Il significato geopolitico della zona di difesa aerea speciale della Cina
Asia e Pacifico

Il significato geopolitico della zona di difesa aerea speciale della Cina

Di Salvatore Rizzi
06.01.2014

La Repubblica Popolare Cinese ha istituito una Zona di Identificazione per la Difesa Aerea (ADIZ) nel Mar Cinese Orientale. L’annuncio è stato dato dal Ministero della Difesa Nazionale sabato 23 novembre e da subito si sono innescate reazioni da parte giapponese e statunitense che hanno portato ad una repentina escalation di tensione nei rapporti bilaterali.

Immediate da Tokyo si sono levate le proteste: il governo ha disconosciuto l’atto cinese ritenendolo una provocazione e sottolineando l’illegittimità dell’ADIZ e la sua pericolosità per il pacifico proseguo dei rapporti tra i due Stati. Al pari del Giappone, anche gli Stati Uniti e l’Australia hanno precisato come l’ADIZ sia una misura in grado di alterare negativamente e senza ragioni plausibili gli equilibri regionali. La contesa verbale ha lasciato, nel giro di pochi giorni, subito il passo ad azioni provocatorie. Dopo che le compagnie aeree straniere, che sorvolano solitamente la zona ora inclusa nell’ADIZ, hanno iniziato a rilasciare i propri piani di volo alle autorità, il mercoledì successivo (27 novembre) sia gli Stati Uniti che il Giappone hanno deciso di ignorare le direttive cinesi. Due bombardieri B-52 in volo di esercitazione hanno sorvolato l’ADIZ cinese senza identificarsi e interrompendo il segnale radio - come regola d’ingaggio statunitense impone - facendo ritorno nella base aerea di Guam dopo aver sorvolato le isole Senkaku (Diaoyu in cinese), da tempo oggetto delle contese territoriali tra Pechino e Tokyo. Da par suo il governo giapponese, invece, ha convinto le due maggiori compagnie aeree del Paese, l’All Nippon Airways e la Japan Airlines (60 voli quotidiani sul Mar Cinese Meridionale), a non sottostare alle regole imposte dalla Cina. La contromossa nippo-americana ha avuto successo perché il dispositivo di sicurezza cinese non è scattato portando poi anche la Corea del Sud ad ignorare l’ADIZ con dei voli militari.

Per la Cina il nuovo spazio aereo controllato non ha stingenti esigenze di sicurezza nazionale, ma un diffuso significato politico che si palesa nella delimitazione stessa dell’area. I confini dell’ADIZ tracciano un pentagono dall’area enorme, ben oltre i limiti delle acque territoriali: la zona si estende fino a 250 miglia dalla costa continentale nel Mar Cinese Orientale, comprendendo nel controllo aereo sia i tre isolotti delle Senkaku/Diaoyu poste a sud del pentagono ideale, sia il giacimento di gas di Chunxiao, conteso anch’esso tra Cina e Giappone. Inoltre, l’area lambisce Taiwan (riconosciuta indipendente da soli 23 Paesi e de facto autonoma), le isole più meridionali dell’arcipelago giapponese di Ishigaki, Miyakojima e Okinawa, arrivando a 70 miglia dalla costa del dipartimento di Kagoshima e a poche miglia da Jeju, l’isola più a sud della penisola coreana.

La creazione dell’ADIZ cinese è la risposta alla mossa di Tokyo, che nell’estate del 2012 aveva acquisito le Senkaku da un privato cittadino giapponese imponendo, de facto, la propria sovranità statale. La questione delle Senkaku si fa risalire al XV secolo, quando la Cina annesse l’arcipelago al dipartimento di Taiwan, distante 170 chilometri, e dunque al proprio territorio. Dopo la prima guerra sino-giapponese, alla fine del XIX secolo, le isole passarono all’Impero giapponese, che ne mantenne formale possesso anche sotto l’amministrazione statunitense dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Disabitate e amministrate pienamente dal governo giapponese dal 1969 (data nella quale anche il Giappone istituì la sua ADIZ sul gruppo di isolotti), ora le Senkaku sono di proprietà dell’Impero dopo l’acquisto.

Tuttavia, con l’instaurazione dell’ADIZ, la Cina ha voluto contestare la decisione giapponese, includendo le Senkaku nella propria area di identificazione e, dunque, di sovranità. Tal esercizio di potere avrebbe ottenuto una diretta forma di riconoscimento e legittimazione nel momento in cui gli aerei statunitensi, giapponesi e coreani avessero comunicato in modo continuativo le proprie coordinate di volo. Per questa ragione, i governi di Washington, Seul e Tokyo hanno volutamente ignorato le disposizioni previste dall’ADIZ, considerando l’istituzione di quest’ultima un’azione unilaterale e priva di qualsiasi accordo internazionale.

Il contenzioso tra Cina e Giappone non si esplicita unicamente attraverso le reciproche rivendicazioni su alcuni arcipelaghi dei mari asiatici orientali, ma anche mediante la sovrapposizione delle rispettive ADIZ e la reciproca e continuativa “invasione” delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) attraverso il vulnus della sovranità delle isole. Pechino definisce per sé una ZEE di 250 miglia (secondo la Convenzione di Montego Bay il limite è di 200 miglia) poiché calcola la sua estensione dall’isola di Taiwan e non dal territorio. Qualora anche le Senkaku/Diaoyu divenissero parte della Cina, tale ZEE risulterebbe ulteriormente espansa. La ZEE giapponese “invade” invece quella di Pechino a causa della posizione dell’isola di Okinawa e dell’arcipelago conteso in questione.

A rendere di vitale importanza strategica le isole Senkaku e il loro bacino sono la ricchezza ittica delle sue acque e la sua posizione geografica, al centro delle rotte commerciali verso Stati Uniti ed Europa. Avere un’influenza diretta sul Mare Cinese Orientale garantirebbe alla Cina un sostanziale vantaggio economico nei confronti del Giappone e della Corea del Sud, che contrastano apertamente i tentativi di affermazione egemonica di Pechino in Asia. Rivendicazioni territoriali cinesi coinvolgono anche il Mar Cinese Meridionale, ricco di giacimenti d’idrocarburi. Con il Vietnam, le Filippine, la Malesia e il Brunei sono in gioco la sovranità delle isole Spratly e Paracel; con Taiwan le isole Pratas. La Cina non intende discutere le rivendicazioni in sedi sovranazionali, sperando di avere maggiore forza contrattuale in eventuali negoziazioni bilaterali.

Le mire espansionistiche cinesi sono contrastate anche dagli Stati Uniti, che hanno individuato nel sostegno alle rivendicazioni giapponesi, sudcoreane e degli altri Paesi alleati del sud-est asiatico lo strumento per contenere le mire egemoniche cinesi nell’area. La massiccia presenza statunitense nel Pacifico, percepita dalla Cina come una vera minaccia alla propria naturale espansione, è iniziata sin dagli anni ’50, cioè da quando gli americani presidiano il quadrante Asia-Pacifico con lo United States Pacific Command (USPACOM). Questo concentra le maggiori forze proprio in Giappone: a Yokosuka, dove è ancorata la VII Flotta, della quale fa parte la portaerei Washington CVN-73 che viene spesso dislocata intorno alle isole Senkaku/Diaoyu; nella base di Okinawa; in Corea del Sud. Un avamposto militare imponente è stanziato inoltre nell’isola di Guam (3 mila chilometri a sudest delle Senkaku/Diaoyu) dalla quale sono partiti i B-52 che hanno sorvolato l’ADIZ cinese lo scorso novembre. Inoltre, la sicurezza della regione è garantita dall’insieme dei trattati multilaterali di difesa firmati tra Stati Uniti e Paesi del sud-est asiatico (in particolare con Giappone, Corea del Sud e Filippine), accordi che fanno in modo che qualsiasi eventuale azione militare diretta da parte della Cina comporti il coinvolgimento immediato di Washington. La proiezione strategica statunitense in Asia è stata ulteriormente accentuata dall’amministrazione Obama che, nel 2012, ha deciso di rafforzare la presenza politica e militare di Washington nella regione attraverso la strategia del “Pivot to Asia”.

Lo scopo degli USA è quello di impedire alla potenza economica cinese, la più attiva e crescente del mondo da almeno dieci anni, di tradursi in potenza politica ed inglobare una regione del mondo destinata a trasformarsi in breve nel motore produttivo globale del pianeta. Infatti, Pechino percepisce il sud-est asiatico come il proprio “spazio vitale”. Se si esamina la politica estera cinese nel suo complesso, tale intenzione appare evidente. Gli investimenti economici cinesi sono massicci in tutto il mondo, dal Sudamerica all’Africa, ma non si manifestano mai, in quei luoghi, come una forza in grado di influenzare significativamente le vicende politiche interne. Al contrario, nel sud-est asiatico, l’intenzione di Pechino appare quella di controllare o condizionare quasi direttamente i governi dei Paesi limitrofi. Non bisogna, inoltre, dimenticare che l’espansionismo cinese rappresenta una valvola di sfogo per le tensioni sociali interne. In questo senso, non è un mistero che gli USA cerchino di “contenere” la Cina sperando che le conflittualità intestine ne minino la stabilità e la crescita.

La Cina, in ogni caso, non potrà che notare come l’imposizione dell’ADIZ si sia in ultima istanza dimostrata un’arma a doppio taglio, dal momento che i governi di Stati Uniti e Giappone sono riusciti, pur in maniera diversa, a trarre beneficio dalla vicenda. Gli Stati Uniti hanno infatti potuto ribadire agli attori regionali la propria indispensabile presenza nel quadrante geopolitico Asia-Pacifico e dato ulteriore prova alla Cina della propria capacità di sostegno agli alleati nell’area. Il premier giapponese Abe, dal canto suo, è riuscito invece a creare compattezza all’interno del Paese e del governo attraverso lo sbandieramento nazionalista della difesa contro le “prepotenze” cinesi.

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