagnante incapace di adattarsi alle sfide globali e che rischia di collassare se continuerà a puntare sull’export degli idrocarburi come principale fonte di incasso; la ormai decennale disputa con il Marocco, che potrebbe a sua volta portare instabilità nelle regioni meridionali e occidentali del Paese, ricche di materie prime.
La crisi ucraina ha, quindi, mostrato come sia indispensabile sviluppare progetti a lungo termine per ridurre la dipendenza energetica basata sugli idrocarburi e, contemporaneamente, incentivare lo sviluppo di fonti di energia alternative e sostenibili. Paesi come l’Algeria, infatti, che dipendono fortemente dall’export di tali risorse, devono intraprendere un percorso di diversificazione a livello di produzione interna necessaria al mantenimento della propria stabilità e a garantire nuovo sviluppo socio-economico. Proprio per questo, tra gli accordi stipulati, vi sono progetti volti a favorire un incremento nelle fonti energetiche green e rinnovabili per far fronte alla domanda algerina di elettricità e a garantire nuovi scenari anche nel mercato del lavoro nazionale. Algeri, allo stesso tempo, potrebbe voler sfruttare questa finestra di opportunità per candidarsi come un fornitore europeo di gas. Il forte asse con l’Italia potrebbe essere speso come contrappeso alle necessità europee di approvvigionamenti, tuttavia però la questione relativa al Sahara Occidentale e, soprattutto, le tensioni con la Spagna pesano tuttora un gioco rilevante in qualsiasi sviluppo nei rapporti UE-Algeria.
Da una prospettiva italiana di breve-medio termine, si evince chiaramente quanto la scelta di puntare sull’Algeria premi soprattutto la necessità di Roma di soddisfare il suo fabbisogno energetico, ma a ciò deve poter abbinare prospettive anche strategiche di lungo periodo che possano contribuire a migliorare il contesto politico e sociale algerino. Benché il Paese si presenti come una realtà apparentemente meno instabile rispetto ad altre dell’area nordafricana, è esso stesso in una fase di pericolosa transizione, specie considerando il fatto che tre anni fa i movimenti di piazza guidati dall’Hirak hanno portato alla fine dell’esperienza ventennale della Presidenza di Abdelaziz Bouteflika, all’indizione di nuove elezioni e ad una riscrittura (seppur parziale) della Costituzione.
Anche in virtù di ciò e dei problemi molteplici rimasti irrisolti, lo scenario algerino non è esente da problemi di natura interna e presenta numerose incognite che potrebbero, sul lungo termine, avere impatti multidimensionali ben profondi e ripercussioni non di poco conto sulla capacità del Paese nordafricano di continuare a svolgere il proprio ruolo di fornitore energetico per Roma. Senza, quindi, una prospettiva di più ampio respiro e che non guardi solo alla contingenza del momento, gli investimenti italiani in Algeria potrebbero trasformarsi in un rischio estremamente alto più che in un’opportunità.
Emanuele Volpini è stagista al Desk Medio Oriente e Nord Africa.