Le ripercussioni internazionali della crisi siriana
Medio Oriente e Nord Africa

Le ripercussioni internazionali della crisi siriana

Di Silvia de Cristofano
07.06.2012

La situazione in Siria è ogni giorno più complessa e il paese sembra ormai precipitato nella guerra civile.
Oltre 13mila persone, in maggioranza civili, sono morte dall’inizio della rivolta a metà marzo 2011. Lo riferisce l’Osservatorio per i diritti dell’uomo precisando che le vittime sono 9.183 civili, 3.072 membri dell’esercito e 794 disertori.

Gli ultimi avvenimenti parlano di centinaia tra morti e feriti nella popolazione civile. È dell’11 maggio la notizia di un attentato compiuto con due autobombe sulla tangenziale per l’aeroporto di Damasco che ha provocato cinquantacinque morti e 370 feriti, nel quartiere meridionale di Al-Qasaz.

Risale invece al 26 maggio la strage nel villaggio di Taldou, vicino alla città di Houla Homs, nella regione di Hula, nella quale hanno perso la vita, stando ai dati riportati dagli osservatori dell’ONU, 108 persone, tra cui quarantanove bambini. Le modalità delle uccisioni evidenziano come alcune tra le vittime siano state uccise dal fuoco, mentre la maggior parte sembra essere stata fucilata o accoltellata da distanza ravvicinata.

La responsabilità di tale atto resta incerta: gli attivisti antigovernativi e i gruppi per i diritti umani, tra cui l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, puntano il dito contro l’esercito siriano e le shabiha (milizie settarie, legate alla malavita, che sostengono il regime di Assad), mentre il governo nega ogni responsabilità, sostenendo, al contrario, che l’atto è stato commesso da terroristi e che lo stesso Esercito ne è stato vittima.

Si riproduce dunque lo stesso schema che sta caratterizzando lo scenario siriano da qualche mese a questa parte, con il governo che denuncia la presenza di cellule terroristiche che operano nel paese, e gli attivisti antigovernativi che attribuiscono la responsabilità delle morti dei civili all’azione repressiva del regime.

Anche le dichiarazioni dei vari leader internazionali hanno ricalcato le posizioni già assunte in precedenza. La Casa Bianca ha condannato duramente l’atto, mentre la Russia ha bloccato una nuova dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di condanna nei confronti del massacro di Hula.

Le ripercussioni a livello internazionale di tale strage hanno portato, dunque, ad un nuovo faccia a faccia tra Russia e Stati Uniti, mentre, a breve, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà per tornare ad esaminare la crisi siriana.

Francia e Gran Bretagna, in quella sede, proporranno una bozza nella quale si sottolineerà che tutte le parti devono cessare il fuoco e che la priorità è andare avanti con il piano Annan, mentre il presidente degli Stati Uniti sta pensando a un piano che prevede l’esilio di Bashar Al Assad e la permanenza al potere di una parte delle personalità della sua cerchia.  L’obiettivo del piano di Obama è di mettere in atto in Siria una transizione che ricalchi quella in corso nello Yemen dove, dopo mesi di violenze e di rivolte anti regime, il presidente Ali Abdullah Saleh ha accettato di cedere i poteri al vice presidente Abdu Rabbu Mansour Hadi.

Ma il fronte occidentale non è così coeso come potrebbe sembrare. Infatti, alle dichiarazioni di Hollande, che ha affermato di non escludere un intervento armato in Siria, a condizione che esso sia autorizzato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha fatto eco la replica della Merkel che ha ribadito il suo impegno a convincere la Russia ad approvare nuove sanzioni indirizzate verso la Siria, non menzionando, però, l’ipotesi d’intervento ventilata dal presidente francese.

Dall’altro lato, non si capisce perché i russi dovrebbero mettere alla porta Assad e fare un favore a Obama in campagna elettorale, dopo aver capito che la Nato non ha intenzione di muoversi da sola.
La Russia mette sul tavolo delle trattative, con gli Stati Uniti, tre questioni.

La prima riguarda la posizione strategica di Damasco: la Siria fa parte del sistema di sicurezza di Mosca in Medio Oriente e i russi, in tale prospettiva, non hanno alcun interesse a liquidare un regime che gli consente di utilizzare la loro ultima base navale nel Mediterraneo, a Tartous. Questa svolge la funzione di supporto logistico per la flotta del Mar Nero, si compone di tre pontili galleggianti di cui uno operativo, un laboratorio galleggiante, impianti di stoccaggio, caserme e altri servizi.

La cooperazione tra i due paesi risale all’epoca sovietica e consentì all’Urss di diventare uno dei principali partner commerciali e fornitore di armi della Siria. Nel 1971, Mosca ottenne di poter adibire a base militare una parte del porto di Tartous, funzionale al supporto delle operazioni della flotta sovietica nel Mediterraneo. Durante questo periodo la Siria accumulò un debito pari a oltre 13 miliardi di dollari con Mosca e tale debito fu alla base delle difficoltà tra i due paesi all’ indomani della caduta del regime sovietico. I rapporti ripresero nel 2005, in seguito ad un incontro a Mosca tra Bashar al Assad e i vertici russi, in seguito al quale la Russia decise di cancellare tre quarti del debito di Damasco, chiedendo in cambio di assumere una posizione centrale nel mercato siriano. Obiettivo raggiunto, visto che, sommando tutte le voci, infrastrutture, armi, settore energetico e turismo, gli investimenti russi in Siria, nel 2010, hanno raggiunto la cifra di circa 20 miliardi di dollari.

La seconda questione riguarda proprio la Libia e le concessioni che i russi hanno fatto in sede ONU ad un intervento armato nel paese africano. In tale occasione, Mosca, astenendosi dal porre il veto in CdS, consentì la creazione di una no-fly zone, dichiarata funzionale alla protezione dei civili, che, però, venne utilizzata dalla NATO per giustificare un cambiamento di regime attraverso un intervento militare. Ciò ha comportato la perdita d’influenza russa nell’area e Mosca non vuole che lo stesso avvenga anche in Siria.

La terza, e centrale, questione riguarda lo scudo missilistico Nato, progetto che si basa su tecnologia americana e mira ad istallare progressivamente intercettori eso-atmosferici antimissile e potenti radar nell’Est Europa e in Turchia. Tale sistema, però, potrebbe potenzialmente intercettare missili balistici russi nella loro traiettoria intermedia fuori dall’atmosfera.

Nell’incontro di venerdì 1 giugno, a Parigi, Putin ha ribadito a Holland di volere garanzie tecnologiche e militari, fissate in documenti giuridicamente vincolanti, che il sistema di difesa missilistico non sia diretto contro la Russia, e questa viene posta come condizione per i futuri dialoghi con i paesi membri della NATO.

La rivolta siriana apre, quindi, una nuova stagione di ridefinizione dei rapporti tra Est e Ovest, che vede contrapposta, ancora una volta, la Russia agli Stati Uniti, insieme agli alleati arabi, turchi e occidentali di Washington.

L’asse Mosca-Damasco per ora non mostra crepe, e ne è la prova, l’aumento del 58% del volume degli scambi bilaterali tra i due paesi, nell’ultimo anno, mentre il fronte occidentale non è così compatto come vorrebbe presentarsi, soprattutto all’interno del contesto europeo. La questione siriana resta una partita aperta e in continua evoluzione, così come i rapporti tra le grandi potenze internazionali.

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