La “Green Defense” della NATO:  il rinnovato impegno dell’Alleanza Atlantica sul fronte della sostenibilità
Defence & Security

La “Green Defense” della NATO: il rinnovato impegno dell’Alleanza Atlantica sul fronte della sostenibilità

By Riccardo Leoni
05.19.2021

Il Summit dei leader sul clima lanciato dagli Stati Uniti lo scorso 22 aprile, in via telematica, ha rappresentato l’ennesima mossa di una partita che si preannuncia lunga e senza esclusione di colpi, nell’ambito della corsa globale alla leadership nel campo della transizione energetica.

Tra le varie personalità è intervenuto anche il Segretario Generale della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg, più che mai impegnato nel rendere l’Alleanza Atlantica un soggetto geopolitico a tutto tondo, capace di confrontarsi con gli altri attori su più livelli. In questa sede, il Segretario Generale della NATO si è impegnato pubblicamente a favore della lotta ai cambiamenti climatici con chiare indicazioni sulla futura agenda green dell’Alleanza. L’intervento di Stoltenberg si è articolato su tre linee guida principali che costituiranno il nucleo della sua proposta di intervento sui temi climatici al prossimo summit NATO di giugno: comprendere, adattarsi, mitigare.

Comprendere le sfide securitarie poste dagli sconvolgimenti climatici, per poterle anticipare tramite l’uso della strumentazione già in dotazione all’Alleanza; adattarsi ai nuovi scenari operativi in condizioni climatiche estreme sui tre domini convenzionali, per mantenere un’alta efficacia e per fornire assistenza alla popolazione civile ove necessario; e infine mitigare l’impatto arrecato dalla NATO stessa al sistema climatico tramite un taglio progressivo ma deciso delle emissioni di CO2 da combustibili fossili derivanti dalle sue strutture e dai suoi apparati militari.

Quali saranno allora le iniziative di policy che la NATO metterà in campo per attuare questo complesso processo di transizione? Alcune basi sono state poste già dal NATO Green Defense Framework del 2014, documento programmatico realizzato per essere la base di ogni futura integrazione della sostenibilità energetica da parte dell’Alleanza, per quanto fino ad oggi abbia trovato scarsa applicazione sul piano pratico. Il documento prevede più sezioni, una introduttiva alle nuove sfide securitarie, una di policy e una di carattere programmatico per gli anni a seguire.

Le nuove sfide securitarie che, nel complesso, confluiscono nel concetto di “Green Defense” sono quattro: sicurezza energetica, operazioni militari, cambiamento climatico e spese per la difesa.

Lunghi conflitti di logoramento come quelli in Iraq e Afghanistan hanno dimostrato come alla base delle capacità belliche aeree e terrestri si trovi la necessità di poter garantire un costante e sicuro flusso di carburante, anche per lunghi periodi di tempo e a fronte di un consumo operativo massiccio. L’insostenibilità ambientale del combustibile fossile, l’aumento della domanda globale di energia correlato all’aumento della popolazione e l’alta volatilità dei prezzi del greggio per cause esogene o endogene, pongono in essere la necessità di valutare e sviluppare nuove fonti di energia che siano producibili sostenibilmente e su vasta scala e che non siano soggette a improvvise fluttuazioni sul mercato; questo è il paradigma fondante della “nuova” sicurezza energetica del ventunesimo secolo. La garanzia di disponibilità energetica dovrà di conseguenza accompagnarsi ad un’integrazione dell’utilizzo delle rinnovabili per operazioni sul campo, oltre ad una revisione del sistema di protezione delle linee di rifornimento, particolarmente vulnerabili al rischio di attacchi avversari, come nel caso delle offensive realizzate da parte delle milizie talebane nel conflitto afghano. Seppure in modo indiretto, è ormai assodato che anche il cambiamento climatico può dare luogo, con le sue conseguenze, a sfide di carattere securitario, provocando migrazioni di massa e condizioni di estremo disagio sociale. Tali situazioni rappresentano terreno fertile per l’insorgere di estremismo, fondamentalismo e financo terrorismo, nonché guerre per le risorse. Contribuendo alla riduzione delle emissioni impattanti, la NATO potrà contribuire anche a limitare i rischi derivanti da questi nessi tra clima e sicurezza globale. Ultima, ma non certo per importanza per gli stati maggiori e i governi, è la questione delle spese militari. Le fluttuazioni dei prezzi dei combustibili convenzionali hanno influenzato negativamente e a più riprese l’Alleanza, portando i governi a dover effettuare alcuni tagli ai budget della difesa e a rivedere programmi di acquisizione pluriennali già approvati al fine di ridurre i costi; questo di, conseguenza, può comportare anche problematiche di pianificazione operativa dovute ad una eccessiva incertezza sui mezzi finanziari a disposizione. Una transizione green garantirebbe, oltre alla certezza di approvvigionamento fisico, anche costi fissi e poco soggetti a fluttuazioni improvvise.

Queste quattro sfide così delineate rappresentano la strategia della NATO sul tema della Green Defense e costituiscono un utile strumento di analisi per futuri studi sul tema, nonché per integrazioni sul piano tattico.

Per quanto riguarda i tre pilastri di policy presentati nel Green Defense Framework, essi si sviluppano in riferimento alla struttura interna dell’Organizzazione (Reinforcing NATO’s efforts), al coordinamento degli alleati (Facilitating allies’ efforts) e alla postura pubblica in relazione al tema (Improving NATO’s green profile). Il primo obiettivo è ritenuto raggiungibile tramite l’adozione di “green standards” comuni a tutti gli organi interni dell’Alleanza, l’istituzione di gruppi di studio e lavoro sullo sviluppo della Green Defense, l’applicazione di precisi obiettivi a tempo da parte delle principali strutture coordinative, nonché un maggiore sforzo degli organi di ricerca e della macchina burocratica nell’ottica di sviluppare entro breve un registro complessivo sul consumo di energia (e conseguente impatto climatico) delle operazioni NATO. Sotto il profilo di coordinamento alleato invece si prevede, ove possibile, una maggiore condivisione delle informazioni relative alla ricerca energetica e delle “best practices” in tema di difesa green, l’adozione costante di politiche sostenibili (anche per ragioni di pura interoperabilità) e lo sviluppo di un’unica piattaforma di dialogo interno sulle politiche energetiche degli Stati Membri. Infine, per ciò che concerne la postura esterna della NATO, il Framework raccomanda una maggiore attenzione alle tematiche green in sede di colloquio con i partner, con le organizzazioni internazionali e con le realtà industriali private, nonché un miglioramento della comunicazione pubblica degli organi NATO sui temi climatici ed energetici. Esperiti questi indirizzi di policy generale, il documento si conclude con alcuni spunti di riflessione per lo sviluppo futuro delle capacità green dell’Alleanza, in particolare sull’importanza di una sempre maggiore coordinazione tra i governi nel varare congiuntamente misure di riduzione delle emissioni.

Da questa breve disamina risulta evidente che il Green Defense Framework del 2014 fosse più una dichiarazione di intenti che una vera e propria linea di policy immediatamente attuabile. Il documento mancava in più punti, sia per precisione che per programmazione, e, sebbene taluni obiettivi annunciati fossero interessanti al fine di sviluppare una vera “difesa sostenibile”, l’assenza di chiare scadenze temporali lasciava intendere il carattere puramente di indirizzo del documento, utile se non altro ad avviare un processo di dibattito interno ai Membri dell’Alleanza. Parziali integrazioni sono state apportate nel corso degli anni dal Science for Peace and Security Programme (SPS), soprattutto sul piano della condivisione delle informazioni e della ricerca coordinata. Tuttavia, la apoliticità interna che ha caratterizzato fino ad ora la NATO ha impedito ulteriori sviluppi tangibili sul piano delle emissioni dei singoli Stati Membri, tema affrontato più a livello domestico dai singoli governi oppure in altre sedi internazionali multilaterali come l’Unione Europea.

Proprio la riduzione delle emissioni risulta in definitiva l’obiettivo più ambizioso espresso da Stoltenberg. Se esiste infatti un settore che, ad oggi, non può fare a meno dei combustibili fossili è proprio quello militare. I mezzi militari necessitano infatti di una grande quantità di energia per essere performativi e tutt’oggi il loro funzionamento si basa sull’energia prodotta da fonti combustibili altamente inquinanti, le uniche in grado di garantire il livello di potenza necessario ad un prezzo abbordabile. Tuttavia, il progresso tecnologico ha cominciato a produrre fonti di energia sostenibile sia sotto il profilo ambientale che sotto quello economico. È il caso dei biocombustibili, prodotti a partire dalle biomasse (grano, mais, olio di palma etc.), che possono essere prodotti su vasta scala in modo economico e rinnovabile e il cui utilizzo garantisce lo stesso ammontare di energia prodotto da benzina e diesel. Anche il fotovoltaico e l’energia solare in generale rappresentano delle opzioni valide come fonti di alimentazione, seppur di supporto. Il fotovoltaico può infatti trovare utile applicazione come fonte di alimentazione primaria per strutture da campo (già testate in sede di esercitazioni NATO, mediante l’utilizzo di pannelli solari flessibili e facilmente trasportabili) e secondaria per mezzi leggeri come UAV da ricognizione ad alta altitudine, la cui maggiore vicinanza al sole fornirebbe un surplus energetico.

La riflessione interna intrapresa dall’Alleanza Atlantica si è caratterizzata negli ultimi anni per la volontà di rendere più “politica” la NATO e di sviluppare linee di azione comuni anche oltre i limiti dell’agire puramente securitario. Con il rientro definitivo degli USA nell’Accordo di Parigi e i nuovi obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 annunciati dall’Unione Europea, probabilmente anche le politiche di sostenibilità e coordinamento della NATO beneficeranno di un nuovo slancio. In questa ottica di rinnovata collaborazione bisogna anche considerare come ormai inderogabile un maggior coordinamento degli organi dell’Alleanza con la stessa Unione Europea, perché lo sviluppo della tanto decantata Autonomia Strategica non rischi di rappresentare una futura alternativa, ma piuttosto un’integrazione, al rapporto transatlantico. L’imperativo categorico rimarrà comunque quello della flessibilità, non solo strategica ma anche politica, per “comprendere, adattarsi e mitigare” ogni sfida, vecchia o nuova che sia.

Non resta dunque che attendere l’appuntamento del 14 giugno, data in cui è previsto il primo summit NATO con la presenza del neoeletto presidente USA Joe Biden, dove verranno affrontate le priorità dell’Agenda 2030 dell’Alleanza Atlantica e in cui Stoltenberg ha dichiarato di puntare ad ottenere dai leader un “chiaro impegno politico” sul tema climatico.

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