Geopolitical Weekly n.132

Geopolitical Weekly n.132

Di Salvatore Rizzi
19.12.2013

Sommario: Cina, Russia, Sud Sudan, Yemen

Cina

Cresce la tensione tra Cina e Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale. In acque internazionali, una nave di scorta alla portaerei cinese Liaoning ha costretto ad una manovra anticollisione un incrociatore lanciamissili statunitense. La motivazione del comportamento ostile della nave cinese sarebbe da riscontrare nella eccessiva vicinanza della nave americana alla Lianoning, contemporaneamente impegnata in esercitazioni militari nell’area. La strategia politica di Pechino è volta ad avere sempre maggiore influenza sul Mar Cinese Meridionale. Per attuarla deve contrastare gli interessi degli Stati che affacciano nel tratto di mare comune rivendicando porzioni di territorio; questi riescono però a trovare un bilanciamento nel supporto dato loro dagli Stati Uniti che si impegna al loro fianco nelle dispute territoriali. L’episodio rientra nel novero dell’escalation di tensioni nelle relazioni tra i due Paesi acuitesi da quando la Cina ha istituito una Zona di Difesa Aerea (ADIZ) sul Mar Cinese Orientale inglobando anche le isole Senkaku/Diaoyu, la cui sovranità è contesa al Giappone. L’ADIZ ha fatto subito scattare la reazione statunitense: due bombardieri B-52 americani hanno violato le nuove disposizioni di identificazione non rivelando la rotta di sorvolo e non riconoscendo quindi esplicitamente la sovranità cinese sull’area. I mari cinesi sono l’arena della contesa tra la spinta egemonica di Pechino nei confronti dei suoi vicini – Giappone, Corea del Sud e Filippine in primis ­– e il riposizionamento strategico di Washington nel Pacifico  palesato con il potenziamento della presenza militare. Le tensioni sono destinate a perdurare per le posizioni assunte da tutti gli attori coinvolti: la Cina rifiuta di affidarsi ad un arbitrato internazionale nelle definizione delle controversie territoriali, e i  Paesi asiatici sono decisi a non cedere alle richieste del più potente vicino grazie all’alleato statunitense.

Russia

La Commissione Europea ha dichiarato illegali i contratti stipulati dalla società russa Gazprom con i Paesi UE per la costruzione del gasdotto South Stream nei Balcani. Ai governi di Bulgaria, Ungheria, Croazia, Slovenia, Austria e Serbia (quest’ultima membro candidato UE e firmataria delle leggi comunitarie sull’energia) la Commissione ha chiesto la rinegoziazione degli accordi bilaterali nel rispetto del cosiddetto “Terzo Pacchetto Energetico”. Questo prevede che siano due società distinte a  produrre e distribuire il gas, in modo da salvaguardare il libero mercato. I Paesi UE citati nella dichiarazione della Commissione dovrebbero dunque coinvolgere altri soggetti economici nella costruzione della pipeline oltre alle proprie compagnie di bandiera. Le motivazioni politiche della Commissione che sottendono alla pronuncia, sono da ricondurre alla strategia energetica dell’Unione Europea, volta alla diversificazione dell’approvvigionamento in concorrenza  alla posizione di preminenza di Gazprom. Il South Stream da questo punto di vista rappresenta per la società energetica un rafforzamento della posizione di maggior fornitore extraeuropeo. La nuova pipeline infine potrà giocare un ruolo politico anche per Mosca che si serve del gas per cercare di estendere la sua influenza in Europa.

Sud Sudan

Il Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, ha annunciato in un discorso alla nazione di aver sventato un colpo di Stato del suo ex Vice Presidente Riek Machar, uscito dal governo a luglio. A Juba tra lunedì e martedì ci sono stati violenti scontri tra soldati ribelli e forze regolari, che hanno causato la morte di circa 500 persone secondo fonti ONU. Le forze di sicurezza governative affermano di avere il controllo della capitale, di aver arrestato diversi politici coinvolti nel golpe e di essere alla ricerca di Machar. Nonostante ciò la lotta tra le due fazioni continua: una sede della missione ONU ad Akobo – città al confine con l’Etiopia – è stata attaccata dai ribelli provocando tre morti tra i caschi blu. Dopo appena due anni dalla indipendenza dal Sudan, sancita da un referendum secessionista, le tensioni all’interno della elite al potere sono sfociate nella violenza settaria. Nonostante Kiir e Machar siano gli esponenti di punta del Sudan People’s Liberation Movement (SPLM) - il più importante partito indipendentista -  sono divisi da appartenenze tribali. Il Presidente fa capo alla tribù dinka, la maggioritaria nel Paese, mentre l’ex Vice Machar proviene dalla numerosa tribù di nuer. Entrambe sono stanziate nel Sud Sudan centro settentrionale, principalmente tra la regioni di Bahr al-Ghazal e Kordofan. In queste aree vi sono i più importanti giacimenti petroliferi dello Stato e la loro gestione diviene fonte di problemi. Le tensioni claniche si acuiscono poi maggiormente quando, durante la stagione secca, i sottogruppi familiari dei due clan invadono le corrispettive aeree durante le migrazioni. La ripartizione di potere si è sempre dimostrata più difficile tra le due più importanti tribù, arrivando a sfociare nel tentativo di colpo Stato. Il clan nuer sta cerando con la violenza di arrivare all’apice del potere scalzando i dinka che dominano la politica sud-sudanese dal 2005.

Yemen

Il Parlamento dello Yemen ha votato a favore del divieto dell’uso dei droni statunitensi che sorvolano il Paese per il contrasto al terrorismo internazionale. La motivazione data dall’Assemblea è stata l’ultima incursione di un aereo a pilotaggio remoto nella città di Radaa, nel governatorato di al-Baydaa, area con forte presenza di militanti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Il raid ha colpito un corteo nuziale uccidendo 17 persone, tra le quali si sospettava vi fosse la presenza di esponenti del network qaedista. Questo metodo di contrasto al terrorismo da parte degli USA, è motivo di malcontento da parte della società civile poiché i raid hanno provocato vittime civili In tutto ciò gli attacchi di AQAP si susseguono.  Una settimana prima dell’attacco del drone al corte nuziale, infatti, un commando qaedista aveva colpito con un duplice attentato dinamitardo il Ministero della Difesa, provocando oltre 50 morti. Gli attacchi terroristici sono la risposta di AQAP all’azione repressiva del governo di Sanaa. La decisione finale sul divieto di sorvolo dei droni spetterà però solo al Presidente Abd Rabbo Mansur Hadi. Quest’ultimo è chiamato alla difficile mediazione tra esigenze di sicurezza interna e consenso elettorale. Da una parte le proteste per le vittime civili sono un problema di politica interna che le autorità yemenite devono affrontare per non perdere credibilità di fronte agli elettori; dall’altra l’aiuto militare dato dagli USA permette a Sanaa di contrastare il consolidamento del potere qaedista nella parte meridionale dello Yemen, impedendo la destabilizzazione del Paese.

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