European Defence Fund: origine, sfide e prospettive
Il continente europeo attraversa oggi un momento di transizione. Dalla fine della Guerra Fredda ad oggi i Paesi di quest’area hanno potuto godere di un periodo di relativa tranquillità, frutto degli sforzi non soltanto di coloro che costituiscono l’odierna Unione Europea, ma anche della fondamentale alleanza atlantica con gli Stati Uniti. Infatti, l’impegno statunitense in qualità di primario partner NATO ricopre ormai da tempo un ruolo centrale nel mantenimento della stabilità del continente europeo, sia per l’effetto deterrente della sua forza militare sia per la più generale copertura che ha permesso all’Unione di focalizzarsi su quelle politiche (economiche e non) che potrebbero esser definite con il termine soft power. Questa “situazione di equilibrio”, determinatasi sulla base di un delicato intreccio di interessi e che vede nel ruolo statunitense un perno fondamentale, è oggi in transizione e ciò contribuisce a generare incertezza poiché si aggiunge alle situazioni di crisi già esistenti.
Sono infatti diverse le emergenze che oggi richiamano l’attenzione sulla sfera della sicurezza e della Difesa del continente europeo: il terrorismo transnazionale di matrice jihadista, che rappresenta una minaccia non soltanto per la capacità fisica di colpire, ma anche per quella capacità propagandistica che raggiunge sempre più cittadini europei. A questo scenario si aggiungono i conflitti intra e interstatali del momento: da una parte quelli che vedono protagonisti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (il così detto fianco meridionale dell’Alleanza NATO), dall’altra quello iniziato in Ucraina alla fine del 2013 da parte della Russia (fianco orientale) e che ha portato il concetto di guerra ibrida all’ordine del giorno.
Vero è che il continente europeo si è sempre trovato a dover gestire le tensioni dei suoi vicini e per cui ci si potrebbe domandare in che cosa consista il cambiamento. Due sembrano esserne le direttrici principali: da una parte l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e dall’altra le affermazioni del Presidente Donald Trump in merito alla volontà di rivedere l’impegno statunitense nella NATO e, quindi, più in generale il coinvolgimento di Washington nel mantenimento della stabilità del continente europeo. Nonostante, ad oggi, non si possano ancora prevedere con certezza se e quali saranno le conseguenze qualora Trump decida di dare effettivamente seguito alle promesse perno della sua campagna elettorale, è chiaro che queste affermazioni lasciano quei Paesi che contano sull’appoggio statunitense per la propria sicurezza e Difesa in una situazione di incertezza. Inoltre, le stesse dichiarazioni gettano consapevolezza sul fatto che qualora veramente l’impegno statunitense venisse ridotto, i singoli stati membri dell’Unione Europea non avrebbero le risorse necessarie per far fronte autonomamente ad una minaccia diretta sul proprio territorio o contro i propri interessi nazionali.
Infatti, la tendenza europea del post Guerra Fredda è stata quella di investire sempre meno nello strumento militare. Questo trend risulta essere la conseguenza di specifiche dinamiche. Da una parte le varie situazioni di difficoltà economica che hanno investito i Paesi dell’Unione a partire dal 2007, dall’altra il fatto che effettivamente tale strumento non era ritenuto necessario vista la situazione di relativa tranquillità. Ciò che però sembrerebbe aver inciso maggiormente sulla decisione di diminuire il budget dedicato alla Difesa è stata proprio la certezza di una copertura offerta dagli Stati Uniti in seno NATO qualora se ne fosse presentata la necessità. Tuttavia, i Paesi del continente europeo sono stati tra i pochi nel panorama mondiale a diminuire, invece che aumentare, le proprie spese in sicurezza e Difesa e questo ha portato, nel corso dell’ultimo decennio, all’erosione della loro tradizionale posizione di preminenza nei confronti degli altri attori internazionali nel settore Difesa, con un conseguente abbassamento dell’effetto deterrente delle Forze Militari di questi Paesi. In questo senso, la scarsità di mezzi a disposizione dovuta alla riduzione degli investimenti nel settore si aggiunge all’attuale situazione di tensione internazionale e all’incertezza rispetto al mantenimento dell’impegno statunitense sul continente europeo attraverso la NATO, nell’imporre agli Stati dell’Unione Europea un’inversione di rotta al fine di ripristinare quel minimo di deterrenza e credibilità necessario a farsi maggiormente carico della propria Difesa.
Attualmente (dati al 2016) la spesa mondiale per la Difesa è pari a circa 1.570 miliardi di dollari e i contributori principali di questo ammontare sono, in ordine, Stati Uniti (622 miliardi), Cina (191.8 miliardi), Regno Unito (53.8 miliardi), India (50.6 miliardi) e Arabia Saudita (48.6 miliardi). I Paesi dell’Unione Europea, se conteggiati insieme, si piazzerebbero al secondo posto con una spesa complessiva di circa 219 miliardi. Dati alla mano e spinti dalla necessità e urgenza di far fronte alla situazione corrente in un’ottica futura i leader europei hanno deciso di inserire all’interno della EU Global Strategy for Foreign and Security Policy lo European Defence Action Plan, un piano d’azione dedicato proprio ad integrare e massimizzare le capacità dei Paesi UE interessati in questo settore.
Ad oggi, si è stimato che la mancata cooperazione tra i Paesi UE nell’ambito del settore sicurezza e Difesa sia costata annualmente al mercato europeo tra i 25 e i 100 miliardi di euro. Questa perdita risulta essere la conseguenza dell’inefficienza dovuta alla mancanza di coordinamento, all’eccessiva competizione interna all’Unione e all’inesistenza di economie di scala industriali in questo settore. Infatti, considerato che l’80% del procurement militare dei governi europei viene assegnato alle rispettive industrie nazionali, le duplicazioni in ricerca e sviluppo risultano essere tante e costosissime in termini di output complessivo europeo e la mancanza di una standardizzazione impedisce l’ammortamento dei costi attraverso la produzione di volumi elevati. Se si pensa che, nonostante tutti i waste costs di cui sopra, mediamente le industrie della Difesa dei Paesi europei generano singolarmente per ogni euro investito un ritorno di 1,6 euro in termini di occupazione specializzata, ricerca, tecnologia e esportazioni è evidente che con una sensibile riduzione di tali costi, attraverso l’integrazione delle produzioni, si potrebbe prevedere un ritorno ancora maggiore.
Da questa idea nasce lo European Defence Fund, il fondo europeo dedicato all’industria della Difesa previsto all’interno dello European Defence Action Plan. Il fondo sarà gestito e controllato da un board composto dagli Stati Membri, l’Alto Rappresentante per la Difesa, la European Defence Agency, la Commissione Europea e le Industrie. Sulle orme del successo di AIRBUS (il consorzio europeo del settore aerospaziale), lo scopo del progetto sarà quello di investire sia nell’integrazione delle varie industrie nazionali europee del settore, sia nella crescita dell’industria stessa attraverso il finanziamento e lo sviluppo di progetti nuovi ed innovativi che permettano di accrescere la competitività europea in questo settore di mercato.
Il progetto si compone infatti di due “finestre”, una dedicata allo sviluppo di capacità di difesa comuni e una dedicata alla ricerca. La prima, che si propone di promuovere e sostenere lo sviluppo e l’acquisto degli strumenti di Difesa in modo da armonizzazione le capacità dell’Unione in quest’ambito, si pone un obbiettivo di 5 miliardi l’anno da raggiungere attraverso i contributi dei singoli Stati Membri e, ove possibile, con il contributo del budget europeo. Invece, la finestra dedicata alla ricerca, il cui scopo è quello di promuovere la cooperazione e l’integrazione tra le varie industrie nazionali attraverso il finanziamento di progetti comuni, sarà sostenuta direttamente dai fondi UE e riceverà un ammontare pari a 90 milioni entro il 2020, cifra che sarà portata a 500 milioni negli anni successivi. Al fine di massimizzare l’efficacia del progetto, sarà richiesto agli Stati Membri di individuare i settori in cui detengono un vantaggio assoluto, in modo tale che il sistema produttivo europeo venga valorizzato attraverso le tecnologie di punta di ogni Paese. Tale manovra dovrebbe permettere al settore Difesa, ora frammentato nelle varie industrie nazionali e costretto ad una situazione di eccessiva competitività, di accedere al mercato internazionale come sistema industriale coordinato, dunque in modo più solido e più competitivo grazie anche allo sviluppo di adeguate economie di scala. Se da un lato tale approccio appare ovvio, questo è, però, anche il punto che porta con sé le maggiori criticità poiché i vari governi europei dovranno tendenzialmente rinunciare alla prassi tradizionale che li vede privilegiare sempre e comunque le proprie industrie nazionali.
Dal lato politico, i Paesi che maggiormente si pongono come promotori e sostenitori di questo progetto sono Francia, Italia e Germania. Da una parte perché a livello europeo sono i Paesi che più investono in questo settore e che dunque potrebbero contribuire e beneficiare in misura maggiore della creazione di joint ventures capaci di competere al meglio sul mercato internazionale. Dall’altra, sono anche i Paesi europei più coinvolti nelle sfide che caratterizzano la situazione attuale e che maggiormente sono oggetto delle minacce che in questo momento scuotono il continente europeo, il che li porta ad avere un particolare interesse nello sviluppo di una maggiore autonomia europea, e quindi credibilità, nel comparto Difesa. Questo interesse è aumentato inoltre con la recente BREXIT, l’uscita dall’Unione del Paese europeo che maggiormente investiva in questo settore dell’industria e nello strumento militare, a seguito della quale la necessità per i restanti big players di compensare questa perdita è diventata ancora più urgente. Infatti, e alla luce dell’incertezza sul futuro ruolo degli Stati Uniti nel continente, il raggiungimento di un livello minimo di autonomia europea nel comparto Difesa sembra essere oggi fondamentale per far fronte alle minacce correnti e future. Inoltre, qualora tale obbiettivo venisse raggiunto, non si può escludere che questa maggiore autonomia non possa diventare anche un primo passo verso una futura integrazione più strategico-operativa.