Integrazione economica e convergenza politica: due incognite nel futuro dell’ASEAN
Asia e Pacifico

Integrazione economica e convergenza politica: due incognite nel futuro dell’ASEAN

Di Federica Barbuto
25.03.2015

L’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN) è stata fondata nel 1967 da Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Tailandia al fine di coordinare lo sviluppo economico degli Stati membri ed acquisire autonomia da influenze di potenze esterne. Unite, inoltre, dalla paura per la diffusione del comunismo nel Sud-est asiatico, negli anni il numero dei membri è aumentato fino ad includere Cambogia, Laos, Vietnam, Brunei e Myanmar. Con una popolazione complessiva di 600 milioni, un PIL di $2.400 miliardi – il settimo al mondo – ed una crescita media che si aggira intorno al 5%, l’ASEAN si pone come un autorevole attore geopolitico in un’area sempre più importante per gli equilibri internazionali. L’attuale configurazione dell’ASEAN tende a rilevarne il ruolo Sud-est Asiatico come ente aggregante per la politica estera d’indirizzo economico, soprattutto nei difficili rapporti con la Cina, nello sviluppo economico e il potenziamento delle reti infrastrutturali ed educative della regione.

Già nel 1997 – per il suo trentesimo anniversario – l’ASEAN decide di porsi degli ambiziosi obiettivi attraverso la strategia “ASEAN Vision 2020”. Se l’Associazione aveva già tra i suoi obiettivi quello di una cooperazione strategica in ambito economico, politico e di sicurezza, l’ASEAN Vision 2020 delinea degli obiettivi precisi ed una dettagliata roadmap per conseguirli al fine di creare un mercato comune di libero scambio di beni, servizi, capitali e persone, non troppo differente dal percorso d’integrazione intrapreso dell’Unione Europea. Come per l’UE, infatti, una scorecard obbligatoria viene compilata al fine di monitorare i progressi di tutti i membri nei diversi settori. Tra questi, gli obiettivi chiave sono mercato unico (nel 2011 al 65% di sviluppo), definizione di una regione economica competitiva (67%), sviluppo economico equo (66%) e integrazione nell’economia globale (85%). Nonostante negli ultimi anni tali progressi siano rallentati - soprattutto nei settori relativi la modernizzazione, lotta alla corruzione e sviluppo della governance comune - lo stato di armonizzazione tra i diversi Stati resta considerevole. Significativo è anche il gap nello sviluppo di una struttura burocratica coesa ed adeguata: il Segretariato dell’ASEAN – l’equivalente della Commissione Europea – soffre di una cronica carenza di risorse economiche nonostante il PIL della regione sia più che quadruplicato negli ultimi quindici anni. In un recente sondaggio diffuso tra la popolazione è emerso che il 75% non è a conoscenza della struttura e degli obiettivi primari dell’organizzazione. Tale deficit è, in parte, dovuto dalla mancanza di una lingua franca comune nella regione: la scelta di pubblicare i documenti solamente in lingua inglese ha tra gli ovvi benefici quello di potere contare su una classe dirigente educata ma, allo stesso tempo, impedisce alla popolazione di avere percezione della realtà evolutiva dell’ASEAN e del suo percorso di integrazione.

Benché le difficoltà economiche e d’integrazione stiano avendo pesanti conseguenze sulle deadline che l’organizzazione stessa si è posta, la storia dell’ASEAN resta, tuttavia, una storia di successo. La creazione della Comunità economica, pianificata per il 2015 - ma che potrebbe subire dei ritardi significativi - ha portato alla creazione di una free trade zone, ove le tariffe sono state virtualmente eliminate o ridotte sostanziosamente. Similmente, le operazioni di commercio richiedono minore burocrazia, così come gli investimenti ed i servizi. L’ambizioso – ma realizzabile – obiettivo di creare una regione economica competitiva si trova, quindi, a metà strada, con potenzialità ancora da liberare nel campo dell’armonizzazione delle legislazioni e riforme.

A questo proposito è bene notare una sostanziale differenza tra i primi cinque membri fondatori e i membri successivamente entrati a far parte dell’organizzazione. Il gap in termine d’investimenti, tecnologia e capitale umano è particolarmente significativo, soprattutto quando si confrontano i nuovi membri – Cambogia, Laos e Myanmar – con i risultati di Singapore ed del Brunei. Questi Paesi dal capitale umano e dalle risorse economiche maggiori non hanno, tuttavia, dimensioni sufficienti per trainare lo sviluppo negli altri Paesi. A differenza di quanto accade in Europa, per esempio, in cui la maggior parte del PIL e della popolazione si concentra in cinque Paesi in grado di investire e delocalizzare nelle periferie, tale effetto di naturale equilibrio economico è maggiormente difficile nell’area ASEAN. Questo problema è stato parzialmente mitigato da una strategia industriale di largo respiro che inserisce gli Stati membri negli indotti industriali mondiali, al fine di favorire gli investimenti da parte di Paesi esterni. L’implementazione degli standard di qualità e delle infrastrutture che il processo di armonizzazione interno all’ASEAN dovrebbe portare con sé rappresentano un motore importante per l’attrazione di investimenti nuovi e che, altrimenti, difficilmente l’area riuscirebbe ad attrarre. Un primo segnale positivo in questa direzione potrebbe essere rappresentato dalla scelta, compiuta in modo sempre più frequente negli ultimi anni, da parte di molte multinazionali di delocalizzare i loro impianti dalla Cina verso Laos, Cambogia e Vietnam.

Nonostante le sopracitate difficoltà, i progetti dell’ASEAN sono necessari per la creazione di un’area competitiva a livello mondiale. Molti osservatori notano come sia improbabile che la roadmap di ASEAN Vision 2020 possa essere rispettata e come un ritardo nell’implementazione della stessa sia possibile. La domanda da porsi in questo caso è quanto, in effetti, sia importante nel contesto attuale un eventuale ritardo. L’ASEAN, infatti, si sta delineando come un’importante opportunità di crescita per il Sud Est asiatico, in termini economici, in primis, ma anche politici e sociali. In un momento di congiuntura economica mondiale difficile, dove sempre più risorse sono rivolte verso l’Asia – l’interesse economico potrebbe diventare un importante spunto per la creazione di un’architettura regionale davvero integrata. Tale struttura rappresenterebbe un’opportunità per i Paesi del Sud Est asiatico per accrescere il proprio ruolo di garante degli equilibri regionali e, dunque, per accreditarsi come interlocutore privilegiato per quegli attori globali che guardano con sempre maggior interesse all’area asiatica come scenario strategico per i propri interessi politici ed economici. In questo senso, la recente evoluzione verso una politica del consenso interno e i significativi sforzi verso una politica estera economica comune potrebbero rappresentare utili, seppur ancora parziali, passi in avanti per incentivare la cooperazione e, dunque, l’elaborazione di strategie comuni a livello regionale.

Il processo di integrazione, tuttavia, sta subendo inevitabilmente le conseguenze di una palese divergenza tra i diversi Stati membri nell’interpretazione del ruolo e degli obiettivi che l’ASEAN deve ricoprire come architettura di cooperazione regionale, con ovvie ripercussioni sulle politiche dell’Associazione verso Paesi terzi. Un esempio significativo è stato il fallimento, nel 2012, della stesura di un joint communiqué a seguito di un incontro interministeriale sui rapporti con la Cina. Le relazioni bilaterali che i singoli Paesi membri intrattengono con Pechino, infatti, rappresentano uno dei principali ostacoli alla formulazione di un’agenda politica regionale comune. Tale complessità risulta particolarmente lampante in materie delicate quali la gestione delle dispute territoriali all’interno del Mar Cinese Meridionale, per la quale gli interessi di diversi Paesi ASEAN (Filippine, Vietnam, Malesia, Indonesia) si scontrano con le rivendicazioni della Cina, che rivendica la propria sovranità su circa il 90% delle acque contese. Per anni, infatti, la Cina ha considerato l’area come “il suo cortile di casa”, approfittando del proprio peso economico, nonché dell’influenza politica esercitata sui governi vicini, sia a livello governo-governo sia attraverso il peso sociale esercitato dalle minoranze cinesi presenti nei diversi Stati all’interno regione.

In questo contesto, la sfida dell’ASEAN nei prossimi anni sarà riuscire ad armonizzare i singoli interessi nazionali degli Stati membri per elaborare una strategia unica, regionale, con la quale approcciare i temi più caldi per lo sviluppo nell’area. Solo facendo agire questi processi come catalizzatori, piuttosto che come elementi divisori nel processo d’integrazione tra i membri, l’ASEAN potrà effettivamente concretizzare il principio che è stato alla base della costituzione dell’Associazione stessa, ossia l’elaborazione di una strategia comune in grado di rendere questa architettura impermeabile alle influenze esterne. Solo tale autonomia, infatti, permetterà all’ASEAN di compiere con successo il delicato passaggio da Associazione a vera e propria Unione, in grado di esprimere una sola voce e, dunque, di rafforzare il proprio peso nella gestione dell’agenda regionale.

Articoli simili