L’approccio del Qatar alla food security all’indomani dell’embargo del 2017
Middle East & North Africa

L’approccio del Qatar alla food security all’indomani dell’embargo del 2017

By Valeria Sartori
11.11.2019

Il 5 giugno 2017 Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrein ed Egitto hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il Qatar e posto in essere un embargo nei suoi confronti, con l’obiettivo di usare la leva economica per indurre Doha a sposare una linea politica meno autonoma e ad allinearsi ai suoi vicini. Questa crisi diplomatica non ha tutt’ora trovato una soluzione. I Paesi del cosiddetto Quartetto Arabo continuano a mantenere chiuse le proprie frontiere terrestri, navali ed aree, isolando di fatto il Qatar all’interno della Penisola arabica. Ciò nonostante, questo piccolo Paese, dopo lo shock economico iniziale, sembra aver assorbito il colpo, riportando la propria economia ai livelli pre-embargo già alla fine del 2017. Ciò è stato possibile certamente grazie agli introiti derivanti dallo sfruttamento degli immensi giacimenti di gas, che lo rendono il primo esportatore al mondo, ma anche da una spiccata resilienza del suo sistema economico, capace di adattarsi prontamente ai cambiamenti geopolitici del Golfo.

In questo quadro, risulta particolarmente significativo l’approccio messo in campo dal Qatar per garantire la propria sicurezza alimentare, dato che il soddisfacimento del fabbisogno alimentare dell’Emirato dipendeva in maniera preponderante dai legami commerciali con i propri vicini.

Con un’estensione territoriale poco superiore a quella dell’Abruzzo e condizioni climatiche complesse per lo sviluppo di colture e dell’allevamento, solamente il 5,8% dell’arido territorio qatarino è destinato al settore agroalimentare rendendo quindi il Paese incapace di soddisfare in maniera autonoma la propria domanda interna. Fino alla prima metà del 2017 le importazioni di cibo si attestavano infatti intorno all’80% del totale ed erano in larga parte provenienti dalla confinante Arabia Saudita e dagli EAU. L’embargo del Quartetto Arabo ha quindi seriamente minacciato l’accesso al cibo per la popolazione qatarina, soprattutto nel brevissimo periodo.

Tuttavia, Doha ha fin da subito rimodulato la propria politica agricola con nuovi incentivi al settore primario e riorientato le proprie rotte commerciali stringendo nuovi accordi, principalmente con Iran e Turchia che hanno tempestivamente provveduto ad inviare forniture di cibo e acqua per sopperire alle conseguenze più immediate dell’embargo. Inoltre, la conclusione di ulteriori accordi multilaterali tra Turchia, Iran e Qatar ha permesso il mantenimento e rafforzamento di un corridoio nello spazio aereo iraniano, consentendo di ridurre parzialmente i costi delle importazioni di cibo dal continente europeo, inizialmente aumentati vertiginosamente proprio per la chiusura dei confini terrestri con l’Arabia Saudita.

L’attenzione verso la sicurezza alimentare non è però un aspetto che ha acquisito centralità nelle politiche dell’Emirato solo all’indomani della crisi diplomatica. Infatti, già alla fine dello scorso decennio, l’avvio del Qatar National Food Programme (con orizzonte il 2030) vedeva il rilancio dell’agricoltura, realizzabile con la piena applicazione di nuove tecnologie, come la chiave di volta per lo sviluppo del Paese. È su questa linea, infatti, che già dal 2008 sono stati aperti nuovi corsi di studi nelle università qatariote con l’obiettivo di formare il know-how necessario per l’avvio e la successiva evoluzione di questo settore, con particolare attenzione alle peculiarità climatiche e all’impatto ambientale che determinate politiche agricole possono avere sul territorio (Figura 1).

Figura 1

Tuttavia, l’embargo ha senz’altro contribuito allo sviluppo di politiche alimentari in una prospettiva sistemica. In questo senso, il framework di lungo periodo in cui si muove il Qatar è quello tracciato dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, approvati dalle Nazioni Unite nel 2015, introdotti parzialmente nell’agenda del Paese tramite l’allineamento di alcuni obiettivi del Qatar Second National Development Strategy (NDS-2), un piano quinquennale lanciato nel giugno 2018 con l’ambizioso obiettivo di raggiungere livelli di autosufficienza nel settore agricolo e della pesca, promuovendo al contempo l’utilizzo di energie rinnovabili. A sua volta, l’NDS rappresenta un perfezionamento della Qatar National Vision 2030, la roadmap generale che vede lo sviluppo sostenibile come cardine attorno cui far ruotare le politiche del Paese. Va notato che, nonostante una maggiore indipendenza dalle importazioni del settore alimentare, in accordo con tecnologie sostenibili, fosse un obiettivo rincorso da tempo, fino alla fine del 2017 non erano mai stati compiuti reali passi in avanti, principalmente per lo scarso finanziamento nel settore e l’assenza di misure economiche volte a proteggere i prodotti delle poche e piccole aziende locali.

Al contrario, le misure messe in atto nel breve periodo per far fronte all’embargo, quali investimenti e incentivi del governo principalmente per l’acquisto di semi, fertilizzanti ed energia, hanno invece mostrato risultati positivi fin da subito: la produzione del settore primario, di recente avvio per quanto riguarda frutta, verdura, carne e pesce, secondo i dati governativi è aumentata del 400% dal 2017 ed è destinata ad aumentare ulteriormente grazie ai continui investimenti. Le aziende che operano in questo settore hanno fatto ampio ricorso all’utilizzo di tecnologie all’avanguardia (benché di rado utilizzando energia rinnovabile) come l’irrigazione a goccia e la coltivazione idroponica, per poter far fronte alle alte temperature e alla mancanza di acqua in un territorio pressoché desertico. Anche per quanto riguarda la produzione di origine animale, Doha non ha tardato nel trovare un’alternativa ai latticini sauditi: le massicce importazioni di vacche da latte dal Regno Unito, Germania, Stati Uniti e Australia, a partire dal mese di luglio 2017, hanno permesso al piccolo paese del Golfo di diventare in breve tempo autosufficiente in questo settore, tanto da esportare il surplus nei Paesi vicini quali Afghanistan, Yemen e Oman (come evidenziato in Figura 2 dove emerge anche il forte aumento della produzione avicola).

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Figura 2

Dunque, la strategia di Doha nel breve periodo ha sicuramente portato agli effetti desiderati. In quest’ottica la crisi ha fornito all’Emirato l’occasione di approfondire, velocizzare e rendere più efficace il cammino precedentemente intrapreso per raggiungere l’indipendenza alimentare.

Per valutare l’impatto delle azioni finora realizzate, e quindi la possibilità di renderle strutturali nel medio-lungo periodo, è importante soffermarsi e interrogarsi brevemente sul significato di alcuni concetti cardine della food security, quali stabilità e accesso al cibo, nel contesto qatarino. Per poter parlare positivamente di sicurezza alimentare in un dato contesto vi deve essere infatti una certa stabilità (di cibo) nel tempo: si deve cioè garantire continuità nell’accesso al cibo, nonostante possibili crisi ambientali, economiche o di qualsiasi altro genere. Se per il Qatar, malgrado una collocazione geografica particolare alla luce dei difficili rapporti con i Paesi vicini, questo embargo non ha prodotto particolari conseguenze negative sul versante economico, maggiore attenzione è da riservare alla questione ambientale e quindi all’impatto dello sviluppo e dell’espansione del comparto agro-alimentare autoctono sulle risorse naturali del Paese. Partendo dal presupposto che l’utilizzo di tecnologie avanzate per massimizzare il risparmio energetico, e soprattutto idrico, sia fondamentale per permettere lo sviluppo del settore, si deve necessariamente tenere conto del territorio sfavorevole e dei cambiamenti climatici in atto. Nello specifico, si prevede un aumento delle temperature di 2°C e una lieve diminuzione delle già scarse precipitazioni entro la seconda metà del secolo. Secondo stime della FAO, i cambiamenti climatici ridurranno la produttività agricola del 21% nel continente asiatico entro il 2050.

Cercare di rendere quindi il Qatar un Paese in cui sia possibile sviluppare il settore agro-alimentare presuppone un enorme dispiego di risorse energetiche, idriche e di capitale per abbassare a 25° C la temperatura all’interno di stalle e serre, per la desalinizzazione dell’acqua marina e per l’estrazione di ulteriori risorse idriche dalle falde sotterranee. Queste ed altre attività umane legate al settore stanno avendo un forte impatto in termini ambientali dal momento in cui, per la produzione di energia, si privilegia l’utilizzo di combustibili fossili (94,3% gas naturale e 5,7% petrolio nel 2017), i principali responsabili della produzione di gas ad effetto serra. Gli impianti di raffreddamento dell’aria e di desalinizzazione delle risorse idriche stanno inoltre immettendo notevoli quantità di acqua calda nel mare del Golfo che, congiuntamente all’aumento della salinità del mare, verosimilmente causeranno gravi danni all’ecosistema marino e quindi alle attività umane ad esso connesse. La desalinizzazione dell’acqua marina, eseguita soprattutto dal Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sta infatti rappresentando un serio problema in ottica regionale dal momento in cui gli scarti di acqua degli impianti, contenenti sale al 5% contro il normale 3,5%, vengono ributtati in mare causandone quindi l’alterazione. Raggiungere la tanto desiderata autosufficienza nella produzione del settore primario, considerato nella sua interezza, rappresenta quindi una sfida complessa nel lungo periodo.

Una soluzione più ottimale potrebbe quindi essere quella di trovare un compromesso tra la produzione interna e le importazioni, rafforzando gli accordi commerciali con altri Paesi e salvaguardando al tempo stesso il prodotto “made in Qatar” così faticosamente raggiunto. In questa direzione si stanno sicuramente muovendo i crescenti rapporti con la Turchia, con la quale si intendono mantenere le importazioni di funghi, miele e materiali edili (e le esportazioni di gas e alluminio), anche nell’eventuale scenario di risoluzione della crisi con il Quartetto Arabo. Il discorso appare invece più complicato per quanto riguarda l’Iran, sia alla luce dell’incertezza che circonda le relazioni con Teheran, sotto crescenti pressioni internazionali, sia perché gli accordi bilaterali stretti all’indomani dell’embargo tra Qatar e Iran, e riguardanti principalmente beni deperibili data la vicinanza geografica, non sembrano aver portato ad un significativo aumento dell’import/export per nessuno dei due Paesi, stando ai pochi dati reperibili a riguardo. Considerando la congiuntura attuale, dove sono protagoniste le sanzioni alla Repubblica Islamica, non sembra quindi scontata un’intensificazione dei rapporti nel medio periodo. Oltre a ciò, il ricorso all’acquisizione di terre in Paesi terzi, una misura per aumentare la propria produzione agricola, non sembra rappresentare un’opzione su cui il governo qatarino intende puntare in modo massiccio, benché vi siano aziende dell’Emirato attive in tale business. Una strategia, questa, in controtendenza rispetto ad altri Paesi del Golfo, come Arabia Saudita e Kuwait, che dagli anni 2000 stanno ricorrendo al land grabbing in territori africani, quali Etiopia e Sudan, con l’obiettivo di aumentare la propria sicurezza alimentare per far fronte alle difficoltà, di tipo climatico e territoriale, che minano lo sviluppo dei rispettivi settori agroalimentari.

Un’ulteriore problematica relativa alla sostenibilità complessiva delle politiche qatarine relative alla food security è rappresentata dalla capacità di accesso al cibo, in merito al quale emergono interrogativi soprattutto dal punto di vista sociale. Infatti, il Qatar è sì uno dei paesi più ricchi al mondo, ma al suo interno si registra una percentuale sistemica altissima di lavoratori migranti (circa il 75%) che non godono di adeguate tutele da un punto di vista legale e sociale. Nel periodo antecedente l’embargo, la fascia più povera della popolazione poteva fare affidamento sui prezzi più contenuti dei prodotti di importazione saudita e/o sulla possibilità di attraversare il confine per trovare punti di acquisto più economici. Come è facilmente immaginabile, l’impatto negativo legato all’aumento dei prezzi delle importazioni alimentari, soprattutto nel breve periodo, ha colpito principalmente i lavoratori migranti, che si sono quindi ritrovati in una situazione drammatica, acuita dal blocco dei salari da parte di diverse ditte qatariote. La comunità internazionale è quindi intervenuta con una debole pressione che ha portato alla firma di un accordo con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nell’ottobre 2017, però non ancora effettivo. Su questo sfondo, affinché il concetto di sicurezza alimentare sia allargato alla totalità degli abitanti del Qatar, le politiche alimentari necessitano di provvedimenti paralleli e complementari nell’ambito del welfare e delle politiche del lavoro. Tra questi, ad esempio, si possono annoverare lo stabilimento di un salario minimo, come previsto dall’accordo sopracitato, e l’attuazione di nuove misure di welfare per tutelare maggiormente i lavoratori expat il cui accesso al cibo è messo in seria difficoltà.

Per poter apprezzare l’intero ventaglio di effetti della crisi diplomatica del giugno 2017 sulla food security del Qatar sarà quindi necessario monitorare congiuntamente, nel prossimo futuro, i trend della produzione del settore primario e i principali indicatori relativi alla sostenibilità ambientale e alle condizioni socio-economiche del Paese.

Nonostante sia improbabile che il Qatar raggiunga una completa autosufficienza alimentare nel lungo periodo, malgrado i risultati ottenuti negli ultimi due anni, Doha dovrà comunque necessariamente compiere delle serie valutazioni in termini ambientali ed economici affinché lo sviluppo del Paese risulti sostenibile e possa quindi sussistere una vera e propria sicurezza alimentare anche nel medio-lungo periodo. Sicuramente l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia sta permettendo di ridurre al minimo gli sprechi di risorse idriche ed energetiche, come rilevato dalla valutazione delle Nazioni Unite 2018 sull’avanzamento del Paese in merito agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Per il momento, tuttavia, questo non è sufficiente per rendere davvero sostenibili nel lungo periodo le politiche messe in atto da Doha. In questo senso, da qui al 2030 l’Emirato dovrà porre maggiore attenzione, anche da un punto di vista normativo e di monitoraggio, all’utilizzo dell’acqua potabile (evitando ad esempio di sprecarla nell’irrigazione) e alla salvaguardia dell’ambiente marino e delle falde sotterranee per prevenire danni ecologici di lungo termine, che potrebbero seriamente minare alla sicurezza del Paese. Ma, soprattutto, appare necessario investire maggiormente sia nella formazione tecnologica che nell’utilizzo delle energie rinnovabili, in particolar modo di quella solare, per limitare tanto i danni all’ambiente (e le loro ripercussioni sull’economia) quanto una continua dipendenza dagli idrocarburi dell’economia nazionale, che vanificherebbe gli sforzi di diversificazione economica e, con essi, anche il raggiungimento di una solida sicurezza alimentare.

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