Israele e Libano: un confine sempre più caldo
Middle East & North Africa

Israele e Libano: un confine sempre più caldo

By Sara Isabella Leykin
12.14.2023

A più di due mesi dallo scoppio del conflitto nella Striscia di Gaza, le tensioni nel confine settentrionale di Israele non si sono fermate. Anche se il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato, lo scorso mese, come il Partito di Dio sia entrato in guerra già dall’8 ottobre , nella realtà dei fatti gli scontri rimangono, anche se persistenti, di bassa intensità e molto localizzati. Ad ogni modo, sebbene un secondo fronte non sia stato finora aperto, gli scontri a fuoco lungo le aree più prossime al confine hanno già causato la morte di 120 libanesi (85 miliziani di Hezbollah e 16 civili) e di 11 israeliani (7 soldati e 4 civili), rendendo ancora più esplosivo – specialmente sul versante israeliano – la frontiera condivisa. L’allerta rimane, quindi, molto alta e il rischio che il conflitto effettivamente si allarghi continua ad essere uno scenario possibile .

La possibilità che sia Hezbollah a fare il primo passo verso un’offensiva su larga scala pare però sempre più lontano . Difatti, il Partito di Dio, e soprattutto il suo principale sostenitore l’Iran, non sembrano disposti ad essere trascinati in un conflitto che non solo metterebbe a rischio la sopravvivenza del gruppo stesso, ma che coinvolgerebbe anche Teheran in uno scontro diretto dapprima con Israele e successivamente con gli Stati Uniti. Viceversa, si fa sempre più plausibile che sia Tel Aviv a voler fare i conti con i vicini libanesi. Infatti, dopo la morte di un civile giovedì 7 dicembre, il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha esposto quale sarebbe il piano israeliano : spostare il gruppo al nord del fiume Litani dopo aver emendato, tramite un accordo, la Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, firmata dopo la Seconda Guerra del Libano nel 2006. Nel caso in cui la via diplomatica si rilevasse insufficiente, Gallant ha assicurato che il Paese è pronto ad attaccare militarmente il sud del Libano una volta conclusi gli sforzi su Gaza . Una posizione però che non è sostenuta da tutto il gabinetto di guerra e che soprattutto non è appoggiata dagli Stati Uniti , che dallo scorso 7 ottobre hanno cercato di evitare in ogni modo l’apertura del fronte settentrionale. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si trova, quindi, a dover gestire le due divergenti visioni, come dimostrato sempre il 7 dicembre, quando ha minacciato il gruppo di trasformare il Libano e Beirut in una nuova “Gaza e Khan Yunis”, sottolineando però che a compiere il passo iniziale dovrebbe essere proprio Hezbollah.

La possibilità di lanciare un attacco preventivo contro Hezbollah , però, mostra un altro segnale delle difficoltà che vive il governo israeliano, sempre più diviso al suo interno. Infatti, nell’attuale gabinetto vi è una certa diversità di visioni e opinioni su questo elemento, così come sulle altre questioni che rientrano nella macro-dinamica del conflitto tra Israele e Hamas, amplificando di conseguenza l’assenza di coesione tra istituzioni e nel Paese . Allo stesso tempo, vi è il forte interesse nazionale a tutelare l’unità territoriale sin dal suo interno, nonché la necessità di continuare a mantenere serrato l’appoggio del suo più importante alleato, gli Stati Uniti, con cui il Paese si trova sempre più in contrasto. Non a caso, nelle settimane precedenti, l’amministrazione Biden ha chiaramente manifestato – anche in maniera inconsueta per la diplomazia USA – il suo disaccordo con le decisioni prese dall’esecutivo israeliano . Pertanto, un’operazione di questo tipo contro Hezbollah non farebbe altro che approfondire le differenze relazionali tra i due Paesi. Per Tel Aviv, compiere un attacco, anche preventivo, contro Hezbollah non solo approfondirebbe l’isolamento internazionale segnando un duro colpo nel sostegno da parte di Washington, ma rischierebbe di dover affrontare un combattimento ben peggiore rispetto a quello di Gaza , data la capacità militare superiore del Partito di Dio, che verosimilmente in quel caso godrebbe del supporto iraniano, di lunga maggiore rispetto a quello di cui gode Hamas.

In conclusione, il dilemma sull’apertura del fronte settentrionale rimane, anche se la comunità internazionale, in primis gli Stati Uniti, è al lavoro per una cessazione più o meno permanente dei combattimenti. Tuttavia per giungere a ciò è necessario disinnescare la miccia lungo il confine israelo-libanese, che al momento, anche per la volontà delle due controparti, sembra più rispondere a logiche militaresche che non a un chiaro percorso diplomatico. A pagarne le spese, nel frattempo, sarebbe non solo la popolazione del nord di Israele e del sud del Libano, ma nel lungo termine anche la stabilità regionale che rischia di essere ancor più compromessa.

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