Luci e ombre della riforma agraria in Sudafrica
In Sudafrica prosegue l’iter procedurale del progetto di riforma agraria voluto dal Presidente Cyril Ramaphosa. La riforma punterebbe alla possibilità, da parte dello Stato, di confiscare i terreni ai latifondisti, per lo più appartenenti alla minoranza bianca, senza alcuna compensazione per redistribuirli tra il resto della popolazione di colore. Nello specifico, l’intento sarebbe quello di effettuare una sostanziale redistribuzione della ricchezza fondiaria nazionale, favorendo una maggiore uguaglianza nella proprietà terriera.
La questione della terra è di primaria importanza nello Stato sudafricano, poiché a 24 anni dalla fine del regime di apartheid, il divario tra la parte ricca della popolazione e quella povera è ancora estremamente ampio. Dopo la firma del Native Land Act nel 1913, legge con la quale ai sudafricani di colore venne assegnalo appena il 10% del terreno coltivabile, la proposta di una suddivisione più equa delle terre fu avanzata da Mandela solo nel 1994, anno delle prime elezioni democratiche. Eppure il partito da allora costantemente al comando, l’African National Congress (ANC), in più di due decenni è riuscito a raggiungere risultati poco significativi: ad oggi, infatti, il 73% delle terre è ancora in mano ai discendenti bianchi dei colonizzatori olandesi e inglesi (il 10% della popolazione), il 15% ai cosiddetti “coloured” (meticci del Capo), il 5 % agli indiani e solo il 4% agli africani autoctoni (suddivisi in 9 diverse etnie).
Ramaphosa, Vicepresidente del Sudafrica dal 2014, Presidente dal febbraio 2018 e a capo dell’ANC dalla fine del 2017, aveva da subito impostato la sua agenda politica intorno a due temi principali: l’istruzione universitaria gratuita e la riforma agraria. A tal proposito, il primo passo era stato fatto due settimane dopo l’inizio del suo mandato con una mozione, proposta dal partito populista Economic Freedom Fighters (EFF), volta a revisionare la Costituzione e approvata dal Parlamento in maniera schiacciante. Nel dicembre successivo, l’Assemblea Nazionale di Pretoria ha approvato, con 209 voti favorevoli e 91 contrari, la relazione di una Commissione Parlamentare con la quale si è proposta la modifica della Costituzione tramite degli emendamenti alla sezione 25 della stessa. La sezione 25, infatti, non esclude la facoltà di esproprio da parte dello Stato, ma la rende soggetta ad un compenso adeguato e alla decisione di un’apposita Corte che ne decreti il pubblico interesse. Dunque, il prossimo passaggio dovrebbe consistere nella formazione di una nuova Commissione responsabile della redazione dei suddetti emendamenti, seguita da varie consultazioni pubbliche e l’eventuale approvazione delle modifiche in Parlamento (occorre una maggioranza di due terzi).
Le motivazioni che hanno spinto il Presidente a schierarsi così apertamente a favore della riforma agraria sono varie. Secondo Ramaphosa e i suoi sostenitori la riforma agraria è un passo fondamentale per la riconciliazione della società sudafricana, processo impossibile in assenza di equità sociale e senza una più significativa partecipazione della parte nera della popolazione all’economia nazionale. L’accesso alla terra è anche visto come diritto fondamentale di cittadinanza. La redistribuzione delle terre andrebbe inoltre a rinforzare non solo la qualità della vita dei lavoratori e delle comunità, ma potenzierebbe anche il grado di sicurezza alimentare per l’intera nazione, in particolare per le aree rurali. Sarebbe infine una risposta concreta all’alto tasso di disoccupazione presente in Sudafrica, soprattutto per quel 20% di giovani con una formazione terziaria per la cui riconversione nel settore primario, però, necessiterebbe sforzi importanti con per l’accrescimento delle competenze in materia agricola. In generale, quindi, la riforma rappresenterebbe parte integrante dell’intero processo di costruzione del Paese, in modo da attrarre i flussi di denaro degli investitori internazionali.
Inoltre, ad influenzare le decisioni del Capo dello Stato vi è sicuramente l’incombenza delle prossime elezioni presidenziali annunciate per il maggio del 2019. Ramaphosa ha ricevuto una pesante eredità dal suo predecessore Zuma, i cui 9 anni di presidenza sono stati impregnati di corruzione, nepotismo, pessima amministrazione e gestione della “cosa pubblica”, scandali e un significativo peggioramento delle condizioni economiche. Questo ha generato e rafforzato una diffusa e profonda sfiducia verso l’ANC, verso le istituzioni pubbliche e, a livello internazionale, verso il Sudafrica stesso. Alle elezioni locali del 2016 il partito di liberazione nazionale più longevo dell’Africa ha fronteggiato il peggior risultato elettorale dal ’94 e, in vista della prossima tornata elettorale, rischierebbe per la prima volta di scendere al di sotto del 50% delle preferenze. Negli ultimi anni, infatti, le opposizioni si sono rinforzate a danno della maggioranza, in particolare l’EFF di Julius Malema che da tempo ha fatto proprio il tema del recupero coatto delle terre coltivabili e del loro “ritorno” alle classi nere più povere, espropriate durante gli anni del colonialismo e dell’apartheid. La mossa di Ramaphosa appare dunque quasi obbligata, nel tentativo di convogliare a favore dell’ANC tutte quelle fasce di popolazione interessate alla questione agraria e, anche, quelle classi d’età nate dopo il 1994 (cosiddette “free born”, tra i 18 e i 30 anni circa). Questi giovani non hanno infatti vissuto direttamente il dramma della segregazione e, dunque, non condividono quel sentimento di gratitudine e riconoscenza verso un partito-movimento che ha invece accresciuto in loro, negli ultimi anni, disillusione per la politica.
Tuttavia, parallelamente al fronte dei favorevoli alla riforma agraria, esiste un ampio partito di contrari. Sono in molti ad opporsi ad un progetto di legge che si fonda su basi razziali e rischia di produrre politiche persecutorie nei confronti della popolazione bianca. Anche il dilagare delle violenze e degli omicidi nei confronti degli agricoltori bianchi viene ricollegato proprio al clima creatosi dopo l’annuncio della riforma. Gli oppositori si rifanno anche alla tragica esperienza riformista avvenuta nei decenni precedenti nel vicino Zimbabwe dove, seppur in un contesto diverso ed economicamente molto meno avanzato rispetto al Sudafrica, gli effetti della ridistribuzione delle terre a gente che, in molti casi, non possedeva né i mezzi adatti né le conoscenze basilari in materia, generarono una spirale di conseguenze fino al crollo della produzione del Paese e alla perdita massiccia degli investimenti internazionali. In questa stessa ottica, il timore dei sudafricani riguarda proprio la capacità produttiva nazionale nel settore agroalimentare, il possibile netto depotenziamento dell’avanzato settore industriale e l’eventuale sfiducia da parte degli investitori stranieri.
In prima linea contro la riforma della terra, oltre al principale partito di opposizione, la Democratic Alliance (DA), vi sono Afriforum e il sovrano del regno Zulu, Goodwill Zwelithini KaBhekuzulu. Afriforum, organizzazione non governativa a difesa della cultura degli afrikaner e del loro coinvolgimento nella vita pubblica, cerca di difendere i diritti di proprietà degli storici proprietari terrieri bianchi. Al contrario, il re Zulu controlla la Ingonyama Trust, un’entità territoriale e amministrativa situata nella provincia di KwaZulu-Natal (2,8 milioni di ettari di estensione), e teme che l’esproprio andrebbe a minare le fondamenta stesse dell’autorità che i sovrani locali rivestono da secoli. Infatti, è proprio il dominio e la gestione delle terre a legittimare questa piramide di potere atavica che, con l’espropriazione, rischierebbe di essere delegittimata.
Probabilmente, la riforma agraria verrà attuata in modo sistematico non prima delle elezioni presidenziali del 2019, ma l’iter procedurale e le diffuse proteste lasciano spazio a diverse perplessità. Innanzitutto, al netto dei proclami della maggioranza, potrebbero non necessariamente esserci così tanti aspiranti contadini nel Sudafrica odierno. Nella società industriale moderna, infatti, i contadini e le piccole aziende agricole familiari rivestono un ruolo molto marginale, mentre la stragrande maggioranza del cibo del Paese è fornita dall’agribusiness e dall’agricoltura su scala industriale. È inoltre difficile dare per scontato che ci siano grandi fette di popolazione disposte a trasferire le proprie vite nelle campagne, com’è anche possibile supporre che non tutti gli abitanti delle zone rurali vorrebbero restarvi piuttosto che trasferirsi nelle aree urbanizzate.
I disordini, le violenze e le opposizioni probabilmente mineranno tutto il percorso della riforma voluta da Ramaphosa, ma saranno le prossime elezioni presidenziali a decretare o meno il sostegno alla sua proposta da parte della popolazione. In caso di vittoria, sarà indispensabile per il Presidente e per il Sudafrica che questo progetto venga gestito contrastando corruzione, ingenuità e mala gestione. Un eventuale fallimento potrebbe rivelarsi una catastrofe per la stabilità sudafricana e per le sue aspirazioni di sviluppo e crescita.