NATO Green Defence: quali prospettive per una difesa "verde"
Lo scorso novembre, all’interno della cornice della COP26 di Glasgow, il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, ha ribadito l’impegno della NATO nella lotta ai cambiamenti climatici e ha nuovamente sottolineato l’importanza di implementare soluzioni e di sviluppare tecnologie green da parte delle forze armate dei Paesi Membri dell’Alleanza. Al centro delle iniziative sulla “Green Defence” vi sono una serie di vantaggi tanto ambientali quanto economici e politici derivanti da una svolta “verde” nel campo della difesa – discussi in un precedente approfondimento –, tuttavia non si possono non considerare anche i vantaggi più prettamente tattici e operativi della transizione verso un modello di difesa più green ed ecosostenibile.
Sin dall’invenzione della ruota, l’innovazione tecnica è stata di fondamentale importanza nel determinare un vantaggio tattico sull’avversario e le energie rinnovabili non fanno eccezione. Una delle grandi criticità operative delle guerre moderne risulta infatti essere la gestione logistica e la protezione delle infrastrutture critiche di rifornimento, senza le quali anche l’esercito (sulla carta) più capace può essere facilmente sopraffatto. La scarsità di carburante, e quindi di alimentazione per mezzi e strumentazione, ha rappresentato nell’ultimo secolo di conflitti una delle maggiori cause di logoramento per le forze combattenti, dalla débacle degli Afrika Korps di Rommel durante la Seconda Guerra Mondiale agli attacchi ai convogli di rifornimento alleati in Afghanistan da parte delle milizie talebane. Una forza militare che riesca da oggi a porre le basi dello sfruttamento del rinnovabile in ambito tattico, attraverso, ad esempio, la realizzazione di infrastrutture completamente autosufficienti dal punto di vista energetico, potrebbe, nell’arco di pochi anni, arrivare ad ottenere un vantaggio non indifferente su ogni avversario che continui invece ad affidarsi ai soli combustibili fossili per alimentare la sua macchina bellica. Anche le capacità operative di teatro possono beneficiare di tali innovazioni: l’indipendenza logistica dalle linee di rifornimento costanti implica una maggiore disponibilità in termini di unità impiegabili direttamente sul campo per operazioni cinetiche, con minori tempi di preavviso e schieramento, nonché potenzialmente una autonomia operativa più estesa e prolungata per azioni complesse e in profondità. Complessivamente, la capacità di operare senza doversi preoccupare di “restare a secco” apre la strada a nuovi scenari operativi, potendo garantire maggiore mobilità e flessibilità alle unità da combattimento, due caratteristiche cruciali nei futuri campi di battaglia multi-dominio. Tali precondizioni pongono le basi di una guerra del futuro basata ancora più di prima sulla velocità e sulle capacità di hard attack per penetrare a fondo nelle linee nemiche, con un orizzonte di autonomia operativa più esteso di quanto non sia ora. L’intera triade dei domini convenzionali del conflitto (terra, mare, aria) può beneficiare in termini di operabilità dall’innovazione tecnologica portata dalle energie rinnovabili. Diverse sperimentazioni sono in corso, in tal senso, da parte di numerose forze armate, soprattutto di Paesi Membri della NATO, in merito allo sviluppo di mezzi e sistemi ibridi, elettrici, o che in generale si basano per il loro funzionamento sull’utilizzo di energia derivata da fonti rinnovabili e su nuovi carburanti e combustibili.
Per quanto concerne il dominio aereo, lo sfruttamento dell’energia solare è già alla base di ambiziosi progetti per lo sviluppo di UAV di tipo HALE (High Altitude Long Endurance) in grado di operare proprio grazie all’energia derivante dalla luce del sole, capaci di librarsi ben al di sopra delle coltri di nuvole e in grado di ottimizzare al massimo l’input energetico ricevuto. In termini operativi, l’elevata altitudine raggiungibile dagli UAV ad energia solare, unita all’estesa autonomia operativa, può garantire un costante supporto aereo alle unità sul terreno, in particolare per le operazioni ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance). Nel prossimo futuro degli scenari di conflitto, che saranno caratterizzati dalla condotta di Operazioni Multi-Dominio (MDO), la disponibilità di unità costantemente in volo e in grado di comunicare in real time con sistemi satellitari e truppe a terra (o in mare), rappresenterà un pilastro portante delle capacità di Command and Control (C2) per ogni tipo di operazione. Inoltre, i più recenti sviluppi legati ai combustibili sintetici per l’aviazione, ottenibili grazie alla semplice disponibilità di acqua e aria in grandi quantità (e all’estrazione di idrogeno dalla prima e di carbonio dalla CO2 contenuta nella seconda), estenderebbero l’autonomia e la durata delle operazioni di dispiegamento dei gruppi di volo imbarcati su portaerei. Un gruppo navale portaerei con capacità di produrre combustibile sintetico in maniera autonoma o di rifornirsi presso una Forward Operating Base (FOB) adeguata allo scopo potrebbe rappresentare un vantaggio operativo di grande valore, specialmente in teatri estesi come l’area dell’Indo-Pacifico, riducendo la dipendenza dalle navi da rifornimento e facendo invece leva su un sistema di auto-produzione di carburanti sintetici per velivoli molto più snello ed economico e con minori rischi dovuti all’assenza di operazioni di rifornimento in mare.
Sul versante terrestre invece la situazione risulta più complessa, sia dal punto di vista tecnologico che tattico. Benché la strada verso una completa sostituzione dei motori a combustione per mezzi di terra, carri armati in primis, sia ancora lunga, diverse sono le idee sul tavolo e gli sforzi in questa direzione. Ad esempio, allo stato attuale, sono stati testati, in sede di esercitazione, diversi veicoli ad alimentazione ibrida, come il nuovo ISV (Infantry Squad Vehicle) dell’US Army, e i risultati, mediamente soddisfacenti, aprono la strada a ulteriori sperimentazioni nel campo dei veicoli leggeri ad alimentazione elettrica. Proprio sul fronte delle operazioni ricognitive si iniziano a notare progressi, grazie all’utilizzo di veicoli leggeri ad alimentazione totalmente elettrica, come motociclette dotate di un’autonomia fino a 100 km e con una velocità massima tra gli 80 e i 90 km/h. Tali mezzi, oltre a risultare di facile manovrabilità, beneficiano di caratteristiche stealth grazie a una scarsissima rilevabilità termica e sonora, in virtù dell’assenza di motori a combustione, fattore che sul campo può rivelarsi cruciale ai fini della condotta di missioni in territorio ostile, nelle quali rimanere nascosti e occulti è fondamentale. Inoltre, le truppe di fanteria potrebbero beneficiare di sistemi tecnologici a ricarica solare, soprattutto se si pensa ai corpi speciali, le cui missioni avvengono spesso al di là delle linee nemiche. Da una semplice radio fino ai droni portatili per la ricognizione ambientale o all’alimentazione necessaria per allestire un campo base, anche in questo caso le energie rinnovabili promettono un’estensione delle capacità operative non indifferente. Parlando poi di mezzi medi e pesanti, bisogna anche considerare quei vantaggi non immediatamente ravvisabili offerti dall’abbandono dei motori a combustibile. Un mezzo elettrico, oltre ad ottimizzare meglio gli spazi interni per un maggior comfort dell’equipaggio, produce molto meno rumore e calore all’interno della cabina stessa, garantendo alle unità a bordo una maggiore situational awareness anche negli scenari più concitati.
Per quanto concerne il dominio marittimo, i cambiamenti sono già in atto e promettono sviluppi interessanti. Nonostante i piani di lungo termine prevedano un tipo di alimentazione basata sull’idrogeno, i tempi ancora non permettono una reale e totale transizione in questo senso. Se il punto di partenza è quello dell’energia fossile e quello di arrivo è rappresentato dall’idrogeno, la via da percorrere nel mezzo sarà quella dei biocombustibili o “green diesel”. Oltre a ridurre l’impronta fossile prodotta dalle unità navali, l’utilizzo di biocombustibili garantisce anche dei vantaggi tattici non indifferenti legati alla riduzione dei tempi di refueling delle navi e all’autonomia operativa, senza alcuna necessità di dover effettuare modifiche ai sistemi esistenti. Inoltre, l’utilizzo di pitture a base siliconica per gli scafi, oltre a ridurre l’impatto ambientale delle piattaforme sull’ecosistema marittimo, offre un risparmio di combustibile per la propulsione fino al 25%. In aggiunta, l’impiego di sistemi di illuminazione a LED offre un ulteriore risparmio energetico del 40% rispetto ai consumi prodotti dalle lampade a fluorescenza. Il risparmio energetico legato a queste accortezze è tutt’altro che trascurabile, dal momento che può garantire una maggiore velocità, flessibilità e prontezza di impiego, nonché un surplus di alimentazione per l’eventuale aggiornamento dei sistemi navali con armi a energia diretta, sempre più necessarie per garantire un’efficiente difesa antiaerea ai gruppi navali. Molte di queste innovazioni sono state già introdotte dalla US Navy e, prima in Europa, dalla Marina Militare Italiana con il progetto “Flotta Verde” che, anche in collaborazione con ENI per la produzione e utilizzo di biodiesel, punta a rendere il trasporto marittimo più sostenibile anche per i vascelli nostrani.
La transizione energetica inizia ad essere una realtà anche nell’ambito della Difesa e la necessaria riduzione delle emissioni pone le forze armate dei Paesi membri della NATO di fronte ad una sfida di lungo termine: diminuire la dipendenza da combustibili fossili senza scendere a compromessi in termini di efficienza e capacità operative. In base a quanto analizzato, le iniziative per una “Green Defence” potrebbero rappresentare non solo un compromesso tra le esigenze militari e quelle dell’ambiente, ma anche un concreto vantaggio, strategico, tattico e operativo, per le operazioni del futuro. Il lasso temporale lungo il quale tali innovazioni si svilupperanno non sarà certamente breve e il ruolo della ricerca sarà fondamentale per la riuscita del processo di transizione. Se è quindi vero che l’innovazione tecnologica costituisce il vero vantaggio negli scenari di conflitto, saranno proprio gli attori che per primi avranno abbracciato la transizione verso una “Green Defence” ad ottenere i migliori risultati sul campo.