Crisi finanziaria e minacce asimmetriche, le sfide per le Marine occidentali
Difesa e Sicurezza

Crisi finanziaria e minacce asimmetriche, le sfide per le Marine occidentali

Di Andrea Mottola
21.12.2011

Nel maggio del 2010, il Segretario alla difesa americano Gates, ha affermato che l’intera struttura della US Navy non è più finanziariamente sostenibile per poter continuare ad esistere nel formato attuale, una flotta di più di 300 navi. Questo complesso di forze è quantitativamente eccessivo rispetto alle minacce asimmetriche che si dovranno affrontare e rischia di essere tecnologicamente inadeguato per affrontare le minacce della prossima generazione. La maggior parte delle forze aeronavali è stata progettata per operare nel contesto di una minaccia simmetrica, ma oggi è sempre più probabile che ci si trovi di fronte ad una minaccia di tipo asimmetrico, rappresentata, cioè, da mezzi difficilmente contrastabili con le tradizionali risorse: sommergibili e batterie missilistiche costiere, veloci imbarcazioni d’assalto, kamikaze, mine. In tutti questi casi l’avversario può condizionare pesantemente l’andamento delle operazioni facendo ricorso a mezzi limitati che, in termini di costi, complessità tecnologica e disponibilità, possono essere facilmente messi in atto senza avere alle spalle una nazione con un’industria cantieristica o grandi programmi di armamento. Tali minacce, poi, divengono particolarmente critiche quando ci si trova ad operare in prossimità dei cosiddetti chokepoints, le strozzature lungo le vie di comunicazione marittima, sia perché la densità di traffico che s’incontra in prossimità di tali punti ne rende più difficile la scoperta, sia perché tale densità aumenta la possibilità che il nemico metta a segno un colpo su una nave in transito. Basterebbe pensare a cosa potrebbe accadere nello stretto di Hormuz, se i Pasdaran, in aggiunta alle migliaia di mine già presenti, decidessero di utilizzare uno dei missili anti-nave Kowsar, dotati di un’autonomia tale da poter infliggere pesanti danni a qualsiasi nave in transito nello stretto. Oppure, a quello che potrebbe succedere nello stretto di Formosa se si verificasse un attacco ad una delle navi della 7° flotta dell’US Navy che incrociano in quelle acque, ad opera di qualche Houbei cinese, battelli da attacco rapido di dimensioni contenute ed estremamente agili, progettate specificamente per tattiche mordi e fuggi contro grandi navi da guerra e dotate di un’ampia gamma di missili anti-nave a lungo raggio. Altra seria minaccia per le operazioni navali è rappresentata dall’utilizzo di kamikaze su barche di piccole dimensioni ma con grosse cariche esplosive: gli incidenti del cacciatorpediniere USA Cole ad Aden nel 2000 o delle due navi americane Kearsage e Ashland ad Aqaba nel 2005 ne rappresentano classici esempi. La US Navy ha investito molto nel contrasto a tali tipi di minacce, al punto da avere ideato una nuova tipologia di nave che dovrebbe prendere il posto delle fregate ed essere in grado di affrontare mine, sommergibili costieri e mezzi navali veloci: le cosiddette LCSs (Littoral Combat Ship). Inoltre, proprio dopo l’attentato del 2000 alla Cole, sono stati stanziati 6 miliardi di dollari per i prossimi 5 anni da investire nello sviluppo di piattaforme unmanned (di superficie, aeree e subacquee) da utilizzare anche nel contrasto alle mine, vista la tendenza all’abbandono di piattaforme dedicate (cacciamine). Se si confrontano gli assetti navali disponibili nei principali paesi Nato oggi e 20 anni fa, ci si accorge che i numeri sono sensibilmente diversi, dato che la minaccia e le missioni non sono solo qualitativamente cambiate, ma anche quantitativamente diminuite, a casa della generale riduzione dei bilanci della difesa. Nello specifico, la Royal Navy inglese ha visto una spaventosa riduzione in seguito ai pesanti tagli stabiliti dalla Strategic Defense and Security Review, in cui è prevista una sforbiciata al budget per la difesa dell’8%, pari a 37 miliardi di sterline nei prossimi 4 anni. Secondo i dettami della nuova SDSR, la nuova flotta britannica dovrà essere pronta alla possibilità di essere impiegata in contesti asimmetrici e incentrata sulla difesa dai missili balistici. L’elemento più importante del potere marittimo britannico sarà costituito dai 7 sottomarini nucleari d’attacco classe Astute. Per quanto riguarda le portaerei Queen Elizabeth e Prince of Wales, la prima entrerà in servizio nel 2016 come portaelicotteri e senza aerei imbarcati e sarà quasi immediatamente messa “in naftalina”; la seconda, invece, sarà pronta nel 2020 e sarà allestita come portaerei convenzionale per imbarcare i caccia F35C, la variante del Joint Strike Fighter da portaerei, più economica e dotata di maggiore interoperabilità rispetto alla variante B a decollo verticale. È chiaro che se la RN resterà con una sola portaerei, questa potrà essere disponibile solo per periodi limitati a causa dei lavori di manutenzione e ammodernamento. Nello stesso tempo, infatti, è stato deciso di ritirare dal servizio già nel 2011 la Ark Royal, il che vuol dire che fino al 2020 la Gran Bretagna non avrà portaerei e vedrà altresì ridursi la capacità di proiettare forza d’assalto anfibio, perché sarà eliminata anche la Illustrious, mantenendo in questo ruolo la sola Ocean. Il governo inoltre ha posto fine al programma di velivoli da pattugliamento marittimo Nimrod, costato 3,6 miliardi di sterline e allo stesso tempo sta procedendo alla dismissione degli Harrier. Saranno ritirate 4 fregate classe Cornwall e la linea cacciatorpediniere/fregate scenderà a 19 unità contro le 24 attuali. Solo dopo il 2020 entreranno in servizio le nuove fregate Type 26. Tenendo conto della situazione finanziaria, l’acquisto di unità da combattimento di superficie più grandi è stato limitato in favore di navi più piccole ed economiche, come la fregata multiruolo Littoral Combat Ship. Inoltre, è previsto il rimpiazzamento della flotta subacquea (rinviando però al 2016 la decisione finale sul numero di battelli da acquisire), il rinnovamento del sistema missilistico Trident dei sottomarini e l’allungamento della vita operativa dei sommergibili classe Vanguard. A livello strategico, va sottolineata la scelta di Londra di stabilire un rapporto privilegiato con la Francia nel campo della difesa, scelta che inciderà sugli gli equilibri nella Nato. Si verrà, infatti, a creare un asse di due “grandi” (che rappresentano il 43% della spesa europea per la difesa), accomunati dal possesso di un deterrente nucleare e, soprattutto, dalla capacità politica di impegnare i propri soldati dove e quando necessario per salvaguardare i propri interessi, in fretta e senza troppi problemi. Le operazioni in Libia rappresentano un esempio lampante in tal senso. Le iniziative potrebbero riguardare una “condivisione” di portaerei, una cooperazione nel contrasto delle mine e una collaborazione nella ricerca sui sommergibili. In ogni caso, questa nuova partnership con Parigi non andrà a scalfire la storica alleanza angloamericana: infatti, la US Navy e la Royal Navy continuano a lavorare a stretto contatto nel campo della lotta antisommergibile, nell’implementazione dei sistemi unmanned e nello sviluppo di armi comuni per la prossima generazione di sottomarini lanciamissili balistici. I due paesi hanno anche un memorandum d’intesa che consentirà ai piloti della RN e della RAF di volare con aerei della US Navy, in modo da acquisire esperienza nell’operare da portaerei con catapulte. Per ciò che riguarda gli altri principali paesi Nato, la Francia negli ultimi 20 anni ha aumentato sensibilmente la capacità di proiezione anfibia, ma anche Parigi ha dovuto fare i conti con la crisi finanziaria. Il programma per la costruzione di una seconda portaerei nucleare, da affiancare alla Charles de Gaulle, sembra essersi definitivamente bloccato e gli ordinativi per le fregate Fremm sono scesi da 17 a 11 unità. La componente subacquea è anch’essa profondamente cambiata, con l’abbandono dei battelli diesel e privilegiando la qualità offerta da battelli a propulsione nucleare: dopo i piccoli RUBIS, si passerà alle ben più prestanti unità del programma BARRACUDA, attualmente in costruzione. L’Italia, infine, nonostante lo sviluppo tecnologico, il cambio dello scenario e delle missioni, non ha cambiato molto. Le forze d’altura si basano su due unità maggiori, Garibaldi e Cavour, 4 caccia lanciamissili e 12 fregate. Con la radiazione negli ultimi Atlantic da pattugliamento marittimo la componente si ridurrà dal 2012 a soli 4 ATR 72 ASW. Per quanto riguarda il futuro, le fregate si ridurranno, dato che le FREMM sono previste in 10 esemplari, i cacciamine scenderanno da 12 ad 8 mentre i sommergibili passeranno dagli attuali 6 a 4 battelli. Mentre, quindi, la stragrande maggioranza dei paesi occidentali si è trovata costretta a tagliare i propri bilanci della difesa per poter fronteggiare la crisi finanziaria, altri paesi, forti delle migliori risposte fornite dalle proprie economie a tale crisi, hanno aumentato considerevolmente gli investimenti in campo militare e soprattutto navale. E’ il caso della Cina, in piena ricerca di una capacità militare navale di respiro oceanico e non più solo costiero, che ha dato il via libera alla costruzione di due nuove portaerei a propulsione nucleare, oltre ad aver ultimato l’aggiornamento della portaerei Shilang (ex russa Varyag) che entro un anno dovrebbe essere introdotta in servizio. Un chiaro segnale che la Marina di Pechino intende allargare i propri orizzonti, non limitandosi più al mero controllo costiero, ma con la prospettiva di sviluppare una blue water navy vitale per assicurarsi una presenza navale in tutte le aree d’interesse economico a difesa delle proprie SLOCs (sea lines of communications). Anche la Russia, dopo quasi un ventennio di stasi della sua industria cantieristica, sta ricominciando a produrre nuove navi di superficie per le esigenze nazionali, (fregate classi Grigorovich e Gorshkov), ed ha di recente siglato un contratto con la Francia dal valore di 2,3 miliardi di euro per l’acquisizione di quattro unità d’assalto anfibio di nuova generazione Mistral. Inoltre, è stato annunciato un programma per la costruzione di 4 nuove portaerei, che dovrebbe partire nella prossima decade. La Corea del Sud che, grazie alla sua imponente industria cantieristica, dal 2002 ha intrapreso un percorso per lo sviluppo di una flotta oceanica, iniziato con l’entrata in servizio del cacciatorpediniere Chungmugong Yi Sun-Shin, il più grande e tecnologicamente avanzato della sua storia. Da allora, Seoul ha acquisito una vasta gamma d’imbarcazioni con un potenziale da flotta regionale di tutto rispetto. Ne è un esempio la nave d’assalto anfibio Dokdo che permette alla Marina Coreana di inviare un contingente di tutto rispetto anche in lontani teatri di operazioni. L’India, infine, è impegnata nello sviluppo di due portaerei, la Vikramaditya (ex russa Admiral Gorshkov) e la Vikrant già in costruzione. Inoltre, la Marina Indiana ha lanciato diversi nuovi progetti per sviluppare una flotta di fregate stealth, già in fase avanzata di costruzione, ed ha recentemente acquistato dagli Stati Uniti  8 aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon per 2,2 miliardi di dollari. Nel frattempo, i lavori di costruzione di circa 4 sottomarini nucleari sono in pieno svolgimento, mentre i sottomarini nucleari indigeni Arihant sono già in servizio, il che significa che il governo indiano è sulla buona strada per raggiungere il suo obiettivo di mantenere una forza di oltre 140 navi da guerra. Escludendo tali rare eccezioni, da tale analisi si può dedurre che gli attuali livelli di forza non sono sostenibili, tenuto conto della crisi finanziaria globale, e anche i compiti richiesti alle forze navali del 21º secolo sono molto diversi rispetto a quelli che erano stati posti alla base dei requisiti operativi originali. Compiti di esclusiva competenza militare con scarse probabilità d’impiego (guerra antisommergibile, difesa antimissili balistici), a cui se ne aggiungono altri con maggiore possibilità di utilizzo (proiezione di una forza anfibia, protezione delle SLOC). Vi sono, poi, quelle missioni di polizia che possono essere affidate anche alla componente militare (contrasto all’immigrazione clandestina, protezione dei porti contro le minacce terroristiche). Considerata l’entità dei tagli ai bilanci ed il cambiamento degli scenari, bisogna decidere se avere uno strumento più orientato a quale di queste esigenze, perché è evidente che non vi sono risorse sufficienti per fare tutto e bene. Versatilità e flessibilità sono le parole d’ordine per tutte le principali marine occidentali alle prese con le sforbiciate ai fondi per la difesa e le sfide poste dal cambiamento delle minacce.

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