Si riaccende il conflitto in Kashmir
Asia e Pacifico

Si riaccende il conflitto in Kashmir

Di Francesca Manenti
31.01.2017

Nell’ultimo semestre del 2016 l’escalation di violenze registrate nel Kashmir ha riacceso l’attenzione internazionale sulla regione contesa tra India e Pakistan.

I ripetuti scontri tra gruppi di militanti separatisti e le Forze di sicurezza indiane, infatti, hanno infiammato le tensioni all’interno di quella già instabile polveriera che è diventato il Kashmir negli ultimi 30 anni. Sarebbero circa 89 i membri dell’Esercito Indiano uccisi nel 2016, la maggior parte dei quali nel corso dell’autunno. In particolare, il 29 novembre scorso un gruppo di uomini armati ha preso d’assalto il campo militare indiano di Nagrota, città meridionale nel distretto di Jammu, uccidendo 7 soldati del XIV Corpo dell’Esercito Indiano e tenendo in ostaggio 16 persone, prima di essere neutralizzato. L’attacco è giunto a poco più di 2 mesi dall’analogo episodio nella base di Uri, nel distretto nord-occidentale di Baramulla a circa 10 km dalla Linea di Controllo (Line of Control – LoC), durante il quale sono rimasti uccisi 19 soldati. L’intensificazione degli attacchi contro i presidi militari indiani rappresenta la più estrema e forse la più evidente manifestazione del deterioramento delle condizioni di sicurezza verificatosi nella regione a partire dallo scorso luglio, in seguito all’uccisione da parte delle  forze governative indiane di Burhan Wani, giovane militante considerato uno dei leader carismatici dell’insorgenza indipendentista kashmira. L’annuncio della morte di Wani, infatti, ha suscitato una forte ondata di proteste e ha spinto decine di migliaia di persone a scendere per le strade delle città.

I violenti scontri tra manifestanti, Forze Armate e paramilitari indiane hanno causato la morte di circa 90 persone e 15.000 feriti e hanno indotto le autorità di Delhi ad imporre in tutto lo Stato il coprifuoco per oltre un mese. Istruito e di famiglia benestante, Wani era il comandante per le operazioni nonchè il volto più noto di Hizbul Mujahedeen (HM), gruppo ribelle formato nel 1989 come braccio armato dell’organizzazione politico-religiosa Jamal-e-Islami Khashmir in lotta contro le autorità indiane per l’annessione del Jammu e del Kashmir al Pakistan. La scelta di agire a volto scoperto, in rottura rispetto al tradizionale modus operandi dei militanti kashmiri, e un uso sapiente dei social media gli hanno ben presto consentito non solo di riscuotere successo e di aver presa sui giovani della regione himalayana, ma di diventare uno dei reclutatori fondamentali di HM.

Il successo riscosso da Wani e l’impatto emotivo che la sua eliminazione ha avuto in modo trasversale alla Valle del Kashmir hanno messo in luce come l’insorgenza islamista e l’opposizione armata alle autorità indiane stiano diventando sempre più un fenomeno endogeno alla regione. Se fino ad ora i principali gruppi attivi in quest’area (Lashkar- e-Taiba – LeT, Harkat-ul-Jihad-al-Islami –HuJI, Jaish-e-Mohammed –JeM) sono sempre stati formati in prevalenza da militanti stranieri e hanno, o avevano, le proprie roccaforti in territorio pakistano, ad oggi la maggior parte degli operativi presenti nell’area sono Kashmiri. In realtà, HM già all’inizio degli anni duemila presentava una divisione al proprio interno in 2 branche principali: da un lato, il gruppo comandato da Syed Salahuddin (Emiro del gruppo dal 1990 e contrario a qualsiasi dialogo con il Governo indiano) che aveva la propria base logistica in Pakistan ed era formato da militanti stranieri; dall’altro, gli uomini fedeli al Comandante militare Abdul Majeed Dar (più incline a trovare una soluzione politica alla questione kashmira) che hanno sempre agito dall’interno, trovando rifugio nei villaggi e nelle città della Valle. Tuttavia, la presenza di combattenti stranieri nelle posizioni apicali del gruppo e il legame con alcuni ambienti dell’intelligence pakistana (ISI) hanno per lungo tempo ridimensionato l’importanza della componente kashmira.

Il rapporto conflittuale tra le 2 branche, tramutatosi talvolta in scontri armati, e la riduzione del supporto esterno, dovuto alla marginalizzazione della causa del Kashmir rispetto alla minaccia talebana nella regione, hanno indebolito la capacità operativa del gruppo nell’ultimo decennio. Benchè non sia possibile escludere che il gruppo possa ancora beneficiare di supporto proveniente dal Pakistan, l’incremento degli effettivi locali arruolatisi in HM sembra evidenziare la presenza in Kashmir di una nuova generazione pronta a prendere parte attiva alla lotta contro il Governo indiano.

Si tratta per lo più di giovani nati e cresciuti in un contesto fortemente connotato dallo scontro politico ed alla ricerca di una forma di espressione del proprio sentimento di rivalsa nei confronti di istituzioni di cui non riconoscono l’autorità. Non appare casuale, infatti, che un deciso incremento del sostegno popolare alle istanze separatiste sia stato registrato in seguito alle elezioni legislative locali del 2014, quando il Partito indipendentista People Democratic Party (PDP), che aveva vinto la consultazione grazie al forte sostegno riscosso nella regione della Valle del Kashmir, si è aperto alla formazione di una coalizione di governo con il Bharatiya Janata Party (BJP), espressione locale del partito nazionalista induista attualmente al governo in India e fortemente osteggiato dall’opinione pubblica della Valle. Tale scelta, infatti, è stata interpretata come un pericoloso passo indietro nelle possibilità di affrancamento dall’influenza delle autorità indiane all’interno dell’area himalayana.

La disillusione politica e la sfiducia nel sistema politico-istituzionale nazionale, dunque, rendono i giovani Kashmiri più suscettibili al fascino dell’insorgenza, che viene vista come l’unico o il più efficace strumento a disposizione per cercare non solo di portare avanti le proprie istanze, ma, soprattutto, di innescare un cambiamento dall’interno. Le istanze locali, tuttavia, non sono l’unica causa dell’instabilità della regione. Queste, infatti, si inseriscono nella competizione di più ampio respiro tra India e Pakistan per aggiudicarsi la partita in Kashmir.

Entrambi i Paesi, infatti, a fronte della spirale di violenza degli ultimi mesi, hanno alzato i toni dello scontro e hanno riportato il dossier kashmiro al centro delle rispettive agende regionali. Da parte indiana, il Governo del Primo Ministro Narendra Modi sta portando avanti una politica di scontro diretto con le autorità di Islamabad, indicate come il principale fomentatore dell’instabilità nell’area. A fine settembre l’Esercito Indiano ha dichiarato che alcune unità delle proprie Forze Speciali, paracadutate a circa 2 km dalla LoC, avevano condotto una serie di operazioni chirurgiche in territorio pakistano contro presunte basi logistiche utilizzate dai militanti per le operazioni oltre confine. Benchè non sia stata la prima volta che le Forze Armate indiane hanno condotto un’operazione simile, la decisione di New Delhi di rendere pubblico l’accaduto lascia intendere come l’attuale Governo sia intenzionato ad alzare i toni nei rapporti con il proprio vicino.

La politica muscolare indiana, tuttavia, si scontra con la volontà del Pakistan non solo di garantire l’inviolabilità del proprio territorio, ma anche di rimanere sullo sfondo del conflitto in Kashmir, ritagliandosi un ruolo di supporto indiretto ai propri clienti locali. La scelta delle autorità di Islamabad di nominare come nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Esercito il Generale Qamar Javed Bajwa, ex Comandate del X Corpo responsabile per l’area lungo la LoC e con una comprovata esperienza operativa nell’Azad Kashmir, sembra indicare come la gestione dei controversi rapporti con New Delhi per la partita himalayana sarà un dossier di competenza sempre più militare.

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