La crisi siriana vista da Ankara
Medio Oriente e Nord Africa

La crisi siriana vista da Ankara

Di Giuseppe Marino
03.10.2012

La Turchia è stata certamente il Paese più coinvolto dagli strascichi della crisi siriana. Ciò è vero non solo per quel che concerne l’ambito diplomatico, che ha visto il governo di Ankara chiedere più volte, nei principali consessi internazionali, l’imposizione di una zona cuscinetto nella zona settentrionale della Siria. La Turchia ha subito anche sul campo gli effetti del conflitto. A inizio ottobre, un razzo proveniente dalla Siria ha colpito il villaggio turco di Akcakala, a pochi chilometri dal confine, uccidendo una donna e tre bambini. L’episodio ha provocato, inevitabilmente, una dura reazione da parte di Ankara, intervenuta con la propria artiglieria contro obiettivi del regime di Bashar al-Assad posti al di là del confine. In precedenza, invece, l’incidente più significativo era stato l’abbattimento, a fine giugno, di un caccia F4 turco da parte della contraerea siriana, a seguito del quale l’esecutivo guidato da Recep Tayyip Erdogan aveva convocato una riunione straordinaria del Consiglio della NATO. Episodi di questo genere, derivanti anche dal fatto che il territorio meridionale della Turchia viene utilizzato come retroterra logistico dalle milizie del Free Syrian Army (FSA), rischiano di provocare un intervento militare di Ankara in Siria. Intervento che porterebbe con sé conseguenze forse decisive sugli esiti del conflitto, essendo la Turchia la seconda forza militare e un membro assai influente della NATO.

Un altro problema urgente che il governo di Ankara si trova a dover affrontare è legato alla grave emergenza umanitaria dei profughi, visto che proprio il confine turco si presenta come quello più affollato. Oltre alla gestione del soccorso ai profughi, per i quali è pronta la realizzazione di sei campi di raccolta e la creazione di una zona cuscinetto, le autorità turche si trovano ad affrontare i pericoli per la sicurezza del proprio Paese derivanti dalla crisi siriana. Ciò che desta maggior preoccupazione è il rischio che i miliziani curdi del PKK, approfittando del caos generato dalla fuga dei profughi siriani, riescano facilmente ad operare all’interno dei confini turchi. Non è un caso che negli ultimi mesi siano ripresi gli attentati soprattutto contro le forze di sicurezza turche, non solo nelle ormai tristemente note regioni periferiche dell’est, ma anche in quelle più centrali e ad Istanbul stessa, come testimonia l’attentato dell’11 settembre scorso, quando un miliziano del PKK si è fatto esplodere nei pressi di un commissariato uccidendo un poliziotto.

Tutto questo sta avvenendo in un contesto che vede un possibile avvicinamento del movimento curdo al regime di Assad, all’indomani della netta presa di posizione di Ankara contro Damasco. In questa logica il PKK trova nell’attuale Siria destabilizzata un luogo “sicuro” da qui agire contro la vicina Turchia.

Il pericolo di matrice curda rimane un incubo per il governo turco. Anche nell’ipotesi di uno scenario post-Assad, resta alto il rischio della costituzione di un’enclave curdo-siriana che possa ottenere un’autonomia simile a quella del Kurdistan iracheno, influenzando la vicina comunità in Turchia. Tali prospettive dimostrano come la guerra civile in Siria porti ineluttabilmente strascichi pericolosi per la sicurezza turca, riattivando una questione al tempo stesso sociale e politica che da molti anni rappresenta il punto debole delle aspettative e dei propositi della Turchia.

L’interesse turco per la crisi siriana è dettato poi dal ruolo di Ankara nello scenario regionale. La politica estera di nuovo corso impostata soprattutto dal Ministro degli Esteri Davutoglu, persegue da anni un obiettivo ambizioso di non lontana portata: fare della Turchia una potenza regionale e globale a livello politico ed economico. Il conflitto siriano rappresenta da questo punto di vista un banco di prova importante.

Dopo essersi lentamente allontanato dall’alleato storico israeliano, la Turchia ha iniziato ad intavolare relazioni strategiche con gli altri Paesi musulmani della regione, in primis con la Siria (prima del conflitto), rincorrendo l’obiettivo di diventare una sorta di primus inter pares tra le nazioni musulmane. Con lo scoppio della crisi a Damasco, Ankara ha assunto un ruolo di leadership nella ricerca di una soluzione regionale al conflitto non solo per i riverberi degli avvenimenti siriani sulla propria sicurezza e stabilità interna, ma anche per entrare nella dialettica di potenza nell’arena mediorientale. Lo schierarsi apertamente contro Assad ha posto, così, la Turchia quale ulteriore protagonista nella contesa tra Paesi sunniti e sciiti dell’area, che ha nella crisi siriana uno dei principali campi di confronto.

Dunque, a prescindere dagli esiti della crisi, la Siria sta catalizzando l’interesse politico dell’intero Medio Oriente: da questo contesto si sviluppano una serie di intrecci che vedono in qualsiasi ipotesi la Turchia coinvolta come protagonista, nonché sempre più bilancia degli equilibri regionali.

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